L’ultimo crack riguardante le cosiddette criptovalute è il fallimento della “piattaforma” Ftx, che rischia di mandare in fumo oltre 30 miliardi di dollari versati fiduciosamente da oltre un milione di investitori che hanno acquistato il “token” FTT emesso dalla società.
La notizia riapre drammaticamente il tema dei rischi connessi alle criptovalute, un mondo parallelo in cui ormai pullulano oltre 9.500 diverse monete virtuali, alcune note in tutto il mondo (Bitcoin, Ethereum, Shiba, Dogecoin) altre assolutamente sconosciute alla disperata ricerca di un po’ di notorietà.
Elemento comune a tutte è il fatto di essere emesse e di circolare in assoluta libertà, senza alcun collegamento a Stati, ad economie nazionali, a valori reali: sono “progetti informatici” che promettono mirabilie, in certi casi hanno una (limitata) utilità ma generalmente rappresentano solo una flebile speranza di diventare ricchi in poco tempo grazie alla crescita del loro prezzo.
I sostenitori della “libertà di emissione” sbandierano i fantasmagorici risultati del bitcoin (il primo esempio al mondo di valuta decentrata), passato da 7 millesimi di dollaro del 2009 a 68.000 dollari del novembre 2021 (una performance impossibile da esprimere in percentuale).
Ma a fronte di queste mirabilie si contrrappongono numerosi episodi drammatici, non solo per i tracolli che già in tre/quattro occasioni hanno provocato perdite ingenti agli speculatori/investitori (negli ultimi dodici mesi Bitcoin ed Ethereum, i due giganti delle criptovalute, hanno generato perdite per oltre 700 miliardi di dollari!), ma anche per crack dovuti a vere e proprie truffe o malversazioni realizzate da operatori privi di scrupoli.
Facciamo una rapida carrellata degli avvenimenti più significativi.
I primi incidenti iniziarono già nel 2011: due fra le maggiori piattaforme operative dell’epoca, Bitcoinica e Tradehill, furono attaccate da un gruppo di hacker, che svuotarono molti conti depositi dei clienti.
Nello stesso anno fu attaccata Mt. Gox, (piattaforma di negoziazione giapponese, una delle più grandi del mondo, arrivata a gestire il 70% delle criptovalute in circolazione), che però riuscì in parte a respingere il tentativo di furti. Ma nel 2014 la piattaforma ebbe un tracollo irrefrenabile che portò al fallimento. Un gruppo criminale sottrasse 850.000 bitcoin (circa 480 milioni di dollari ai tempi).
Nel 2018 è stata la volta di Bitgrail, una società italiana che usava un sistema complicato per investire in bitcoin: obbligava i clienti a passare attraverso una criptovaluta creata appositamente, il Nano Xrb. La società ha denunciato ammanchi per 17 milioni di Nano (pari, in base ai versamenti ricevuti dalla società, a 120 milioni di euro, fiduciosamente investiti da 230.000 risparmiatori), ed è stata dichiarata fallita. E’ in corso un processo per frode informatica, auto-riciclaggio, bancarotta fraudolenta, esercizio abusivo dell’attività bancaria.
Nello stesso anno l’austriaca Cointed GmbH (specializzata in transazioni per centinaia di milioni di euro gestendo l’estrazione di criptovalute in Austria e nell’Europa orientale) è stata dichiarata fallita per frode. I clienti hanno perso tutto.
Altro caso recente è quello della turca Thodex, fondata nel 2017, che ha improvvisamente chiuso il sito. Il proprietario Faruk Fatih Ozer è sparito nel nulla provocando l’integrale perdita dei depositi dei 400.000 clienti (controvalore oltre 2 miliardi di dollari).
In Canada la Voyager ha provocato perdite ingenti ai suoi clienti-depositanti investendo in un hedge fund Three Arrows Capital, specializzato in speculazioni su criptovalute.
