IL PUNTASPILLI di Luca Martina
L’andamento dei tassi d’interesse è certamente uno dei rebus più discussi (e indecifrabili) dagli investitori.
Il ricordo degli eventi che si erano succeduti mezzo secolo fa è ritornato clamorosamente alla mente dopo gli eventi degli ultimi anni e vale forse la pena di fare un po’ di storia e ricapitolare quanto accaduto.
Due violentissimi shock petroliferi, il primo nel 1973 e il secondo nel 1979-80, avevano provocato la salita dell’indice dei prezzi a ritmi vertiginosi e la Banca d’Italia non aveva potuto fare altre che alzare i tassi d’interesse ufficiali fino a raggiungere il livello record del 19% nel corso del 1981.
Solo molti anni dopo, nel 1993, i tassi erano tornati al di sotto del 10%, a conferma di un trend disinflazionistico che da qualche anno aveva preso avvio a livello mondiale.
Si trattava dell’onda lunga prodotta dalla globalizzazione.
Il termine, coniato pare dai giornalisti del The Economist, designa la liberalizzazione del commercio mondiale a partire dagli anni 60, attraverso istituzioni quali il GATT (Accordo Generale sulle Tariffe ed il Commercio) e, nella sua successiva trasformazione, il WTO (Organizzazione mondiale del commercio, creata nel 1995).
A rafforzare questo trend ha contribuito poi la politica di apertura economica iniziata dalla Cina, con Deng Xiaping, nel 1978 e, successivamente, il dissolvimento (e la sua conseguente apertura agli scambi con il resto del mondo) dell’“impero” Sovietico (alla fine degli anni 80).
Anche l’innovazione tecnologica, legata alla diffusione di internet e personal computer a sempre prezzi più bassi, ha contribuito fattivamente a questo processo.
Quello che era difficilmente immaginabile è stato lo sprofondamento dei tassi al di sotto dello zero, una sorta di mondo al contrario dove si pagava per il diritto di acquistare il debito di un Paese, la Germania, accettando di investire più di quanto sarebbe, alla scadenza, molti anni dopo, stato rimborsato.
Gli economisti si sono a lungo interrogati, senza raggiungere un parere condiviso, sul perché, una volta usciti dalla “grande crisi finanziaria” del 2007-8, l’inflazione non tornasse a salire (come di solito avviene dopo una recessione).
E’ così avvenuto che i tassi d’interesse dettati dalla Banca Centrale Europea si sono accomodati a livelli prossimi o, per la maggior parte del periodo, uguali allo zero per circa un decennio (dal 2012 al 2022).
Pandemia e, successivamente, il conflitto in Ucraina hanno risvegliato l’animale, ingabbiato per quarant’anni, costringendo i signori della moneta ad agire di conseguenza, tornando a mettere mano al bastone (dopo avere offerto carote con grande generosità) con un forte incremento dei tassi.
Ma se questo non deve in fondo, sorprendere (si tratta di un ritorno alla “normalità”) il nuovo mistero materializzatosi sotto gli occhi degli economisti è legato allo scarso effetto che il caro-denaro (l’aumento del costo dei mutui e dei finanziamenti a famiglie ed imprese) ha sinora prodotto sull’economia ed in particolare negli Stati Uniti.
La locomotiva americana, infatti, continua a crescere e a compensare, a livello globale, gli effetti della frenata cinese (dovuta alla ricetta indigesta, per l’economia, di una politica neo-maoista ed accentratrice e della crisi del mercato immobiliare).
Ad onor del vero occorre sottolineare come l’inflazione, galoppante un anno fa, è ormai tornata su livelli non troppo distanti dalla sua storia (intorno al 3% contro il 2,5% del decennio passato) ma, ciononostante, le banche centrali non sembrano avere alcuna fretta a ridurre i tassi e i mercati obbligazionari (che beneficerebbero fortemente dei tagli, con la salita dei loro prezzi) rimangono asfittici.
Ad oggi l’equazione manca ancora di una soluzione che, probabilmente, scopriremo solo in prospettiva, esaminando i dati economici dei prossimi anni.
Un’ ipotesi è che la crescita attuale sia sostenuta da un aumento della produttività, consentita dalle nuove tecnologie, ormai estremamente pervasive nella nostra spesa (e nella nostra vita) quotidiana.
Il miglioramento della produttività è una delle caratteristiche di tutte le “Rivoluzioni” economiche del passato: a partire dalla rivoluzione industriale della fine del ‘700 che con l’introduzione di nuove “tecnologie”, prima fra tutte la macchina a vapore, consentì produzioni di massa a prezzi molto più contenuti e accessibili con conseguente effetto disinflazionistico (o deflazionistico).
A riprova di ciò possiamo osservare come i settori legati alle nuove tecnologie, e in particolare il segmento dell’Intelligenza Artificiale, abbiano prodotto un aumento enorme dei loro utili negli ultimi anni e, anche, in questo risiede il “segreto” dell’economia e delle imprese statunitensi, in grado di crescere molto più velocemente di quanto avviene in Europa (dove le aziende tecnologiche hanno un peso molto inferiore).
Sebbene non sia per nulla certo il futuro prossimo dei tassi rimane, comunque, probabile che abbiano smesso di salire e che presto inizierà la loro inversione di marcia.
