Luigi Tenco, poeta fragile e incompreso

E’ una data triste, maledetta quella di venerdì 27 gennaio 1967.

Nello stesso giorno in cui, duecentoundici anni prima ( era il 1756) nasceva a Salisburgo il genio irregolare della musica Wolfgang Amadeus Mozart e nel 1901, agli albori del “secolo breve”, nella stanza numero 105 del Grand Hotel et de Milan nel cuore del capoluogo meneghino spirava dopo sei giorni d’agonia a causa di un ictus il Maestro Giuseppe Verdi, la musica conosceva uno dei suoi giorni più tristi. Nella camera 219 dell’Hotel Savoy di Sanremo, Luigi Tenco si suicidò dopo esser stato eliminato dalla diciassettesima edizione dell’omonimo Festival , alla quale concorreva in coppia con Dalida, con la canzone Ciao amore ciao. Il brano fu escluso dalla finale dalla commissione di ripescaggio che preferì alla canzone di Tenco e Dalida La rivoluzione ,interpretata da Gianni Pettenati e Gene Pitney. Luigi Tenco visse quel verdetto come una profonda ingiustizia, una ferita tremenda che lo gettò nella disperazione più nera. Mise fine alla sua vita con un colpo di pistola, lasciando un duro e disperato messaggio d’accusa: “Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda Io tu e le rose in finale e ad una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi”.  Tenco non aveva nemmeno ventinove anni, essendo nato il 21 marzo del 1938 a Cassine, tra le colline alessandrine alla sinistra del basso corso della Bormida. Considerato dai critici tra i più grandi cantautori italiani, esordì a vent’anni nel mondo della canzone, prendendo parte a diversi gruppi musicali. Con Fabrizio De André, Bruno Lauzi, Gino Paoli e Umberto Bindi diventò uno degli esponenti della cosiddetta “scuola genovese”, un gruppo di artisti impegnati nella canzone d’autore che rinnovò profondamente la musica leggera italiana. Luigi Tenco era un cantautore di talento e dalla personalità inquieta, introversa, decisamente crepuscolare. Al suo primo 45 giri  (I miei giorni perduti)  del 1961 seguirono altri brani molto apprezzati,  come Mi sono innamorato di te, Un giorno dopo l’altro (sigla di coda della serie TV Il commissario Maigret, interpretato da Gino Cervi), Lontano, lontano e Vedrai vedrai. Nel 1972, cinque anni dopo la sua morte, l’infaticabile Amilcare Rambaldi, costituì a Sanremo il Club che porta tuttora il nome del cantante, con lo scopo di riunire tutti coloro che si propongono di valorizzare la canzone d’autore. In sua memoria, ormai dal 1974, il Teatro Ariston di Sanremo ospita il Premio Tenco, manifestazione a cui hanno partecipato i più grandi cantautori degli ultimi decenni. A noi, oltre mezzo secolo dopo, cosa resta? Restano la sua poesia, le sue canzoni, la sua aria imbronciata e triste. E le parole della sua ultima canzone: “La solita strada, bianca come il sale;il grano da crescere, i campi da arare. Guardare ogni giorno , se piove o c’e’ il sole, per saper se domani si vive o si muore, e un bel giorno dire basta e andare via. Ciao amore, ciao amore, ciao amore ciao”. Ciao, Luigi.

Marco Travaglini

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