La politica estera non appartiene ai populisti

LO SCENARIO POLITICO di Giorgio Merlo


La politica estera, storicamente, è l’aspetto costitutivo e quasi discriminante per dimostrare se un
partito ha una cultura di governo o meno. Senza una chiarezza di fondo sulla politica estera
qualsiasi partito o movimento è destinato nell’arco di poco tempo a cadere nella confusione o,
peggio ancora, a scivolare progressivamente nel trasformismo politico e nell’opportunismo
parlamentare. Del resto, è appena sufficiente osservare concretamente il comportamento delle
forze politiche della prima repubblica e anche di a quelle dopo l’uragano di tangentopoli, per
rendersi conto che la coerenza sulla politica estera resta il faro che illumina la coerenza e il
progetto politico di un partito. E non soltanto sul piano geopolitico mondiale ma anche, e
soprattutto, nelle scelte politiche concrete del proprio paese. Perchè la chiarezza e la coerenza
sulla politica estera è sinonimo anche di chiarezza, ad esempio, sulla politica economica e sociale
e su quella dei diritti. Insomma, la politica estera appartiene a pieno titolo alla carta di identità
politica e culturale di un partito. E per i grandi partiti popolari, democratici e di massa del passato
la politica estera, appunto, rappresentava lo spartiacque per costruire il campo delle alleanze e la
stessa strategia di governo.
Ora, è altrettanto noto che le forze e i movimenti populisti – da chi detiene il marchio principale e
quasi esclusivo, cioè i 5 stelle, alla Lega salviniana – non hanno alcuna chiarezza sulla politica
estera se non quella di cavalcare gli istinti più triviali e momentanei della pubblica opinione. Che,
di norma, si tratta di modelli radicalmente estranei alla cultura democratica e liberale. Non a caso,
e proprio alla luce degli ultimi accadimenti drammatici che provengono dalla Russia, noi
assistiamo al semplice riproporsi di un aspetto. E cioè, i populisti sono privi di una strategia
lineare di politica estera perchè la mancanza di una cultura politica da un lato e l’assenza di una
altrettanto necessaria ed indispensabile cultura di governo dall’altro inibisce a questi partiti di
giocare un ruolo responsabile e di medio lunga durata. Se non quello di cavalcare gli umori della
piazza che, come noto, sono destinati a mutare con una rapidità impressionante. E non stupisce,
al riguardo, che proprio sulla politica estera si registra una sostanziale convergenza tra partiti che
apparentemente stanno su sponde opposte ma che, invece, sono accomunati dalla deriva e dalla
sub cultura populista. Cioè, per essere ancora più precisi, i partiti dell’indimenticabile alleanza
giallo/verde.
Ecco perchè, se è vero com’è vero che sta ritornando lentamente la politica e con la politica
anche le tradizionali categorie, diventa sempre più importante, nonchè decisivo, saper rideclinare
una cultura di governo autentica e credibile accompagnata da una visione europea e mondiale
che non possono essere confusi con il qualunquismo o, peggio ancora, con il dilettantismo
opportunistico e trasformistico. Per questi semplici motivi è giunto il momento di isolare
definitivamente ed irreversibilmente il populismo da qualsiasi alleanza di governo. Semprechè si
voglia recuperare la credibilità della politica da un lato e l’efficacia dell’azione di governo dall’altro.
Perchè non è possibile pensare di aprire una nuova stagione della politica italiana senza isolare le
ragioni, e i partiti, che sono il frutto e la conseguenza della sconfitta e della irrilevanza della
politica stessa. Ne va anche, e soprattutto, della credibilità del nostro sistema politico, della
qualità della nostra democrazia e dell’autorevolezza delle nostre istituzioni democratiche.

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