Segnaliamo anche la notizia dello scandalo Africrypt (piattaforma exchange) una truffa con furto di criptovalute di oltre 2 miliardi di dollari di bitcoin in Sudafrica. Due giovani proprietari di una piattaforma di trading hanno prima intascato “soldi veri” per vendere criptovalute e poi, procedendo mediante servizi di “bitcoin mixing” (piattaforme software borderline in termini di legalità) hanno vaporizzato le criptomonete detenute dagli stessi clienti sulla loro piattaforma facendolo sembrare un attacco hacker. Attualmente sono irreperibili e le indagini in corso.
Il caso Celsius è emblematico della varietà di rischi legati alle criptovalute. Si trattava di una piattaforma che raccoglieva valute legali ed erogava prestiti in criptovalute. All’improvviso ha “congelato” i prelievi degli investitori a giugno e poi ha presentato istanza di fallimento a luglio.
Il “buco” è di circa 4,7 miliardi di dollari. Cavallo di battaglia della società il “Celsius Custody Service”, un prodotto reso disponibile nell’aprile 2022, descritto come “l’hub centrale per le attività digitali”, una sorta di deposito di denaro parcheggiato in attesa di essere spostato su opportunità più interessanti – il programma “Earn” – che prometteva attraenti rendimenti.
Nessuno ha letto la clausola di utilizzo della piattaforma: “Una volta che le criptovalute vengono trasferite a Celsius, la società ha il titolo di proprietà e la completa autorità di utilizzare gli asset come ritiene opportuno”.
Segnaliamo anche l’ultimo (per ora) caso di truffa in Italia, quello esploso a Silea (provincia di Treviso), dove aveva sede la NFT (New Financial Technology, l’inglese attira sempre…), emanazione di una società con sede a Londra, i cui titolari sono spariti dopo aver raccolto centinaia di milioni di euro da oltre 6.000 risparmiatori. Possibilità di ricuperare i soldi: nessuna, meglio non farsi illusioni. La sede italiana è una semplice succursale, eventuali reclami vanno indirizzati a Londra, eventuali cause legali vanno avviate nel Regno Unito, impossibile anche ipotizzare una class action collettiva. E’ un caso da manuale per la commistione fra l’appeal delle criptovalute che la società sosteneva di negoziare con algoritmi particolarmente efficienti (che garantivano il 10% mensile di profitto!) ed il vecchio sistema piramidale “alla Ponzi”. Molti clienti, infatti erano remunerati per portare nuovi investitori, grazie ai quali potevano essere pagati i mirabolanti profitti; ovviamente, finché entravano dei nuovi, poi quando il flusso è diminuito è scattato, come sempre, il meccanismo della sospensione dei pagamenti e della chiusura del sito.
Emblematico il caso Terra/Luna, un progetto basato sulla commistione tra una criptovaluta “a cambio fisso” (una “stablecoin” che garantiva la parità con il dollaro) ed un’altra a quotazione fluttuante. Purtroppo chi ha fiduciosamente versato i suoi dollari per acquistare la “stablecoin” si è trovato all’improvviso invischiato nel tracollo della valuta fluttuante, azzeratasi di valore in pochi giorni.
Inseriamo il link a questa interessantissima documentazione internazionale sulle frodi in ambito criptocrimine.
https://go.chainalysis.com/rs/503-FAP-74/images/Chainalysis-Crypto-Crime-2021.pdf
Purtroppo il mondo cripto è fuori da ogni regolamentazione, da ogni controllo, da ogni garanzia. I sistemi di protezione dei portafogli in criptovalute depositati presso le piattaforme operative sono efficaci, ma non è possibile escludere a priori l’eventualità di un furto ad opera di hacker particolarmente attrezzati. E l’assenza di autorità di vigilanza (che i sostenitori delle criptovalute evidenziano come fattore positivo…) espone chi si avventura nelle monete virtuali a perdite irricuperabili.
Consiglio finale: prima di ipotizzare di comprare bitcoin e simili, cercate di capirne la natura vera, al di là di slogan e di rappresentazioni puramente grafiche. Chi vuole può leggere il mio libro PINOCCHIOCOIN, che illustra, in maniera semplice e chiara, il variegato mondo cripto, fornendo anche numerosi suggerimenti delle cautele da adottare per contenere i rischi.
GIANLUIGI DE MARCHI
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