Cronaca postuma di un paese che non esiste più

“Di dove sei? Della Jugoslavia. È un paese che esiste? No, ma io vengo da lì”.

Un dialogo breve e asciutto, mirabilmente sintetizzato dalla scrittrice croata Dubravka Ugreši ne “La confisca della memoria” svela molto bene il dramma della dissoluzione di quello che era il paese degli slavi del sud. E Bruno Maran, fotoreporter di Stampa Alternativa che ha firmato importanti reportage dalle zone più calde del pianeta, con il libro “Dalla Jugoslavia alle Repubbliche indipendenti. Cronaca postuma di un’utopia assassinata e delle guerre fratricide”, pubblicato da Infinito Edizioni, racconta con lucidità e passione la parabola della Jugoslavia. Un paese che dopo la prima guerra mondiale si chiamava Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, poi Regno di Jugoslavia e successivamente un’originalissima esperienza socialista e federale per oltre quarant’anni, dal 1945 al 1991. La Jugoslavia era il frutto unitario composto da sei repubbliche  e due  province autonome (nell’ordine: Croazia, Slovenia, Serbia, Montenegro, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia, Kosovo, Vojvodina ), formatosi dopo aver attraversato una tremenda guerra di liberazione dagli invasori nazi-fascisti, che provocò molti lutti e sparse rancori mai sopiti. Il paese venne così delineato da Josip Broz Tito e da Edvard Kardelj, il teorico e costituzionalista sloveno.  La “terra degli slavi del sud” si basava sulla politica della Fratellanza e Unità (Bratsvo i Jedinstvo) fra i diversi popoli jugoslavi, garantendo a ciascuno, comprese le minoranze nazionali, dignità, autonomia decisionale e rappresentatività istituzionale. Tito era infatti riuscito a bilanciare le rappresentanze etniche e a placare antichi odi in un equilibrio che appariva stabile, grazie probabilmente anche al collante dell’ideologia socialista rinnovata in chiave antistalinista e per alcuni versi filo-occidentale. L’originalità del progetto jugoslavo iniziò il suo declino nei primi anni ottanta, con la morte del maresciallo Tito. Nel 1991 scoppiò la guerra, che portò nell’Europa di fine Novecento i crimini contro l’umanità, lo stupro etnico, il genocidio, l’urbicidio di Sarajevo e di altre città, la fuga di milioni di profughi, per concludersi con una pace ingessata, cui fece seguito una guerra “umanitaria” in Kosovo e Serbia. Un modo drammaticamente coerente per chiudere un secolo segnato dalle guerre. Il libro di Maran è la storia di quel Paese, anno per anno, giorno per giorno. Un lavoro paziente, di ricerca, con il quale l’autore ha realizzato un testo per alcuni versi di fondamentale importanza per chi vuol conoscere questa parte della storia europea e un paese dove – secondo i più – è iniziato ed è finito  nel sangue quello che lo storico britannico Eric Hobsbawm definì il “secolo breve”. Un libro di storia, dunque. Da leggere, come meritano questi libri, con calma.  “Questo libro ci aiuta a comprendere il presente facendoci conoscere settant’anni e più di passato e ci consente di immaginare, o quanto meno, di auspicare, un futuro possibile”, ha scritto  Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. “Un futuro che, per quanto mi riguarda, deve comprendere, perché sia tale, due concetti fondamentali: giustizia e diritti”. Temi ricorrenti, spesso violati, a volte dimenticati che si accompagnano al bisogno di ricostruire storie e vicende partendo dai fatti. “La lettura del lavoro di Maran dimostra come gli eventi tragici verificatisi nei Balcani non affondino le loro ragioni in un atavismo tribale, bensì in “semplici” e fin troppo evidenti scontri tra gruppi di potere interni allo spazio jugoslavo e sostenuti da potenti alleati stranieri”, sottolinea Luca Leone, autore dei più importanti libri sulla Bosnia. Che aggiunge come “a restare stritolati, sfregiati, dilaniati, alla fine sono sempre i popoli, la giustizia e la verità”.  Soprattutto in questi paesi dove la storia è passata come un vento impetuoso nel corso dei secoli, tanto da far dire a Winston Churchill che “gli spazi balcanici contengono più storia di quanta ne possano consumare”.

Marco Travaglini

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