Adriana Zarri e la gatta Arcibalda

Adriana Zarri, poetessa, scrittrice e teologa, giornalista e donna libera che sapeva comunicare, eremita per scelta nella campagna canavesana, amava molto gli animali, soprattutto i gatti.

L’ autrice che con i suoi scritti ha accompagnato le letture e la formazione spirituale e civile di molti cattolici, pubblicando per mezzo secolo su diverse testate dall’Osservatore romano a Il Manifesto, visse tutta la vita in maniera contemplativa, amando la natura, cosa che per lei era del tutto normale. Nella sua ultima fatica letteraria, pubblicata postuma dopo al sua scomparsa avvenuta nel 2010, intitolata La gatta Arcibalda e altre storie sono raccolti gli articoli “animalisti” che la Zarri pubblicò sulla rivista Rocca dal 1984 fino al giorno prima di morire. Si tratta di riflessioni sugli animali e sulla natura che raccontano il punto di vista dell’autrice su questioni sempre molto attuali e all’epoca in cui vennero scritte addirittura innovative, per certi versi dirompenti. Nel titolo è citata Arcibalda , la cui identità veniva svelata dalla teologa:“l’ultimo dei miei tanti gatti perché gatti ne ho sempre avuti”. Una gattona nera con la “macchia della Madonna”, una chiazza di pelo di colore diverso – in questo caso un ciuffetto di peli bianchi posizionati sotto la gola – che durante il Medio Evo “distingueva i gatti parzialmente neri dai gatti totalmente neri e li salvava dalle persecuzioni che si riservavano invece di norma a questi ultimi, messaggeri dell’inferno”. Nel libro Tutto è grazia, parlando della preghiera, raccontava così il rapporto speciale con gli amati felini: “Al mattino quando faccio la liturgia di solito sono vicino all’altare e vedo la mia gatta, la sua contentezza; il suo affetto è il suo modo di pregare. E allora la tengo lì e preghiamo insieme”. Ne La gatta Arcibalda e altre storie la teologa condivide i sentimenti e anche le sofferenze degli animali, da quelle del leone obbligato nel circo a rinunciare alla sua maestà, fino al cappone o al toro delle corride, torturati per la nostra ingordigia o la nostra crudeltà. Al pari degli antichi Adriana Zarri considerava come veri e propri simboli della contemplazione la civetta e il gufo, animali della notte in grado di scorgere quello che gli altri non possono vedere. Il suo  rispetto e lo sconfinato amore per gli animali costituiscono un esempio originalissimo ed elevato di ecologia che muove i suoi passi dalle forme di vita, iniziando dagli animali,che sono accanto a noi. Adriana Zarri si interrogava sulla liceità dei maltrattamenti a cui sono sottoposti gli animali da circo per il solo, egoistico, divertimento dell’uomo; sulla possibilità di diventare vegetariana per smettere così di causare dolore e morte ai suoi tanto cari amici animali; sulla sua vita di eremita in compagnia dei sempre amatissimi gatti e di tante altre “bestie” di vario genere; sui ritmi imposti dalla società che sono così tanto diversi e così sempre più diversi dai ritmi fisiologici della natura e degli animali. La raccolta di articoli che compone il libro è aperta da una prefazione che scrisse Luigi Bettazzi (attualmente lucidissimo 98enne, vescovo emerito di Ivrea) e raccoglie, pagina dopo pagina, la testimonianza dell’amore profondo e vivo in una donna che visse tutta la propria vita in maniera contemplativa e da amante della natura.

Marco Travaglini

 

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