Vendere i debitori, un affare lucroso

 

 

Per secoli le banche hanno svolto il loro compito con modalità fisse ed immutabili, finalizzate a realizzare il compito importante di intermediare il denaro a supporto del sistema economico.

In pratica, raccolgono soldi dai risparmiatori attraverso i conti correnti ed i depositi e li prestano ad aziende e privati che ne hanno bisogno.

Una buona gestione dei crediti consente di mantenere in equilibrio il sistema, potendo far fronte ad eventuali massicci prelievi di depositi attraverso il ricupero dei crediti erogati.

Se un debitore non può rimborsare il finanziamento, la banca può esercitare le azioni di ricupero con la messa in mora, le azioni giudiziarie d’ipoteca o sequestro; azioni dall’esito incerto e di solito poco efficaci perché il ricupero è sempre parziale e diluito nel tempo a volte per anni (anche a causa di azioni legali di opposizione da parte dei debitori).

Nel tempo (soprattutto a partire dal fallimento della Lehman che ha creato una crescita consistente delle crisi aziendali, aggravatasi poi a seguito della pandemia) molti finanziamenti sono entrati in crisi, generando i cosiddetti “prestiti inesigibili”, in sigla tecnica noti come NPL (not performing loans, col solito abuso dell’inglese).

In queste condizioni il sistema bancario ha trovato una soluzione: sbarazzarsi dei crediti inesigibili o di difficile incasso cedendoli ad un altro intermediario.

Operazione che presenta almeno due vantaggi per le banche: “pulire” il bilancio, mantenendo solo i crediti sani, ed incassare subito una cifra con la quale ripristinare la propria liquidità.

A fronte di questi vantaggi si pone il fatto che si contabilizza una perdita più o meno consistente, pari alla differenza tra il credito originario e l’importo incassato. Non esistono statistiche precise, ma si stima che le cessioni avvengano al 20-30% del nominale.

Evidentemente il gioco vale la candela se la pratica è ormai diffusissima a livello mondiale, ed anche in Italia gli istituti di credito vi fanno ampio ricorso.

 

In base ai dati comunicati nel corso di un convegno su questo tema organizzato da Banca IFIS (una società specializzata nell’acquisto di NPL) il totale dei crediti deteriorati nel bilancio delle banche è sceso da 341 miliardi di euro del 2015 a 58 miliardi di euro del 2022. Quasi 300 milordi sono stati venduti a società specializzate che acquistano in blocco i crediti e cercano di ricuperare il più possibile per guadagnarci.

E’ evidente una stortura del mercato: le banche erogano il credito ma non vogliono occuparsi delle operazioni andate male, che svendono ad altri operatori.

La domanda sorge spontanea: si tratta di benefattori che si accollano i rapporti con aziende e privati incapaci di pagare i debiti, oppure di speculatori che puntano, pagando importi marginali, ad incassare cifre superiori spremendo i “clienti” con tutti i mezzi?

E dall’altra parte la domanda è: se la banca si rende conto che non può incassare totalmente il prestito, perché non concorda con il cliente la percentuale di “sconto”, anziché concedere lo sconto stesso ad una parte terza?

Il fatto è che il mercato NPL fa gola a molti, e quei 300 miliardi di crediti inesigibili ceduti generano un giro d’affari ricco e sostanzioso cui nessuno vuole rinunciare.

Proprio per questo è stato presentato il disegno di legge, che intende mettere dei paletti alle procedure, evitando i rischi di eccesso di svalutazione delle posizioni e, soprattutto, di eccesso di pressioni sui debitori.

La norma prevede che il debitorein caso di cessione della sua posizione, abbia il diritto di estinguere il debito corrispondendo al cessionario il prezzo di acquisto del relativo credito, maggiorato del 20% o del 40%. Al fine di consentire l’esercizio dell’opzione, la società acquirente deve comunicare al debitore l’operazione e il prezzo corrisposto, entro il termine di 10 giorni dalla cessione.

Il debitore dovrà, entro 30 giorni, comunicare per iscritto:

– la volontà di esercitare l’opzione; e

– l’impegno a effettuare il pagamento entro 90 giorni (o diverso termine stabilito tra le parti).

Una proposta che consente di creare un equilibrio fra i tanti interessi in gioco.

Infatti:

  • Il debitore può (se ha la disponibilità) chiudere il finanziamento ad un costo ragionevole. Ipotizzando che la cessione di 100.000 euro nominali sia avvenuta al 30%, potrà estinguere la posizione sborsando da un minimo di 36.000 ad un massimo di 42.000 euro, potendo così procedere (se ne ha la possibilità) con la sua attività
  • Il cessionario incassa subito un guadagno grazie alla maggiorazione fissata dalla legge, senza impegnarsi nelle lunghe e costose azioni di ricupero, dall’esito comunque incerto
  • La banca è in una posizione neutra, avendo comunque chiuso i suoi conti e non subendo alcun pregiudizio dal successivo esito della pratica.

Però si sono scatenate reazioni violente da parte dei protagonisti del mercato.

Le obiezioni riguardano la “complessità delle operazioni”, il “costo delle comunicazioni”, “l’impossibilità di determinare con esattezza il valore dei singoli crediti” perché ceduti “in blocco”.

Obiezioni tecniche facilmente superabili che nascondono in realtà il disappunto nel veder ridimensionato un mercato che offre lauti margini di guadagno.

Ci sarebbe anche da discutere su chi sono gli “imprenditori degli NPL”, quali intrecci hanno con le banche stesse, quali mezzi usano per “convincere” i debitori a pagare…

Discussione che potremmo rinviare ad un prossimo intervento.

 

 Gianluigi De Marchi 

demarketing2008@libero.it

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