Il segreto che tiene sospesa una vita intera

Sugli schermi “Confidenza”, ultima opera di Daniele Luchetti

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

C’è una sorta di filo doppio ormai a legare le esistenze e le storie di Domenico Starnone, scrittore, e Daniele Luchetti, regista, un filo doppio iniziato trent’anni fa con “La scuola” e continuato con “Lacci” (2020), oggi approdato sulle coste di “Confidenza”. Per l’ultimo titolo lo scrittore si è chiuso nella sua pagina scritta (Einaudi editore) e ha lasciato il compito di cosceneggiatore – con il regista – a Francesco Piccolo, a tratteggiare un percorso lungo la vita intera di un uomo rinserrato in due antiche parole, amore e paura, scritte un giorno sulla lavagna e capaci di muovere e condizionare un’esistenza, un professore amato dagli allievi, pronti a omaggiarlo e a dirne tutti i pregi ancor dopo che lo hanno abbandonato nel percorso dei loro studi, un professore che è anche capace di non seguire alla lettera le direttive ministeriali ma che appellandosi alla “pedagogia dell’affetto” spreme un gran bel sorriso se gli allievi lasciano la classe sotto l’ombra di una interrogazione, “tanto professore manca solo più un quarto d’ora”.

Pietro Vella trova l’amore negli occhi belli di un’ex allieva, Teresa, che un giorno gli ha scritto su un foglio “l’amore non è mai alla pari, è sempre sopraffazione”. Il che dovrebbe già essere un bel campanello d’allarme se la passione, la sicurezza di sé, l’azzardo non avessero il sopravvento e nel comportamento diviso in due di Pietro non innescassero una relazione. Difficile, altalenante, fatta di luci e di zone buie, di affetti e di ripicche, di sfide (il casuale incontro a cena con un gruppo di amici del professore, forse tra loro siede anche una ex fiamma). Di scommesse per continuare un rapporto, in un qualsiasi modo: rivelarsi l’un l’altra un segreto, di quelli veramente scomodi, “un segreto così orribile che se si sapesse ti distruggerebbe la vita per sempre”. La relazione troverà una propria conclusione, le zone buie sopraffacendo gli squarci di luce, ma Teresa, dopo anni nome famoso nel mondo per i suoi studi in campo matematico, si ritroverà sempre a due passi da Pietro, non importa il luogo, non importa l’occasione, fisicamente e nel pensiero, nelle conferenze che Pietro, ormai affermato studioso di didattica, beniamino del mondo editoriale e enfant prodige da tenersi ben stretto del ministero, tiene, complice anche una responsabile editoriale (isabella Ferrari) con cui non sarebbe male correre il rischio di un’altra sfida: ma ci si ferma in tempo. Nei pensieri di morte, anche, che Pietro giunto in tarda età culla tra sé, intervallati ai teneri giochi con i nipotini: Teresa è sempre là, a ricordare, a intimorire, a sconvolgere. Non la ferma certo neppure la nuova figura femminile accanto all’ex amante, Nadia, la moglie, la madre di sua figlia, la collega di lavoro, la donna in cui Pietro ha sperato di ritrovare un’isola di serenità, di vita normale. Senza scommesse e senza sfide. Non la ferma neppure un’ultima occasione, quella preparata davanti ad un pubblico scelto di invitati.

Un film che è la radiografia di un triangolo amoroso e sfacciato, “Confidenza”? Un thriller più o meno assopito che ti conduce verso il finale del “vediamo un po’ come va a finire”? La storia di un uomo con troppe qualità e di nessuna qualità, troppo grandioso, troppo sicuro, troppo pronto a scommettere? Sentieri individuati, accennati: ma soprattutto l’introspezione e lo sguardo da vicino dei sentimenti, degli universi maschile e femminile, delle grandi azioni e dei momenti di poco conto, degli oggetti che buttano nuove luci e nuove ombre in un percorso già controverso, delle riprese di una macchina da presa che guarda nell’intimo e ti sbilancia con gli sguardi dall’alto, del montaggio che mescola presente e passato a raccogliere i frantumi di tre esistenze. È il film, “Confidenza”, del segreto mai svelato allo spettatore ma pure detto in faccia al mondo: e allora è disperazione e sconfitta, e allora è l’urlo dell’Uomo che ricorda Munk, è la fine per Pietro dall’alto di un palazzo e per la figlia che ha preparato l’ultimo riconoscimento per papà, è il netto frantumarsi di una vita.

Materia complicata, sottile, distorta, a tratti difficile da decifrare, un percorso non facile da trasportare dalla pagina scritta alla scena, quella che è nelle mani di Daniele Luchetti, che accompagna il suo protagonista sino al suo rifugio/nascondiglio (immaginato) dei titoli di coda, narrandocelo in ogni piega con estrema sicurezza, e trovando in Elio Germano ancora una volta la conferma – e la grandezza – di quel camaleontico attore che abbiamo fino a qui conosciuto. Un ruolo non semplice “sofferto” nelle sue pieghe più intime. Come sono eccellenti – anche se forse non chiarite sino in fondo nelle loro apparizioni e nel loro percorso – le interpretazione di Federica Rosellini e di Vittoria Puccini. Tuttavia, pur conservandone il giudizio positivo, ti viene da chiederti, negli ultimi momenti della vicenda, se “Confidenza” non accusi una certa debolezza, non sopporti un peso troppo gravoso, non si perda in una storia formulata a tavolino, con quella sfida a farla troppo da padrone, a essere il centro incontrastato di una intera esistenza, con quel rincorrersi nel tempo dei personaggi che si portano dietro un segreto, anzi “il segreto”, che ha il dubbio di chiudersi (troppo) in quel momento accaduto per caso all’inizio di una storia di un amore. Che è sopraffazione.

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