Il convegno ha aperto il 40° TFF
Il cinema non gode proprio di una buona salute ma qualcuno oggi azzarda a dire che i sintomi di un più o meno rapido miglioramento s’incomincia a vederli. Cautela, tutti si sorridono ma si muovono in fin dei conti ancora con i piedi di piombo, forse l’allegria di aver fatto centro con certe opere italiane uscite di recente e soprattutto di essere tornati in sala, uno accanto all’altro, non più divisi da quegli odiosi nastri biancorossi, ormai lontani ma ben presenti nella memoria, non più a guardarsi in cagnesco se qualcuno mai ci provava a sedersi vicino a te, esempio inaudito della demonizzazione della sala cinematografica, ebbene senti che s’è ripreso a respirare un’altra aria. “Riportare il pubblico in sala” è del resto il ritornello pieno di combattiva speranza che ogni produttore e distributore ed esercente va ripetendo, il Piemonte è al secondo posto in Italia dopo il Lazio per set e giornate lavorative, la nostra Film Commission è osannata e ricercata da chi s’impegna a girare un nuovo film, cinema e televisioni la cercano, mai come in queste ultime settimane si sono visti parcheggiati in città mezzi di trasporto di nuove produzioni, il botto americano di pochi mesi fa ha riempito i cuori e le casse di gioia: poi, al termine della filiera, ci si accorge che qualcosa non funziona più o per lo meno certo come ci si dovrebbe aspettare. Vuoi allora l’aria del momento, vuoi la lodevolissima tempestività del presidente Cirio, arriva bene augurante la notizia di un aiuto, da parte della Regione, a strettissimo giro di decisione, dall’inaugurazione a 48 ore dopo, un nuovo piano di finanziamento per il triennio 2023/2025. Diventano quattro i milioni annui di euro cui s’aggiungono altri nove per le tante sale, non soltanto per renderle luoghi atti a ospitare manifestazioni culturali ed eventi ma altresì per attuare un prezioso restyling e un altrettanto augurabile adeguamento tecnologico. Quindi benvenuti ai complessivi 21 milioni triennali che porteranno modernizzazione e nuovi impegni.
Comunque, esuli ancora dall’euforia generale, venerdì scorso, alle 9 del mattino, il festival s’è svegliato con la sala 3 del Massimo gremita di addetti ai lavori, di curiosi, di operatori, di un selezionato gruppo di ospiti, in presenza e in streaming, per cui Gaetano Renda, agguerrito esercente di Centrale, Due Giardini e Fratelli Marx, ha potuto da provetto entertainer dare corpo a “Cinema mon amour – L’avventurosa storia del cinema nelle sale”, a quel convegno preparato per intere settimane forse per mesi, con cui poter rivedere e fare il punto sull’importanza della sala, sul suo rapporto “prioritario e imprescindibile” con la collettività, sul desiderio di tornare a incontrarsi e a scambiarsi idee, sul presente e sul futuro. “Vi siete contati, ragazzi?”, direbbe il cinefilo riportandoci alla mente “I guerrieri della notte” di Walter Hill: sì, siamo in tanti e si può cominciare.
Mentre la sottosegretaria alla Cultura Lucia Bergonzoni – in attesa che le siano affidate le deleghe allo Spettacolo – ribadisce l’attenzione dell’attuale governo per la nostra città (sarà la prossima settimana a Torino) quanto sia importante la ricaduta sul territorio, uno dei soggetti non ultimo, l’occupazione, Renda sottolinea come negli ultimi decenni la città sia passata ad essere da immagine di fabbriche e di industria a eccellenza culturale. Il presidente del Museo del Cinema, Enzo Ghigo esprime ancora una volta il concetto che “senza sale il cinema non c’è” nonché la volontà di tutta quanta l’organizzazione del festival a far sì che per questa edizione fosse offerto al pubblico completamente in presenza, pur in “una condizione pandemica non ancora del tutto risolta”.
Il solito vecchio problema sono le piattaforme, che con i comodi divani di casa propria continuano a rubare spettatori. O forse avrà ragione (noi crediamo “anche” ragione) Alberto Barbera, direttore della Mostra veneziana, quando nei mesi passati scatenò un mezzo putiferio per aver osato ribadire che non solo le piattaforme ma pure la “povertà” intellettuale (eguale “di intelletto”) di certe opere cinematografiche nostrane portava inesorabilmente all’abbandono o ad una massiccia rarefazione del pubblico. Apriti cielo! Ma il concetto è innegabile, tangibile, la commedia italiana diventa il capro espiatorio, la mancanza dell’attore del momento fa disertare, il vecchio stile come l’idea azzardata spaventano. Come altrimenti si spiegherebbe la cancellazione, nel giro di una sola settimana” di opere come “Brado” di Kim Rossi Stuart o di “War” di Gianni Zanasi? Chiaro comunque che quelle invasioni di campo di certi network non fanno la salute del cinema, certo che gli abbonamenti alla rete sono più comodi, certo altresì che occorrerà arrivare a inventarci formule nuove ad accompagnare le proiezioni. Come ci si debba anche interrogare come non sia possibile anche a casa nostra passare ai 150 giorni dei francesi i nostri soli 90 perché un film possa passare dallo schermo al quello televisivo di casa. Si dovrà frenare quel calo di spettatori che è stato nei primi sette mesi del 2022 del 56 e rotti per cento rispetto allo stesso periodo del 2019, il Piemonte dovrà riacquistare robustezza visto che è passato da un bacino di 4 milioni ad una cifra dolorosa di 1,8. Domenico De Gaetano, direttore del Museo del Cinema, osserva altre cifre: “Nelle due sale destinate al cinema Massimo alle prime visioni il calo è stato del -44%, nella sala 3, dove sono proiettati i classici, si è registrato un -15%, il che significa che la passione per il cinema non è mai venuta meno”.
Un eccellente intervento, chiaro e appassionato, dati e idee alla mano, è arrivato da Barbara Bruschi, presidente Aiace Torino. Forse da lei, docente universitaria che coglie da una ragazza, nei corridoi di Palazzo Nuovo, la frase “se è per andare a vedere un film allora me ne sto a casa”, forse il grido più affannoso. Narra di un’America che, attraverso studi e dichiarazioni, denuncia la disgregazione di certe comunità quando si è visto meno pubblico in una sala di bowling, quando le immagini di certi servizi ci rendono la solitudine domestica o lo sguardo di un televisore in ogni stanza, con la cancellazione di ogni rapporto familiare, con la separazione netta di fasce d’età, con il chiudersi senza se e senza ma nel proprio mondo ristretto. Anche lei, come Renda, come tutti gli altri, esprimono la necessità di spostare le persone verso la sala intesa come luogo di aggregazione, imperdibile e decisamente auspicabile: qualcuno sogna che presto le sale possano essere intese come “bene culturale”. Ancora una ventata di ottimismo da Enzo Ghigo, per quanto riguarda il Museo del Cinema: “Nel ponte dei Santi più di 13.700 persone hanno visitato il Museo, noi tutti felicissimi se si pensa che proprio in quei giorni l’ascensore che porta alla terrazza della Mole era in manutenzione e che quindi ognuna di quelle persone che sono entrate lo hanno fatto perché soltanto attirate dalle esposizione e dalla mostra di Argento che avrebbero trovato sotto la volta dell’Antonelli”.
Elio Rabbione
Nelle immagini, Gaetano Renda organizzatore di “Cinema mon amour”; Steve Della Casa, direttore del 40° TFF, Enzo Ghigo e Domenico De Gaetano, Presidente e Direttore del Museo del Cinema.
Leggi qui le ultime notizie: IL TORINESE