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“Chi ha fatto il turno di notte”. Izet Sarajlic tra poesia e impegno civile

 

L’ANGOLO DELLA POESIA

Di Gian Giacomo Della Porta e Mara Martellotta

 

 

Izet Sarajlic, nato a Doboj nel 1930, è stato uno dei più importanti poeti bosniaci del Novecento.

Si trasferì a Sarajevo nel 1945 dove conseguì la laurea in Lettere presso la Facoltà di Filosofia.

Fondò nel 1954 un’originale movimento di innovazione poetica chiamato “Giornate poetiche di Sarajevo”.

Il suo impegno civile emerse in tutta la sua bellezza e tragicità durante l’assedio di Sarajevo in cui perse le due sorelle Nina e Raza. Fu una delle pochissime personalità a rimanere in città per rinfrancare lo spirito dei suoi concittadini per i quali, nelle buie notti di guerra, tra il frastuono delle bombe, organizzava letture di poesia.

Da questa circostanza nacque un suo modo di dire che, una volta terminata la guerra, propose al pubblico per rimarcare l’importanza che ebbe la poesia in quei tragici momenti: ”Chi ha fatto il turno di notte per impedire l’arresto del cuore del mondo? Noi, i poeti”.

Sarajlic dimostrò quanto la musica e il potere di una parola consapevole potessero accendere un lumicino nell’oscurità portata dalla disperazione generale. Ebbe molti rapporti con l’Italia, Paese che amò intensamente, nonostante gli avesse portato via l’amato fratello durante la seconda guerra mondiale.

Sarajlic dichiarò : ”Mio fratello non fu ucciso dalle camicie nere italiane, ma dalle camicie nere del mondo”.

Infatti ebbe molte collaborazioni soprattutto nella città di Salerno con il grande poeta italiano Alfonso Gatto e, successivamente, con la Casa della Poesia di Baronissi, della quale fu nominato presidente onorario.

Dal 2002 la Casa della Poesia organizza a suo nome un Festival internazionale nella capitale bosniaca.

Ricevette il suo ultimo premio, il Moravia, proprio in Italia.

Morì nel 2002 a Serajevo.

La sua poetica si esprime, oltre che nell’impegno civile, anche nell’amore per sua moglie, di cui rimase vedovo. La sua perdita lo relegò a una vecchiaia malinconica, segnata dalla sensazione di non essere più un essere completo in se stesso, e ricercando continuamente la figura amata.

Molto rappresentativi sono i versi “Magari fosse ancora quel terribile/ quel tante volte maledetto anno 1993!/ Avrei ancora cinque anni pieni/da poterti guardare/e da tenerti per mano”.

Lo stile utilizzato da Sarajlic è quello del verso libero, uno stile che gli garantiva la possibilità di arrivare alle emozioni della gente senza essere vincolato o ingabbiato dalla metrica. La sua è una poesia semplice, comprensibile a tutti e che tratta argomenti universali. Ognuno di noi può riconoscersi, all’interno delle personali e particolari esperienze, tradotte in versi da Sarajlic.

“Quei due abbracciati sulla Riva del Reno a Gotlieben/ potevamo essere anche tu e io/ ma noi due non passeggeremo mai più/ su nessuna riva abbracciati/Vieni, passeggiamo almeno in questa poesia”.

 

 

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