“Vado a Roma per incontrare il mio Papa”
Quel “mio” non è solo riferito al fatto che chi mi parla porta la tonaca; si sente che è un possessivo che va al di là del puro “rapporto gerarchico”.
Non sono un brillante conversatore in treno (siamo sull’Intercity che parte da Torino per Roma), ma questa volta sono incuriosito.
“Guardi che è anche il mio papa”, gli dico con un tono volutamente provocatorio.
Voglio proprio vedere fin dove si spingerà questo parroco di campagna (chissà perché si fanno certe classificazioni così drastiche; ma questo è proprio un parroco di campagna); tracagnotto, sorridente, accaldato nella sua tonaca nera.
Mi guarda soddisfatto, si vede che gli fa piacere che il Papa abbia “incontrato”; ma non demorde di un pollice dalla sua posizione: “Questo Papa è mio e vado a Roma a rivederlo. Mi riceverà e gli ricorderò la mia predizione”.
Oggi siamo tutti disincantati in fatto di predizioni; in Italia ci sono più veggenti che contabili è tutta una variegata umanità che interpreta gli astri, legge le carte ed i fondi di caffè, ha le visioni e comunica con gli extraterrestri.
Ma questo parroco di campagna (non c’è niente da fare, più lo guardo più mi convinco che si tratta proprio di un parroco di campagna) ha qualcosa di diverso dagli altri: è semplice, spontaneo, non cerca facile gloria, vive il suo momento di felicità e si accontenta di poterlo comunicare ad un viaggiatore del treno Torino-Roma.
E così viene fuori la storia bella di un parroco che ha l’avventura di conoscere il cardinale Luciani ad un congresso eucaristico e di parlargli per due giorni nel 1977.
“E’ un uomo che affascina, è proprio l’uomo che ci vuole adesso. Io gliel’ho detto subito, perché l’ho sentito: gli ho detto: “Eminenza, fra un anno sarà Papa”. Proprio così, gli ho detto, ne ero sicuro ed adesso vado a ricordarglielo”.
Mi guarda e capisce che sono almeno perplesso; ma non importa.
“Non capita mica tutti i giorni di conoscere il Papa prima che lo eleggano, sapendo che sarà il Papa, ma a me è capitato, l’ho proprio sentito “.
Si ferma e tira fuori un fazzolettone per asciugarsi il sudore sulla pelata. Siamo quasi a Roma, ma il tempo non è cambiato; anche in Lazio è sempre un brutto respirare con questa umidità che ti si incolla addosso.
Siamo arrivati a Termini; lui va dal “suo” Papa ed io rientro nella folla anonima, accontentandomi di rivedere Giovanni Paolo in televisione.
Certo, invidio un po’ don… ma come si chiamava quel parroco di campagna?
Ecco, abbiamo viaggiato insieme per tante ore, mi ha reso partecipe della sua straordinaria esperienza, ma non mi ha neanche detto il suo nome.
Cercarlo alla stazione sarebbe follia, sarebbe più facile ritrovare un portafogli nel Sahara.
Addio, buon vecchio parroco di campagna, salutami il Papa e fagli sapere che è anche il “mio” Papa.
Anche se non lo sapevo prima.
GIANLUIGI DE MARCHI
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