Estro made in Italy e nuovi americani

CALEIDOSCOPIO ROCK USA ANNI 60

Già in precedenti articoli ho accennato al fatto che nel mondo del garage rock USA di metà anni Sessanta la bandiera a stelle e strisce non di rado si intrecciasse abbondantemente col tricolore italiano. Specialmente nelle grandi aree urbane della costa atlantica (New York, Boston, Philadelphia), erano innumerevoli i musicisti di origini o ascendenze italiane che si trovavano particolarmente a proprio agio nelle sezioni ritmiche delle bands (basso, batteria, più di rado all’organo). Ma cognomi italiani erano pure frequentissimi a livello di produzione musicale; e in questo caso la distribuzione geografica era più omogenea, anche nelle aree del Midwest, degli USA centrali o centro-occidentali e abbondantemente su tutta la costa pacifica, ma in primis nell’area attorno Los Angeles. Non è un mistero che il carattere aperto, socialmente attivo e coinvolgente degli italiani avesse buon gioco nello stringere relazioni e conoscenze, nel creare quella rete fondamentale per gestire il management musicale, le date dei concerti, gli eventi di opening da parte di bands di secondo piano. Tutto questo “sottobosco” intricato e di instancabile vivacità era proprio il terreno ideale per la duttilità e la scaltrezza tipica del “fare di italica maniera”, con una gestione basata su creatività, capacità di improvvisazione e ingegno nelle situazioni meno favorevoli (se non del tutto avverse) allorquando sagacia e perspicacia erano il sale del “saperci fare”; non di rado infatti gli americani (ancora fin troppo “inquadrati”, razionali e logicamente lineari) si sorprendevano della capacità dei “nuovi americani” italici (estrosi, dinamici, istintivi) di intravedere opportunità, genio e spirito creativo anche in controluce e “in filigrana”, laddove nessuno avrebbe scommesso mezzo dollaro sulla buona riuscita di un’impresa o di un progetto avviato. Tra le svariate case discografiche che coinvolsero anche cognomi italiani tra produttori e discografici, si segnala qui l’etichetta ”Rally Records” di Los Angeles, che a mio modesto parere tra i soli 6-7 numeri di catalogo prodotti seppe sfornare (dopo gli esordi jazz/funk) almeno un paio di 45 giri garage / psych garage di buon valore. In Rally Records agivano Bob Todd, Dan Gates, Dave Briggs ma anche la compagine “tricolore” con George Motola, Joe Saraceno e Tony Butala (quest’ultimo, in particolare, instancabile collettore di talenti e dall’innato “fiuto” per gruppi emergenti scovati quasi dal nulla).

Si riporta qui in chiusura il ridotto catalogo di Rally Records (1965-1967):

– Billy Quarles “Bringing Up What I’ve Done Wrong” / Billy & The Ar-Kets “Little Archie” (501) [1965];

– Beverly Noble “Better Off Without You / Love Of My Life” (502) [1965];

– Hillary Hokom [Suzi Jane Hokom] “Can’t Let You Go / Tears Of Joy” (503) [1965];

– The Agents “Gotta Help Me / Calling An Angel” (504) [1965];

– The Grodes “Love Is A Sad Song / I’ve Lost My Way” (505) [1966];

– Perpetual Motion Workshop “Infiltrate Your Mind / Won’t Come Down” (506/507) [1967].

Gian Marchisio

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