A cura di crp Medium
Tra le vittime anche tredici piemontesi
di Marco Travaglini
“La prima classe costa mille lire,la seconda cento,la terza dolore e spavento;e puzza di sudore dal boccaporto,e odore di mare morto…E gira, gira, gira l’elica.. e gira, gira che piove e nevica per noi ragazzi di terza classe che per non morire si va in America”.
Francesco De Gregori nel suo “Titanic”, ottavo album da cantautore, narrò in musica il triste viaggio dell’arcinota nave passeggeri britannica che affondò nelle gelide acque dell’oceano Atlantico dopo la collisione con un iceberg. Un disco memorabile, molto bello che propose attraverso la storia del Titanic un’amara e sarcastica metafora di un’umanità divisa in classi che si dirige verso il disastro. La storia vera e sventurata del Titanic trovò il suo tragico epilogo nella notte tra domenica 14 e lunedì 15 aprile 1912 con il tremendo impatto e il conseguente affondamento in una apocalittica sequenza:la massa dell’iceberg come uno spettro bianco nel buio della notte, il violento impatto e l’incontenibile avanzata dell’acqua nello scafo sventrato.
Erano le 23.40 e il supertransatlantico, salpato il 10 aprile dal porto britannico di Southampton nella contea dell’Hampshire per il suo viaggio inaugurale, si trovava quattrocento miglia a sudest della costa di Cape Race sull’isola canadese di Terranova. E’ lì che la nave più grande del mondo in quell’epoca si scontrò con l’enorme massa di ghiaccio. La vedetta Frederick Fleet l’avvistò quando era ormai a una distanza di mezzo chilometro, più o meno due volte la lunghezza dello scafo. Gridò allarmato “Iceberg di prua, signore!” e il primo ufficiale William M.Murdoch ordinò subito il timone “tutto a dritta” e le macchine “indietro a tutta forza”.
Ma era tardi e la repentina virata a sinistra si rivelò inutile. Trentasette secondi dopo l’avvistamento avvenne l’urto a prua, sulla fiancata destra della nave e più di un terzo dei sedici compartimenti stagni rimasero danneggiati. A una profondità di sei metri la nave iniziò ad imbarcare acqua e in poche ore quello che si credeva un colosso inaffondabile si spaccò in due, inabissandosi per sempre sul fondo dell’oceano.
Fu un colpo terribile al mito dell’infallibilità del progresso della scienza e della tecnica e molti vi intravidero il De profundis del sogno della Belle Époque prima ancora che la Grande guerra mandasse definitivamente in frantumi l’illusione di un nuovo secolo segnato da pace e benessere. La costruzione del Titanic aveva rappresentato il guanto di sfida lanciato dalla compagnia navale britannica White Star Line ai rivali della Cunard Line che in quegli anni dominavano le rotte oceaniche con i transatlantici Lusitania e Mauretania.
La nuova nave, completata in tre anni nei cantieri Harland and Wolff di Belfast e costata 7,5 milioni di dollari (equivalenti a più di 160 milioni di dollari di oggi), lunga 269 metri e larga 28, aveva una stazza complessiva di 46.328 tonnellate. Dotata di un motore a vapore alimentato da 29 caldaie venne salutata come un “gioiello di tecnologia e di sicurezza”, al punto da ritenerla “praticamente inaffondabile”. Per il primo viaggio venne stabilita la rotta da Southampton a New York, via Cherbourg e Queenstown. Preceduto il nome dalla sigla RMS (che indicava la funzione di servizio postale), il Titanic iniziò la navigazione mercoledì 10 aprile 1912. A bordo 1.423 passeggeri più 800 unità di equipaggio agli ordini del capitano Edward John Smith. Tra questi anche 37 italiani, la maggior parte dei quali lavorava come personale del ristorante. Le cabine erano divise in tre classi ( come sintetizzato bene nella canzone di De Gregori). Nella prima, la più lussuosa e costosa (il biglietto costava 4.350 dollari pari a oltre 80mila odierni dollari statunitensi) si accomodarono esponenti dell’aristocrazia e dell’alta borghesia dell’epoca, come il milionario Jacob Astor IV e l’industriale Benjamin Guggenheim, fratello del titolare dell’omonima fondazione artistica. Nella seconda presero posto gli appartenenti alla classe media.
