Piero Chiara e la narrazione della provincia italiana

Il 23 marzo del 1913 nasceva a Luino lo scrittore Piero Chiara. Anni fa, in occasione del centenario dell’evento sul muro esterno dello storico Caffè Clerici, l’amatissimo locale e “ufficio” dello scrittore  che guarda sul porto vecchio, venne collocata una targa con una frase del celebre romanziere tratta da l’Avvenire del Verbano del 30 novembre1934. Vi si legge: “In Luino vi è qualche cosa di inesprimibile e di spirituale che non può andare vestito di parole; è qualche cosa di più che la tinta locale, è quel mistero di attrazione che fa innamorare di un luogo senza che ci si possa dar ragione del motivo”. Un ritratto di quest’angolo di provincia chiuso tra il lago Maggiore, i monti delle valli Dumentina e Veddasca e la frontiera con la Svizzera.

Un’immagine che, volendo, può essere estesa a buona parte dei paesi che si affacciano sulle due sponde del Verbano. Figlio di un siciliano immigrato al nord come impiegato delle Regie Dogane e di Virginia Maffei, originaria di Comnago, minuscola frazione di Lesa sulla sponda piemontese del lago Maggiore, Piero Chiara frequentò diversi collegi come il San Luigi di Intra e il De Filippi di Arona. Dopo una breve parentesi in Francia, terminati gli studi e vinto un concorso come “aiutante volontario cancelliere” svolse l’impiego statale in Veneto e nella Venezia Giulia, tornando poi nella sua provincia per approdare infine a Varese. In quegli anni, da autodidatta, s’impegnò nello studio e nella formazione letteraria senza rinunciare a frequentare i tavoli con il gioco delle carte e il biliardo dei vari caffè. E’ lì che trarrà gli spunti letterari su ambienti e persone che diventeranno molti anni più tardi i protagonisti dei suoi racconti e romanzi. Nel gennaio 1944, per sfuggire ad un ordine di cattura emesso dal Tribunale Speciale Fascista, Chiara varcò il confine, rifugiandosi in Svizzera dove visse l’esperienza di internato nei campi di Büsserach, Tramelan e Granges–Lens. Ricoverato all’ospedale di St.Imier, frequentò la casa cattolica di Loverciano nel distretto ticinese di Mendrisio. Finita la guerra restò per qualche tempo in territorio elvetico insegnando e pubblicando la prima opera, la raccolta di poesie Incantavi. Da quella silloge che nel titolo alludeva al toponimo dei cascinali sopra Luino emergevano le passioni, le affinità e il profilo di un giovale esule riflessivo, malinconico, dotato della stoffa necessaria per intraprendere un viaggio originale in campo letterario. Il 25 aprile 1945 dalla tipografia di Poschiavo nel canton Grigioni usciva il primo libro a firma di Piero Chiara. Il suo primo editore, don Felice Menghini (scomparso prematuramente nel ‘47 in un incidente di montagna a soli 38 anni, fra i principali autori della Svizzera italiana come poeta, traduttore ed elegante prosatore) ne fece tirare fino a 500 copie intuendone il valore. Al consenso della critica corrispose anche quello del pubblico: nonostante le frontiere ancora chiuse ne furono venduti 150 esemplari in un mese. Abbandonata negli anni ’50 l’amministrazione della giustizia Chiara si dedicò alla scrittura, al giornalismo (collaborando alla terza pagina del Corriere della Sera) e alla letteratura, come curatore di opere classiche, in particolare del Settecento, tanto da essere considerato un’autorità nel campo degli studi su Giacomo Casanova. Scrisse anche una seria e documentata biografia del Vate che riposa a Gardone Riviera nel mausoleo del Vittoriale, intitolata La vita di Gabriele D’Annunzio. Conobbe poi il successo con i racconti e i romanzi la cui ambientazione era quella della provincia che resterà lo scenario di tutta la sua esperienza di scrittore. Sui luoghi della sua piccola patria (il Lago Maggiore, le valli e i suoi paesi, Luino e la Svizzera italiana) spaziò con lo sguardo innamorato di chi li sentiva parte di sé. Erano i luoghi dell’anima e frequentandoli, come scrive l’associazione degli Amici di Piero Chiara, sembra quasi che “dietro un’insenatura del lago, da un angolo di strada di paese, da una valle a specchio dell’acqua o da un battello che cuce l’uno all’altro i pontili delle opposte sponde, debba comparire uno dei suoi personaggi: una delle sorelle Tettamanzi, magari sottobraccio a Emerenziano Paronzini, oppure l’Orimbelli con la Tinca, o il pretore di Cuvio Augusto Vanghetta”. E’ la provincia profonda con i suoi caffè e i giocatori di carte, le avventure di impenitenti flâneur che vagano oziosamente per le vie dei paesi, delle acque battute dai venti di tramontana, le piccole isole, i battelli e i tanti moli degli imbarcaderi, storie amare o scabrose vicende di corna e tradimenti. Offrendo un approdo letterario a questo mondo Piero Chiara raggiunse il successo con romanzi come Il piatto piange (1962), La spartizione (1964, Premio Selezione Campiello), Il balordo (1967, Premio Bagutta), L’uovo al cianuro(1969), I giovedì della signora Giulia (1970), Il pretore di Cuvio (1973), La stanza del Vescovo (1976), Le corna del diavolo (1977), Il cappotto di astrakan  (1978),Una spina nel cuore (1979) e tanti altri fino al postumo Saluti notturni dal Passo della Cisa. Molti di questi lavori vennero ridotti e sceneggiati per il grande schermo e per la tv, in qualche caso con delle fugaci apparizioni dello stesso Chiara per dei piccoli camei come in Venga a prendere il caffè da noi di Alberto Lattuada. In una intervista, parlando del suo rapporto con la scrittura, disse: “Scrivo per divertirmi e per divertire:se mi annoiassi a raccontare, starei zitto, come starei zitto se sapessi che i lettori si annoiano ad ascoltare o a leggere i miei racconti. Qualche volta faccio ridere, o meglio sorridere e qualche volta commuovo il lettore o lo faccio impietosire con le mie storie. Mi sembra giusto, anzi normale: se ride alle mie spalle o a quelle dei miei personaggi o se si impietosisce ai nostri casi, vuol dire che ho colto nel segno: mi sembra che raccontandogli la storia di un uomo, con le sue miserie, le sue fortune e la sua stoltezza, in fondo gli conto la sua storia”. Piero Chiara è stato a tutti gli effetti “il poeta delle piccole storie del grande lago”, il maestro di tutti coloro che si sono cimentati con quella che viene definita la letteratura della profonda provincia italiana.

Marco Travaglini

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