Elsa Martinetti. Peintre

(Verres, 11.12.1921 – Torino, 18.08.2018)

Amava la montagna e, quando, costretta a lasciare Saint Vincent,dove i piromani appiccavano il fuoco sempre più vicino a casasua, si trasferì a Torino, in un palazzo di quella Porta Palazzo che la penna di Gozzano ebbe a definire la gran cuoca della città continuò contenta di avere conservato intorno a sé l’arco alpinoperché non aveva perso quel riferimento importante per lei.

L’avevo incontrata, forse nei primi anni Novanta, a una cena, a casa della sorella che abitava nel suo stesso palazzo, al piano superiore al suo … e, subito, con simpatia e cordialità, si presentòin tutta l’ampiezza dei suoi interessi e la profondità delle sue vedute, con parole semplici che fluivano in una conversazione piacevole che sapeva guidare, perché, pur aprendola acaleidoscopio su mille argomenti, la indirizzare abilmente ora suuno, ora sull’altro.


Elsa
Martinetti aveva radici piemontesi, infatti suo padre,muratore quindi impresario, era Luigi Giovanni, figlio di Giacomotroviamo un suo omonimo tra le maestranze occupate al castello di Agliè a metà Ottocento e orfano di Angela Borghi che, pur senato a Caltignaga in provincia di Novara il 12 dicembre 1894, si diceva imparentato con il filosofo canavesano Piero Martinetti, mentre la madre Cristina (Catarina) Peracca, canavesana la era, in quanto nata a Nomaglio il 24 luglio 1895. Orfana del padre,(Gioanni Battista) Ferdinando, quella giovane aveva lasciato la madre, Gioanna Maria Allamanno, per passare a vivere a Borgofranco di Ivrea, dove avrebbe incontrato l’uomo da lei poi sposato a Nomaglio, il 25 febbraio 1920, quando riconobbero loroTeresina, la figlia nata fin dal 25 aprile 1915.

In seguito si trasferirono a Verres, ed Elsa fu la prima dei figli venuti alla luce in Vallée.

Quei natali montanari furono sempre motivo d’orgoglio per leiche si sentiva un frutto genuino di quella Terra e che, essendouna persona semplice, di quelle che non rinnegherebbero mai le loro origini, le riconosceva fondamentali per essere state le costanti, a monte di ogni suo interesse e di ogni sua indagine.Autodidatta dichiarata, Elsa Martinetti era profonda nel pensiero. Dalle prime indagini, alle ultime conclusioni, infatti vaste e obiettive erano le une e felici le altre, che, con naturale savoirfaire, sapeva esporre con chiarezza, suscitando in tutti immediata simpatia. Discreta per educazione e anche per sensibilità, non era priva di arguzia, e questo la rendeva sempre un’ospite gradita,proprio come la bagna caoda con le noci che aveva cucinato quella sera…

Nel turbinoso guazzabuglio che ha connotato il mio ventennio fin de siècle, tra i tanti intoppi e tutti gli acciacchi che neanche in seguito, non mi hanno lasciato, più ebbi occasione di rivederlaancora una prima volta, non ricordo in che occasione, né quando, né come, e altre volte ancora e subito mi stupiva per lanaturalezza con cui mi chiedeva notizie di cose mie, delle qualinon potevo averle fatto cenno mai. Capii che era così per natura,perché era una sensitiva! Allora decisi che le avrei raccontato io, prima che ritornasse a stupirmi dicendomi ancora lei di cose mie.Molto presto però, cambiavo ancora di atteggiamento e, quando la incontravo o la sentivo, dopo i saluti, spontaneo le domandavo: tu cos’hai da dirmi oggi? certamente non alludevo a questioni frivole ma al quotidiano, alle cose serie e ai tanti problemi che mi assillavano, e, su tutto, lei qualcosa da dirmi aveva sempre

Un forte legante per noi era l’arte, e, pur se nessuno dei due partecipava p a mostre, era naturale che parlassimo di esposizioni, ambienti artistici e artisti, che avevamo incontrato e anche frequentato nei nostri diversi, rispettivi passati. Allora le veniva facile mostrarmi qualche lavoro, non solo suo, o unapubblicazione che dicesse qualcosa della sua arte, o le foto di qualcuno dei suoi, o della casa che aveva lasciato a Saint Vincente che, da sola, aveva costruito e tutti i percorsi evocativi li compiva volentieri, senza risparmiava mai i suoi commenti.