L’ultima si riempì di emigranti che con un biglietto da 32 dollari cercavano fortuna nel “nuovo mondo”. Pare che nella fretta della partenza, rispettando i tempi previsti (sempre una cattiva consigliera, la fretta..) e per alcuni cambi negli ufficiali avvenuti all’ultimo momento, vennero dimenticati i binocoli, costringendo i marinai di vedetta a svolgere a occhio nudo la loro attività. Un elemento che si rivelò fatale nel corso degli eventi. La frenesia di raggiungere la destinazione nel più breve tempo possibile obbligò il mantenimento dei motori costantemente al massimo e la velocità non venne ridotta nemmeno dopo la segnalazione fatta pervenire al capitano Smith, nella tarda mattinata di domenica 14 aprile. L’avvertimento preventivo sulla possibile presenza di ghiaccio sulla rotta del Titanic non venne tenuto nella considerazione necessaria e dieci ore più tardi, nel fitto buio di una notte senza luna, quando le vedette lo avvistarono l’iceberg era ormai di fronte alla nave. A quella distanza e alla velocità di crociera di 20 nodi ( più o meno 37 chilometri all’ora) ogni tentativo di evitare l’impatto si rivelò inefficace. Alle 00.27, compreso che la prua del Titanic stava lentamente affondando, venne lanciato un SOS dal marconista Jack Phillips, raccolto dal piroscafo Carpathia, distante 58 miglia dal luogo dell’impatto. La fase delle operazioni di salvataggio fu drammatica. Le scialuppe a disposizione erano soltanto sedici e ognuna poteva contenere al massimo una sessantina di persone. Vuoi per inesperienza e cattivo coordinamento tra gli ufficiali nel caos del naufragio, in molti casi ne salirono un numero inferiore. Delle 2.223 persone a bordo ne sopravvissero 705, poco più di una su tre. Dei 37 italiani solo 3 degli undici passeggeri si salvarono. Gli altri perirono nelle acque dell’oceano. Tra questi 13 erano piemontesi, quasi tutti alle dipendenze di Gaspare Antonio Pietro “Luigi” Gatti, direttore e gestore del ristorante “A’ la carte” del transatlantico. Quasi tutto il territorio piemontese pianse delle vittime: due erano cuneesi (di Guarene e Roccabruna), quattro del torinese (di Burolo,San Germano Chisone,San Sebastiano Po e Tina, oggi frazione di Vestignè), un astigiano di Canelli e un vercellese di Alice Castello, due alessandrini di Fubine e del capoluogo, tre novaresi di Borgomanero, della città all’ombra della cupola di San Gaudenzio e l’ultimo di Cannobio, a ridosso del confine elvetico sul lago Maggiore. La storia di questi uomini è stata ricostruita dallo storico Claudio Bossi, uno dei massimi esperti sulla vicenda del Titanic, autore di molti libri sull’argomento tra i quali l’importante “Titanic.Storia,leggende e superstizioni sul tragico primo e ultimo viaggio del gigante dei mari”, edito da De Vecchi. Nei giorni immediatamente successivi al naufragio la notizia del disastro scioccò il mondo intero, creando le premesse per una profonda riflessione sull’episodio tant’è che venne convocata la prima conferenza sulla sicurezza delle persone in mare. Il 10 giugno 2001 morì nella molisana Isernia Antonio Martinelli: aveva ottantanove anni ed era ritenuto l’ultimo sopravvissuto del disastro del Titanic. Si era salvato, neonato in fasce, con la madre. Spentasi l’ultima voce a “parlare” sono rimasti migliaia di oggetti recuperati nel tempo, dai piatti al vasellame, dai documenti alla campana della nave. Ma il Titanic non sarà mai recuperabile, destinato a consumarsi lentamente nella silenziosa profondità dell’oceano.
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