In memoria di Giovanna Spagarino Viglongo

(Nizza Monferrato, 1923 – Torino, 2022)

Al centro della Cultura torinese, una donna elegante, una signoracresciuta modesta e in umiltà.

Un insegnamento per le generazioni future che sapranno seguire il suo esempio e, comunque, un ricordo, anche se piccolo: il nostro!

Giovanna Spagarino Viglongo era la decana degli editori italiani e si è spenta, con l’inizio della Novena di Natale, poco più di un mese dopo il suo novantanovesimo compleanno. Monferrina di nascita, in tenerissima età si era trasferita a Torino, dove la madre, rimasta vedova, fu esempio efficace di tenacia e di lotta nelsistemare figlie e figli rimasti troppo presto senza il padre. Spesso, soprattutto negli ultimi anni, quando limitammo i nostri contatti auna telefonata per fine settimana, mi diceva della sua infanzia torinese nel quadrilatero romano così come delle sue andate in Monferrato in età ancora giovane per visitare i suoi parenti. Mi parlava degli ambienti, dei personaggi, e, con un racconto fluido e vivace come le scene di un film, si soffermava sui particolari più minuti della vita di allora. Bastavano pochi tocchi a rendere vivace e espressivo il racconto. Mi diceva della madre laboriosa e intraprendente, dei fratelli birichini, delle visite con accompagnamento, a volte ripetuto più di una volta, di quegli ospiti illustri che erano venuti a casa loro, dei meno illustri vicini di casa, poi dei mercati, del brulichio delle vie… e tutto era un formicolare di rinascita che la sua parola vivacizzava, malgrado i ricordi si allontanassero sempre più nel tempo.

Spesso, nel chiudere con lei una conversazione, mi lasciava il rincrescimento per non ricordare tutto ciò che mi aveva raccontato(perché non avevo preso appunti!?) e perché quelle testimonianze sarebbero sfumate troppo in fretta, perdendo tutta l’attenzione che si meritavano ma sono rimaste le impressioni, quelle sì, e una frase sua la conservo, perché davvero mi è cara: la vecchiaTorino rimase viva finché i vecchi torinesi la vissero con semplicità, frugalità e dignità! Poi, ancora, ricordo scene, anche popolari, dai suoi ricordi e anche i suoi cenni agli scritti di Gozzano, o di Salgari. Il suo racconto richiamava in vita quel mondo culturale torinese con il quale, fin da giovanissima, lei era vissuta a contatto, ben prima che la vita la coinvolgesse nell’attività politica editoriale e culturale del marito, il compagno di Gobetti e di Gramsci, Andrea Viglongo. C’era una forte valenza umana in tutti i personaggi che nominava, e la sua evocazione rendeva sempre una buona testimonianza a tutti poiché, nel corso degli anni, li aveva avuti prossimi, e tutti avevano scambiato qualche parola anche con lei, successivamente nel passare per le sedi della libreria Viglongo, a Torino. Tutti mantenevano dunqueun loro spazio ancora molto vivo. Ecco allora la memoria storicadella Signora Viglongo, e, con lei allora, tra gli altri, Norberto Bobbio, i parenti di Emilio Salgari, l’autore al quale la Casa Editrice aveva dedicato tanta attenzione, e Nino Costa e tanti altri autori, anche in piemontese… così, grazie alle sue parole, anche gli autori che non aveva mai incontrato prendevano vita.

Era stato per i miei interessi letterari piemontesi che lavevocercata, sul finire del Novecento, quando ancora raccoglievo notizie per il profilo storico di mio cugino Bono e, proprio su quegli argomenti, si improntò la nostra prima conoscenza. A ragion del vero però le nostre chiacchere non erano affatto monotone né tanto meno monotematiche. Lei era animata da una gran voglia di capire e di sapere, per cui era impossibile non dirle anche altro, ed io, con i miei argomenti, oggetto di ricerche durate spesso alcuni lustri, accettavo volentieri di parlargliene, perché da lei avevo sempre qualche riscontro, qualche cenno degno di attenzione, fosse anche solo un ragguaglio come quando mi descrisse il conte Patetta, dando all’aspetto fisico dell’intellettuale i cenni allusivi alla sua originalità, vale a dire, della sua stravaganza

Così, siccome era sempre attenta e sempre voleva sapere quello che stavo facendo, fu anche molto abile nell’indirizzarmi, almeno un paio di volte, perché indagassi argomenti nuovi sui quali era pronta, suscitato in me l’interesse, a fornirmi qualche traccia che potesse garantirle il mio interesse. Ecco nascere allora i miei approfondimenti su Maurizio Pipino, il medico che, nel Settecento, aveva affrontato studi linguistici sul piemontese, confluiti poi in una grammatica e un dizionario, o quelli intorno al passaggio di Cristina di Svezia per la Torino secentescaApprofondimenti che, scritti da me, avrebbero trovato spazio nelle pagine dell’Almanacco Piemontese, che allora ancora Viglongo pubblicava, oppure anche quegli altri ultimi, di circa dieci anni fa’, ispirati dai lacerti di un libro di Giuseppe Gaia, giornalista giramondo fin de siècle, che avrebbero formato l’ossatura per le pagine che mandai in stampa per i suoi novant’anni. Argomenti che, se mi distrassero un po’ da quegli altri che occuparono più lunghi periodi della mia vita, ebbero il pregio di offrirmi qualchevivacità, dandomi anche un esempio bellissimo della sua, e di come fosse grande la sua professionalità editoriale nell’intendere la collaborazione con i suoi autori. Fu un contatto vivace, che, oso credere, proficuo per entrambi, e che diede ai nostri ultimi incontri, anche se solo verbali, un senso molto ricco per i tanti aspetti intellettuali. Era contenta che io la aggiornassi sugli sviluppi delle mie ricerche e sugli esiti dei miei studi. Stava a sentire con lo stesso entusiasmo con cui io ascoltavo lei evocare il passato, anche quello più domestico e famigliare, perché, ero certoche, se mi avesse aggiunto anche solo qualche parola, avrei arricchito di luci preziose i personaggi di cui le parlavo (questo è sempre importante, in particolare quando ci si impegna, come ho fatto per anni su argomenti genealogici e di storia famigliare). Aveva poi sempre qualche risorsa in più quando mi diceva che aveva ritrovato un foglio, qualche pagina, un libro, e che l’aveva messo da parte per me, perché toccava argomenti di mio interesse. Questo, lo so bene, lei lo faceva per tanti studiosi dei quali taluni li aveva incontrati all’inizio dei loro studi, mentre altri li aveva presi già famosi professori universitari, ora sempre lei, con un sorriso, offriva a tutti il suo ausilio prezioso, senza che neppure le fosse stato richiesto La cultura è vero, diceva Don Franco Monetti, non è oggetto di commercio, ma la si offre, la si dona!

Ma aggiungiamo un ultimo ricordo a questa pagina. Nel 2002, alla morte di mia madre, qualche giorno dopo, lei mi cercò e, con tutta la sua squisita delicatezza, si fece presente, offrendomi la sua attenzione e le sue premure, con queste parole: «Ho saputo della sua mamma e volevo ricordarle che, se ha piacere di fare due parole nel suo ricordo, alla sera io sono sempre qua e rispondo volentieri allo stesso numero dell’ufficio…» perché, da quelle parole, seguirono vent’anni di premurose attenzioni e un affetto che oggi lasciano qui una commozione profonda

Carlo Alfonso Maria Burdet

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