Della casa che aveva fatto in Valle andava molto orgogliosa: mi aveva raccontato come, pezzo per pezzo, avesse acquistato l’intero lotto, sul quale aveva poi costruito, andando alla ricerca dei singoli proprietari che vivevano sparsi per ogni dove in Arpitaniae raccontava tutto, con innata modestia e somma discrezione, mentre accennava al suo vissuto, conscia, prima di tutto, dei limiti che aveva avuto, per essere donna e montagnina, ancorché autodidatta Perché si era fatta tutta da sola, e così, a pezzetti o, come preferiva dire, a bocconi, si era fatta una cultura(che non era così poca e nemmeno piccola), perciò era davvero quello che si può dire una studiosa seria e dedicata, che, nel suo piccolo, aveva affrontato argomenti impegnativi anche molto diversi tra loro. Ma era anche cosciente di essersi spesso trovata tra personaggi presuntuosi, che ‘grandi’ si erano fatti per le loro pose e che, anche se erano riusciti ad imporsi, non erano affattointelligenze migliori ma mediocri. Comunque, lei andava fieradel diploma che attestava la sua appartenenza all’Accademia di Sant’Anselmo, ne parlava sempre con un sorriso, scherzandoci su, con ironia… e poteva farlo perché conosceva davvero le debolezze umane! era psicologa, non solo per natura, ma per aver frequentato alcuni corsi, come quello di grafologia, che aveva interrotto ai primi livelli, perché si teneva a Torino, mentre lei abitava ancora in Valle ...

 

Aveva interessi molto diversi tra loro: dall’arte alla letteratura,dall’ipnosi alla radioestesia, dalla simbologia alla linguistica, dal folclore alla storia, dalla magia alla religione, dai colori alle forme. Tutto la interessava e, soprattutto, tutto quello che era espressione di pensiero e di cultura l’appassionava. Non si arrestava mai, neppure davanti agli sforzi più notevoli. Lei, che, guidata da intuito e sensibilità, era una lettrice onnivora e vorace,bene informata su ogni cosa, perché, se suo padre non mancava mai di leggere ogni giorno il suo giornale, lei era abituata a vederne sempre più di uno e a mettere da parte almeno le pagine che le sembravano più importanti. Le piaceva tanto la cartastampata dei quotidiani che ne ammucchiava dappertutto per la casa… ma era così, e spesso mi confessò di essere andata a rivedere fogli vecchi, anche di anni, e di avervi ritrovatoargomenti importanti, ancora attuali

Da sola aveva imparato il francese, quando, giovanissima, aveva cercato lavoro in Confederazione, poi, al ritorno in Valle, aveva voluto appropriarsi anche del patois, e aveva approfondito i temi relativi all’autonomia, e aveva conosciuto personalmente non solo gli esponenti del movimento valdostano, ma i documenti, come la Carta di Chivasso, che hanno segnato la sua epoca.

Amante sincera della libertà, era sensibile alle tradizioni e, ad Aosta, dove si era trasferita, aveva finito per conoscere anche tantiartigiani presenti alla Fiera di Sant’Orso e, visitandoli nelle loro abitazioni, sparse per i monti, aveva apprezzato le loro creazioniche riteneva autentiche opere d’arte, ed era diventata una appassionata collezionista di quei lavori.

Grazie alla sua naturale intraprendenza, partecipava, addirittura, ai rallies e finì persino per compiere un giro di pista con la sua utilitaria all’autodromo di Monza: nulla poteva scoraggiarla o impedirle di fare quanto si prefiggeva: era una lottatrice, una donna di razza! Ebbe pure occasione di viaggiare, e fu in America,e anche nel Giappone, e si avvicinò all’inglese, che avrebbe continuato a studiare per tutta la vita. In realtà era affascinata da tutte le lingue e a tutte le lingue si accostava, sempre con passione ed entusiasmo. In questo modo aveva ampliato gli orizzonti del suo sapere e, siccome sentiva forte la necessità di partecipare agli altri le sue emozioni, cercava di coinvolgerli dicendo ora una parola in una lingua, ora in un’altra, poi invitava chi le era più vicino a fare lo stesso e, così facendo, riusciva a contagiare, se non tutti, tanti!

