Il mecenatismo di Riccardo Gualino, il grande appassionato d’arte

Il nuovo riordino, nei Musei Reali, con il contributo della Consulta

Quando nel 2014 la Galleria Sabauda lasciò il piano superiore dell’attuale Egizio per trovar posto nella Manica Nuova di Palazzo Reale, la Collezione Gualino fu relegata al terzo piano, uno direbbe quasi nascosta, inavvicinabile. Nella nuova configurazione dell’intero Palazzo, in un alternarsi di indovinate scenografie, dalle sale in cui sono riproposte le opere dedicate alla pittura rinascimentale piemontese a quelle a piano terreno, dal febbraio di quest’anno, dedicate alla Galleria Archeologica (senza dimenticare, nell’interezza del complesso, i Giardini Reali e la Cappella della Sindone, il riordinamento avanzerà e chissà se si concluderà l’anno prossimo con la raccolta del principe Eugenio, che occuperà le sale del secondo piano poste verso il corso Regina Margherita), la collezione dell’illuminato industriale e mecenate ha preso oggi forma, nell’allestimento dell’architetto torinese Loredana Iacopino (una tranquillizzante pennellata verde salvia alle pareti, un elencarsi di angolature e di piccoli spazi, un disegno prospettico che dal lungo corridoio s’allunga sino a spingerci a portare il nostro occhio verso le chiome e le forme sinuose e il pudore della “Venere”, capolavoro dell’arte botticelliana, vera regina di quelle sale), 120 opere a ricordarci l’amore per l’arte, rivolto in più direzioni, dell’uomo. Con l’investimento da parte della Consulta – da 35 anni alla valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, 38 oggi le aziende socie, una stretta collaborazione iniziata con i Musei Reali nel 1998 con la realizzazione della Sala Leonardo presso la Biblioteca Reale – di 80 mila euro, si allineano altresì le opere del collezionismo sabaudo settecentesco, grande organizzatore Filippo Juvarra, sette ambienti con i nomi di Francesco Solimena e Sebastiano Ricci, di Gaspar van Wittel e Charles-André van Loo, per arrivare alle due splendide vedute di Bernardo Bellotto, di cui ammiriamo oggi la “Veduta di Torino dal lato del giardino reale”, essendo il suo pendant, ovvero la “Veduta dell’antico ponte sul Po a Torino”, attualmente in prestito temporaneo al Castello Reale di Varsavia per la mostra “Bernardo Bellotto. On the 300th Anniversary of the Painter’s birthday”.

In un riordino che guarda essenzialmente “alla più ampia accessibilità dei contenuti e delle grandi storie racchiuse nel patrimonio ella Sabauda”, ancora sottolinea Enrica Pagella, direttrice dei Musei Reali: “Per Gualino, la vita e le passioni di un fine collezionista si intrecciano ad una storia della produzione artistica che va dall’antico Egitto all’Ottocento, abbracciando pittura, scultura e arti decorative. Un percorso che meritava di essere sorretto da un allestimento nuovo e adeguato, sia in termini di articolazione di spazi e di luci, sia per i supporti esplicativi.” Soprattutto al lavoro e al gusto di Annamaria Bava, responsabile delle Collezioni d’Arte e di Archeologia dei Musei Reali, va la sensibile sistemazione del materiale pittorico e scultoreo: “A seguito dei recenti studi ad ampio raggio condotti sulla figura del finanziere piemontese in occasione della mostra “I mondi di Riccardo Gualino collezionista e imprenditore”, allestita nelle sala Chiablese nel 2019, risultava ormai imprescindibile restituire anche una giusta dimensione alla straordinaria raccolta di un personaggio che, in primis nel mondo dell’arte e dell’industria, ma anche in tanti altri campi, ha segnato la storia della città di Torino all’inizio del Novecento.”