Esiste peraltro anche la possibilità che l’economia americana esaurisca, o attenui, nei prossimi mesi la sua forza propulsiva: questo convincerebbe i banchieri centrali a tagliare i tassi d’interesse più velocemente di quanto attualmente previsto dagli analisti e potrebbe riflettersi negativamente sulle borse.
Per il momento, l’ottimismo manifestato dai mercati azionari (che attribuiscono ogni giorno un valore alle imprese quotate, tanto maggiore quanto positive sono le loro prospettive) sembra essere giustificato, vista la forza dell’economia statunitense, e non così irrazionale come si potrebbe essere indotti a pensare.
Venendo alle obbligazioni ed ai tassi d’interesse, gli investitori continuano invece ad essere disorientati proprio come noi ci potremmo ritrovare, ancora oggi, rileggendo il racconto “La quercia del Tasso” di Achille Campanile…
Buona lettura!
”La quercia del Tasso” (Achille Campanile)
“Quell’antico tronco d’albero che si vede ancor oggi sul Gianicolo a Roma, secco, morto, corroso e ormai quasi informe, tenuto su da un muricciolo dentro il quale è stato murato acciocché non cada o non possa farsene legna da ardere, si chiama la quercia del Tasso perché, come avverte una lapide, Torquato Tasso andava a sedervisi sotto, quand’essa era frondosa. Anche a quei tempi la chiamavano così. Fin qui niente di nuovo. Lo sanno tutti e lo dicono le guide. Meno noto è che, poco lungi da essa, c’era, ai tempi del grande e infelice poeta, un’altra quercia fra le cui radici abitava uno di quegli animaletti del genere dei plantigradi, detti tassi. Un caso. Ma a cagione di esso si parlava della quercia del Tasso con la “t” maiuscola e della quercia del tasso con la “t” minuscola. In verità c’era anche un tasso nella quercia del Tasso e questo animaletto, per distinguerlo dall’altro, lo chiamavano il tasso della quercia del Tasso. Alcuni credevano che appartenesse al poeta, perciò lo chiamavano “il tasso del Tasso” e l’albero era detto “la quercia del tasso del Tasso” da alcuni, e “la quercia del Tasso del tasso” da altri. Siccome c’era un altro Tasso (Bernardo, padre di Torquato, poeta anch’egli), il quale andava a mettersi sotto un olmo, il popolino diceva: “È il Tasso dell’olmo o il Tasso della quercia?”. Così poi, quando si sentiva dire “il Tasso della quercia” qualcuno domandava: “Di quale quercia?”. “Della quercia del Tasso.” E dell’animaletto di cui sopra, ch’era stato donato al poeta in omaggio al suo nome, si disse: “il tasso del Tasso della quercia del Tasso”. Poi c’era la guercia del Tasso: una poverina con un occhio storto, che s’era dedicata al poeta e perciò era detta “la guercia del Tasso della quercia”, per distinguerla da un’altra guercia che s’era dedicata al Tasso dell’olmo (perché c’era un grande antagonismo fra i due). Ella andava a sedersi sotto una quercia poco distante da quella del suo principale e perciò detta: “la quercia della guercia del Tasso”; mentre quella del Tasso era detta: “la quercia del Tasso della guercia”: qualche volta si vide anche la guercia del Tasso sotto la quercia del Tasso. Qualcuno più brevemente diceva: “la quercia della guercia” o “la guercia della quercia”. Poi, sapete com’è la gente, si parlò anche del Tasso della guercia della quercia; e, quando lui si metteva sotto l’albero di lei, si alluse al Tasso della quercia della guercia. Ora voi vorrete sapere se anche nella quercia della guercia vivesse uno di quegli animaletti detti tassi. Viveva. E lo chiamarono: “il tasso della quercia della guercia del Tasso”, mentre l’albero era detto: “la quercia del tasso della guercia del Tasso” e lei: “la guercia del Tasso della quercia del tasso”. Successivamente Torquato cambiò albero: si trasferì (capriccio di poeta) sotto un tasso (albero delle Alpi), che per un certo tempo fu detto: “il tasso del Tasso”. Anche il piccolo quadrupede del genere degli orsi lo seguì fedelmente, e durante il tempo in cui essi stettero sotto il nuovo albero, l’animaletto venne indicato come: il tasso del tasso del Tasso. Quanto a Bernardo, non potendo trasferirsi all’ombra d’un tasso perché non ce n’erano a portata di mano, si spostò accanto a un tasso barbasso (nota pianta, detta pure verbasco), che fu chiamato da allora: il tasso barbasso del Tasso; e Bernardo fu chiamato: il Tasso del tasso barbasso, per distinguerlo dal Tasso del tasso. Quanto al piccolo tasso di Bernardo, questi lo volle con sé, quindi da allora quell’animaletto fu indicato da alcuni come: il tasso del Tasso del tasso barbasso, per distinguerlo dal tasso del Tasso del tasso; da altri come il tasso del tasso barbasso del Tasso, per distinguerlo dal tasso del tasso del Tasso. Il comune di Roma voleva che i due poeti pagassero qualcosa per la sosta delle bestiole sotto gli alberi, ma fu difficile stabilire il tasso da pagare; cioè il tasso del tasso del tasso del Tasso e il tasso del tasso del tasso barbasso del Tasso.”
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