Provate voi, a lasciare insoddisfatte richieste come quelle sue

Capìto quali argomenti storici io andassi studiando e da quantotempo, e temendo che non avrei mai reso pubblici gli esiti di nessuna mia ricerca, fece di tutto perché scrivessi e pubblicassi la biografia di Carlo Antonio Napione e, poi, perché continuassi a scrivere altri libri. Sapeva come chiedere perché le sue richieste avessero seguito: insisteva come fanno i bambini, e lo faceva addirittura perché scrivessi apposta per lei anche dei versi….

Vale la pena qui ricordare come richiamasse la mia attenzione suitemi gozzaniani... siccome, come ho riferito, amava suggerirmi qualche lettura, era arrivata a prepararmi le fotocopie degli articoli o dei volumi che voleva proprio che leggessi. Fu così che mi fece trovare l’epistolario di Guido Gozzano con Amalia Guglielminettie, nel darmelo, disse convinta: vedrai quanto ti sarà utile, più avanti (Per chiudere, almeno per ora, l’argomento disoltanto che fu, quasi sempre per sua sollecitazione, se negli ultimi vent’anni ho dedicato a temi gozzaniani tanta attenzione, non solo ma va pure ricordato che, quando, preso dallo sconforto perché mi sembrava di poter riuscire ad affrontare un impegno così grande,per tre volte almeno, quando interruppi i miei studi, fu lei ainsistere perché assolutamente dovevo concluderli…) Questo soloper accennare a miei lavori di saggistica, ma Elsa Martinetti ebbe il merito di farmi scrivere quasi tutti i volumi che ho pubblicatonegli ultimi vent’anni. Mi persuadeva perché sapeva davvero essere convincente ….

Qui rileverò una sola coincidenza, per me esemplare, che riguarda lei… La sua cerimonia funebre avvenne a Torino, nella chiesa diSan Gioacchino (che era la sua parrocchia) e poiché non penso che si sappia io ricorderò che, con lo stesso nome dell’avo di Cristo, lei aveva uno zio, (Gioanni) Gioacchino Peracca (fratello maggiore di sua madre, nato a Nomaglio il 5 settembre 1885 e là, il 27 gennaio 1910, unito in matrimonio a Serafina Guglielmetti), perché, da me interrogata, mi aveva detto che quell’uomo, che doveva essere un maestro elementare, era anche lui un sensitivo, efu proprio grazie a lui, nella semplicità del vivere quotidiano inmontagna, i nipoti si erano abituati ai prodigi!

Lascerò che altri approfondiscano la sua biografia, e terminerò soffermandomi su quattro che oltre ad essere emblematici della sua produzione, sono innegabili e autentiche espressioni artistiche. Sembra quasi impossibile credere che Italo Mus fosse l’unico suo maestro! I suoi lavori, per essenzialità e sintesi, si impongono come frutto della sua ricerca e, nello specifico i soggetti ritratti – un fiore (reale e nel suo concetto metafisico) e un volto umano (abbozzato secondo gli stilemi della maschera antropica primitiva, e nella percezione ectoplasmatica) – hanno un contenutofortemente spirituale perciò si può dire che il processo creativo della sua pittura è la sintesi del suo pensiero e l’espressione della sua cultura. Questo potessere verificato anche per le altre sue opere, nelle quali tutte si evidenzia l’importanza che, nel processo creativo, ebbe per lei il parco, e tutt’altro che banale, uso del colore. Un colore talora ridotto a traccia, cangiante, come quelladi una chiocciola, e forse anche troppo allusiva, ma che riveladavvero grande sensibilità, affidandola appena a reminiscenze cromatiche. Questo si percepisce dal vago insistere sui toni rossi everdi, che sono resi pallidi, prima che, quasi per incanto, la superficie esploda, in un gioco di cromismi – cromosomi? – consegnando la sua tela all’informale – infernale? e lasciando al bruno o al grigio ogni reminiscenza coloristica

En haut, dunque, cara Elsa, e, dall’alto continua ad approfondire il rapporto tra effimero e Eterno, tu che, sulle tracce del divino,memore sempre della pochezza umana, eri costantemente alla ricerca del bello: motiva ancora i passi di chi risale la valle, quasia ricercare, in un processo storicamente inverso, l’eterno senso delpassato. Aiuta ancora, indicando un migliore cammino, l’umanaprogenie di queste Valli et merci bien encore!

Carlo A. M. Burdet

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