CONSUMO DI SUOLO E RAPPORTO ISPRA. ABBANDONO E FRAGILITA’ I PROBLEMI STORICI DI ALPI E APPENNINI. RIDURRE IL CONSUMO FAVORENDO PEREQUAZIONE SUGLI AMBITI OTTIMALI, VALORIZZAZIONE DEI SERVIZI ECOSISTEMICI, FAVORENDO IL RIUSO DI EDIFICI E PAESI
Ridurre il consumo di suolo è per le aree montane del Paese una necessità che si accompagna alla necessità di valorizzare la superficie agricola, la gestione attiva delle foreste, i servizi ecosistemici-ambientali garantiti dal suolo stesso, la gestione di un territorio più ampio di quello del singolo Comune grazie ad ‘ambiti ottimali’ e a pianificazione su livelli amministrativi sovracomunali, tramite Unioni montane di Comuni e Comunità montane. Uncem ha seguito con particolare interesse la presentazione del Rapporto Ispra sul Consumo di suolo tenutasi oggi a Roma.
Negli ultimi decenni, contraddistinti indubbiamente dalla cementificazione, aree urbane e montane hanno avuto sul tema due diverse velocità di crescita. Anche rispetto al consumo di suolo. Nei piccoli Comuni e nelle aree montane, il consumo di suolo è da decenni inferiore a quello delle aree urbane. Il fronte edilizio e la pianificazione si intrecciano profondamente con aspetti antropologici ed economici, legati allo spopolamento e al continuo abbandono delle Terre Alte. In tutti i Comuni delle Terre Alte serve una perequazione sull’ambito ottimale di riferimento, che è l’Unione montana di Comuni o la Comunità montana nelle Regioni dove queste ancora esistono. Bisogna compensare quanto è stato fatto a valle, il consumo di suolo registrato nei centri più in basso, con quanto invece non è stato consumato a monte, nei Comuni che soffrono ancora spopolamento e abbandono.
La riduzione del consumo di suolo, verso un totale blocco al 2050 come imposto dalle direttive europee, si deve unire a nuovi modelli di valorizzazione del suolo e dei suoi servizi (in primis l’assorbimento di Co2), alla gestione sostenibile delle foreste come descritta nel Codice forestale varato dal Parlamento nel 2018, a una sussidiaria prevenzione del dissesto idrogeologico con prevenzione delle fonti idriche che si può attuare con sistemi di scambio tra città e montagna. Frane, dissesti, valanghe, tutte le fragilità dei territori impongono – agli Enti locali in primis, alle comunità, al valido e prezioso sistema di associazioni di protezione civile – una particolare dinamicità, azioni di prevenzione costante, ma anche resilienza e investimenti per ridurre i rischi. Anche grazie alla Strategia delle Green Communities, fortemente voluta da Uncem dodici anni fa e oggi finanziata dal PNRR.
Fondamentale agire sulla qualità del costruito e del recupero. Nelle aree montane, auspicati investimenti per il riuso di fabbricati dismessi, per la rivitalizzazione dei paesi, per la rigenerazione di pezzi di frazioni e borgate, si deve unire a tecniche costruttive Nzeb, per le quali gli immobili non consumano energia e non impattano sull’ambiente. Blocco del consumo di suolo sì, ma anche una capacità di favorire investimenti adeguati e nuove realizzazioni nelle aree montane affinché si determinino condizioni per portare nuovi posti di lavoro e nuovi servizi nelle aree interne del Paese. Green Communities, comunità nella sostenibilità dunque. È questo l’unico antidoto all’impoverimento e all’abbandono.
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