In una prima sala multimediale ha inizio il racconto dell’imprenditore, grande protagonista della storia artistica e non soltanto del Novecento. Sete di conoscenza e fittissima rete di conoscenze, spirito cosmopolita e desiderio d’affermazione, Gualino coltivò nell’arte una delle sue più prepotenti passioni, lui proveniente da una agiata famiglia biellese – era nato nella città del tessile nel 1879, si spense a Firenze nel giugno del 1964 – di imprenditori orafi, capace di interessarsi nel corso della propria vita, nel campo lavorativo, al commercio di materiale edile, di entrare in rapporto con la famiglia Perrone dell’Ansaldo e e con quella dei Piaggio, di dar vita all’Unione Italiana Cementi, di acquistare 23.000 ettari di foresta nei Carpazi meridionali, nel cuore della Transilvania, per costruire un grande e moderno stabilimento per la lavorazione del legname, con annessi case, ospedale e mensa per gli operai, di immergersi nella costruzione dei nuovi quartieri residenziali parigini come fornitore eccellente di cemento e laterizi, di buttarsi a capofitto nel progetto immobiliare promosso dalla Duma a San Pietroburgo, a partire dal 1913. Progetto che la Rivoluzione d’Ottobre cancellò, costringendo Gualino e la moglie Cesarina Gurgo Salice, sposata nel settembre del 1907, ad una fuga improvvisa quanto avventurosa. Furono poi i tempi della SNIA, l’acquisizione di quote della Renault e della Peugeot, della fondazione della Banca Agricola Italiana, della costruzione del castello di Cereseto, progettato dall’ingegner Tornielli e presto pronto a ospitare i molti reperti archeologici e le opere d’arte che la coppia andava acquistando nel propri viaggi in giro per il mondo (ma anche la casa torinese di via Galliari aveva lo stesso fine: si veda il raro piatto cartaginese del VI secolo e il gruppo scultoreo egizio della IV dinastia, acquistati con altri cento pezzi nel 1924 durante un viaggio in Egitto, visitando la galleria del celebre Maurice Nahman al Cairo), e poi una zampata nel cioccolato torinese e nei teatri della Ville Lumière. Arrivò persino a fondare la Société Anonyme des Cafés et Restaurants che deteneva la proprietà di alcuni tra i più famosi bistrots parigini. Poi un occhio alla Florio e uno alla Cinzano. E ancora il Teatro di Torino dei Ballets Russes e del teatro kabuki (numi tutelari Felice Casorati e Gigi Chessa), il tracollo e il confino a Lipari, visti i rapporti sempre meno allineati con il fascismo, il trasferimento a Roma e la nascita cinematografica, nel 1935, della Lux Film, apprendistato per le future imprese di Carlo Ponti e Dino De Laurentiis, etichetta tra i tanti titoli delle “Miserie di Monsù Travet” e di “Anna” e di “Riso amaro”, di “Senso” e del “Brigante di Tacca del Lupo” e dei “Soliti ignoti”. E molto altro ancora.

La collezione, costruita passo dopo passo con i consigli di Lionello Venturi (un’amicizia che risaliva al 1918) e di Bernard Berenson, e dello storico dell’arte finlandese Osvald Sirén per quanto riguardava le acquisizioni di arte orientale, ceduta nel ’31 per volontà dello Stato alla Sabauda, si potrebbe aprire con quell’idea di “casa museo” che a Cereseto aveva il proprio autentico specchio. Case museo come Poldi Pezzoli e Bagatti Valsecchi a Milano, come Frederick Stibbert a Firenze. Oggetti in dialogo tra loro, abbinamenti che raffiguravano il gusto personale del proprietario: qui la “Madonna con il Bambino” di Andrea di Giusto Manzini, collaboratore di Masaccio, un altare ad ante mobili, destinato forse a una cappella privata ed eseguito tra il 1440 e il 1450 e il “Cristo benedicente” di Antoniazzo Romano tra ori e mobili, piccole sculture e avori, non ultima bellezza il “Volto di donna” di Francesco Laurana, il grande Crocefisso ligneo affiancato dall’Addolorata (in una elegante e inusuale rappresentazione di tre quarti) e dal San Giovanni Evangelista di Paolo Veneziano.

Di particolare fascino “L’uomo col libro”, attribuito all’epoca dell’acquisto ad Antonello per poi essere dirottato su un anonimo “pittore veneto” della fine del XV secolo, ma non meno di felice fattura; la “Madonna in trono”, un tempo tra gli arredi dell’ambasciata italiana a Londra, definita semplicemente la “Madonna Gualino”, opera di Duccio da Boninsegna (1280 – 1285), tra l’autorità della Vergine e l’affetto del Bambino in cerca di conforto nell’abbraccio della madre, colta dall’appassionato ricercatore sul mercato veneziano. E ancora la “Natività” di Signorelli (confrontabile con gli affreschi eseguiti dal pittore all’interno dell’abbazia di Monte Oliveto Maggiore, vicino Siena, intorno al 1497), il minuscolo “Venere e Marte” di Veronese, acquistato sul mercato americano, databile tra il 1575 e il 1580, con il simbolico Amore pronto a imbrigliare il cavallo alle spalle degli amanti e l’affascinante “Madonna con il Bambino” di Giovanni de’ Predis, stretto collaborazione di Leonardo.

Un angolo dei Musei Reali certamente da visitare, e approfondire, anche per la certezza che, grazie all’arrivo nei mesi scorsi di una ventina di giovani a presidiare il luogo, la Collezione non incorrerà più nel dubbio della possibile apertura o no: fattaccio che in passato troppo spesso succedeva proprio per la cronica mancanza di personale. Di una continua apertura assicura Enrica Pagella, “grazie a queste nuove risorse del museo, credo che questo problema sia ormai superato”.

Elio Rabbione

Nelle immagini di Davide Bozzalla: la “Venere” botticelliana, vera star della Collezione Gualino; al fondo, “Madonna con il Bambino in trono e angeli” di Duccio da Boninsegna; in primo piano, “Ragazza che si affaccia alla finestra” attribuito alla scuola di Rembrandt (1650 – 1670) e sul fondo  “Venere e Marte” di Veronese; in primo piano, “Volto di donna marmoreo” di Francesco Laurana (1470 – 1480)

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