Salvatore / “Facce da scuola” 4

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Quarant’anni fa, a Vallette… I “migliori” anni della mia scuola

Gianni Milani

Per anni ho conservato appeso nel cucinino del mio primo  alloggio da “maritato” in via Invorio, a ridosso della Pellerina, il suo regalo di nozze. E ho dovuto lottare con Patrizia, mia moglie, perché non subisse anch’esso l’ingloriosa fine di mille altri cadeaux da matrimonio rotolati “per caso” a terra o irrimediabilmente perduti (in imballaggi killer!) nella disperazione generale di parenti, amici, conoscenti e affini. Era una specie di dipinto naif, quello regalatomi da Salvatore. Credo fosse una  tempera su vetro raffigurante una più che sobria “natura morta”, una bottiglia filiforme messa lì a fissare dall’alto del suo lungo collo “alla modì” un misero frutto (non ricordo quale) tagliato a metà e adagiato di sghimbescio sul piano di un altrettanto misero tavolo. Certo non era un granché sotto l’aspetto estetico. Ma per me e per lui significava più di una “firma” d’artista. Era il segno tangibile di un affetto profondo nato fra le pareti di un’aula. Al di qua e al di là della cattedra. Tre anni alla “Carlo Levi” in cui Salvatore credo abbia ricevuto e donato all’infinito in termini di umanità. Lui era il grande e grosso “angelo” buono della classe. Sempre pronto a star dalla parte dei più deboli. Loro difensore, verbalmente e, all’occorrenza, anche “manualmente”. Dal padre muratore aveva ereditato due manone da paura e un fisicone che, già alle medie, gli attirava in abbondanza le simpatie del popolo femminile. Arrivava dalla Sicilia. E a Torino era “salito”, mi pare di ricordare, solo con il padre. Della madre non l’ho mai sentito parlare. Ma gli mancava tanto e lo si capiva bene. Qualche volta al mattino si pigliava la sedia, arrivava triste alla cattedra e piagnucolava profe, oggi posso stare vicino a te? Erano i momenti della memoria. Fatti di un’ingarbugliata tristezza che faticava a venire a galla per dare, forse, un po’ di sollievo. Papà Antonio si occupava molto di lui. E alla scuola teneva parecchio. Spesso si presentava ai colloqui. Mi “spezzava” quasi la mano destra nella sua destra, dove il bianco della calce, più forte dell’acqua e sapone, stentava a scomparire del tutto e mi ripeteva ogni volta  Tore deve imparare a leggere e a scrivere e a far di conto, ma soprattutto io ci tengo all’educazione, guai se vi manca di rispetto e si comporta malamente.

 

Era un bravo papà. E Salvatore lo sapeva e lo amava profondamente. A 13 anni, Tore era già uomo tutto d’un pezzo. Educatissimo, studioso pur fra mille difficoltà lasciategli addosso da una preparazione scolastica – come si usava allora e credo si usi ancora oggi dire – alquanto lacunosa. Quando all’esame finale di terza media terminò le prove orali, mi si fece appresso in corridoio e mi abbracciò senza risparmio di energie.Grazie di tutto, prof. urlò quasi. Sei stato grande, Salvatore, devi essere contento e anche il tuo papà lo sarà gli dissi, commuovendomi un po’. Era il giugno dell’80. Fammi avere tue notizie gli ricordai. Lui annuì, poi mi girò le spalle e se ne andò, libri in mano, abbracciato a grappolo dai compagni. Lo rividi una decina d’anni dopo. Uno dei tanti incontri a distanza con allieve e allievi di un tempo che, coi loro anni, coi loro matrimoni, coi loro figli ti fanno sentire inesorabilmente e improvvisamente vecchissimo, nonostante la gioia di essere stato, proprio tu, riconosciuto da loro. Fu per caso che tornai ad imbattermi  in Salvatore. L’auto quasi a secco, un distributore di benzina. Ancora a Vallette, via Sansovino. Cicli e ricicli storici. Sto infilando la pompa del carburante nell’apposita finestrella dell’auto, con la solita imbranataggine che mi blocca ogni volta che devo esprimermi in gesti di banale manualità. Ma…professò…è proprio lei!? Mi giro e il finanziere, l’agente in divisa grigio-verde che mi trovo davanti, una mole d’uomo, sorride allargando le braccia. Mi afferra come una piuma e mi solleva come fosse Benigni con Pippo Baudo. Salvatore! Il suo abbraccio era inconfondibile e soffocante e rinvigorito dal  tempo. Mi rimette a terra e mi srotola addosso più di dieci anni di vita. Il diploma, il servizio militare, l’ingresso nelle “Fiamme Gialle”, una fidanzata da sposare non appena sistemato. Il solito grande, bravo ragazzo. E’ un fiume in piena, Salvatore. Mi aiuta anche – meno male – a riempire il serbatoio dell’auto. Poi mi riabbraccia. E’ lo stesso ragazzone di sempre.

 

Sono contento, professò!Grazie alla scuola, grazie a te. Che pazienza avete avuto tutti, ma ne è valsa la pena! Oggi so di aver scelto la strada giusta!Aveva ragione Salvatore. Ed ora eccolo lì, con i conti della vita in ordine e la voglia di una vita semplice e normale, con una moglie, i figli, il papà che toccherà il cielo con un dito se presto gli regalerà un nipotino. Eccolo Salvatore, nella sua perfetta inappuntabile divisa da finanziere. Avrei voluto impacchettarlo e portarmelo via come un trofeo: guardate gente quello che la scuola riesce ancora a fare…  anche alle Vallette, alla Falchera o a Mirafiori! Poi lo guardo fisso negli occhi: Bravo Salvatore, ce l’hai fatta. E’ proprio vero quello che allora ci dicevamo. Ricordi? Fuori di qui, spetta a voi scegliere. O con la legge o contro la legge! O ‘salvati’ o ‘sommersi’! E quante, purtroppo, le scelte sbagliate. Tante, troppe. Arrivate al capolinea di una panchina. La siringa ancora in vena. E i visi da bambino, terrei e increduli con quegli occhi sbarrati a trattenere le sagome di un piccolo mondo fatto di palazzoni infiniti e piccoli giardini, invisibili nella nebbia invernale e paesi di sedie con popolo vociante nella calura delle notti estive. Scelte. A volte terribili, senza via di ritorno. Rotolate dietro la porta di una cella  dove entrare ed uscire all’infinito o dietro deliri d’onnipotenza con bottiglie di birra infilate in gola, senza uscite di sicurezza né alternative a vite da vivere così o niente. O guardie o ladri, insomma, Salvatore! E Salvatore, per grazia del cielo, aveva scelto da par suo. Era diventato “guardia”! Nel vero senso della parola.

Gianni Milani

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