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Dei delitti e delle pene

Cesare Beccaria, ma pare più verosimilmente Pietro Verri, già nel 1764 analizzò nel saggio “Dei delitti e delle pene” le pene irrogate nella società all’epoca.

E’ palese che il concetto di reato, e più in generale, di infrazione sia estremamente legato all’epoca ed alla latitudine in cui la pena è prevista: tutt’ora nel Vermont una moglie deve chiedere il permesso al marito per indossare la dentiera mentre nel Massachusetts è illegale per la donna stare sopra l’uomo durante un rapporto sessuale; nell’Arkansas è tuttora vigente una legge, promulgata nel 1800, che attribuisce al marito il diritto di picchiare la moglie, ma solo una volta al mese ed in Arizona è illegale detenere più di due vibratori in casa. Risulta chiaro che tali leggi, non ancora abrogate difficilmente trovino applicazione.

Pensiamo soltanto alla pena di morte, da noi soppressa una prima volta nel Granducato di Toscana nel 1786 e poi, definitivamente, con l’entrata in vigore della nostra Costituzione il 1° gennaio 1948 (l’ultima sentenza fu eseguita 5 marzo 1947, a La Spezia, con la fucilazione di Emilio Battisti, Aurelio Gallo e Aldo Morelli, condannati a morte per crimini commessi durante la Repubblica Sociale Italiana).

O, ancora, pensiamo ancora al “delitto d’onore” ed al “matrimonio riparatore” cancellati dal nostro codice penale il 5 settembre 1981che, fortemente sbilanciati a favore del maschio, erano di fatto un’assoluzione a priori per reati che ora sono invece sanzionati in modo pesante: per il primo si è passati dalla non punibilità all’aggravante del legame di parentela.

E che dire dei reati, ormai cancellati dal codice penali fin dalla fine degli anni ’60, di “adulterio” e di “concubinato”?

A mio parere, però, vi sono reati che, pur essendo universalmente considerati tali, sarebbero da punire in modo diverso, e non mi riferisco alla maggior severità della pena ma al maggior effetto deterrente.

E’ di questi giorni la proposta al vaglio del Governo di vietare il cellulare ai minori condannati per gravi reati: al di là dell’applicabilità di tale pena (qualche amico presterà loro il telefono) è evidente che il telefono sia diventato una prolunga del nostro corpo, un oggetto senza il quale non usciamo al punto che il legislatore, cercando una punizione che sia veramente tale e, al contempo, sia dissuasiva nei confronti della reiterazione del reato sceglie questo mezzo. Tra uscire e non messaggiare o telefonare, la seconda ipotesi sembrerebbe la più efficace.

Perché mandare in carcere chi è concusso, chi avvalendosi del proprio status di pubblico ufficiale lucra ai danni dello Stato, quindi di tutti i contribuenti? Molto meglio la confisca di tutto ciò che ha acquisito illecitamente, magari anche dei beni (mobili ed immobili) posseduti fuori dal reato, interdizione perpetua dai pubblici uffici (così non potrà reiterare il reato) introducendo, come sanzione, l’inidoneità alla funzione dirigenziale anche nel settore privato, il divieto di apertura della partita IVA ecc.

Sicuramente essere poveri non è piacevole, ma è molto più spiacevole essersi arricchiti e tornare nuovamente poveri per effetto di una condanna.

Il nostro ordinamento considera il carcere come un luogo ove il detenuto non soltanto sia punito per il reato commesso ma venga rieducato affinché non commetta più (gli stessi?) reati; è evidente che questo nobile intento dei nostri Padri costituenti, che all’art 27 della Costituzione hanno precisato che la condanna deve tendere anche alla rieducazione, sia purtroppo disatteso per motivi quanto mai variegati: mancanza di strumenti formativi, sovraffollamento delle strutture, carenza di personale di sorveglianza, taglio dei costi e così via.

Poiché sono convinto che prevenire sia più costruttivo che combattere, credo che un deterrente sia meglio che una punizione. Io sono in contatto epistolare con alcuni detenuti in alcune prigioni degli USA ed ho insegnato nella Casa circondariale di Torino  e vedo la sostanziale differenza tra i due sistemi penitenziari; in Italia, data la non certezza della pena, i tempi giudiziari lunghi che possono portare alla prescrizione del reato (tranne l’omicidio, per il quale la prescrizione non esiste) e la speranza tipicamente nostrana di non essere beccati, il carcere non viene visto con quella gravità come, invece, avveniva qualche decennio fa.

Ritengo, pertanto, che sarebbe il momento di rivedere nel suo insieme tutto il sistema giudiziario e penitenziario: avete presente quando, a naja, commettevi un’infrazione al Codice di disciplina, venivi consegnato con CPR (Camera di Punizione di Rigore) e, al termine della naja, dovevi scontare ancora i giorni trascorsi in CPR? Ecco, era un ottimo sistema per non sbagliare. La CPR venne abolita nel 1978 quando altri istituti vennero creati a tutela di tutto il personale militare. Dimenticavi di salutare per primo un superiore o, come previsto dal 2° comma dell’art. 27, non rispondevi al saluto? A seconda dell’umore del superiore (e dal suo carattere) per 2-3 giorni non andavi in libera uscita, dimenticandoti cinema, pizza, ragazza, pub e così via.

Ora è all’esame del parlamento un provvedimento che dovrebbe riguardare tutti i giovani, in particolare per normare diversamente le sanzioni per violenza sessuale, baby-gang, ecc; in attesa di visionare il DdL spero di poter produrre per tempo alcuni emendamenti che, andando nella direzione prevista dalla nostra Carta costituzionale, da un lato reprimano la condotta deviata e, al contempo, rieduchino i giovani ad un corretto comportamento nella società.

Sergio Motta

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