Martedì 4 Gennaio, a partire dalle ore 18 in Piazza Castello e in concomitanza con Roma e Reggio Emilia, il collettivo Italiani per Assange scende in piazza per chiedere a gran voce la liberazione di Julian Assange. La data non è casuale ma cade nella ricorrenza della sentenza di primo grado che aveva bloccato l’estradizione di Assange dal Regno Unito agli Stati Uniti.
Il giornalista e attivista australiano è in un carcere del Regno Unito dal 2019. Il suo crimine? Aver rivelato crimini di guerra.
Formalmente l’accusa è quella di aver violato i termini della libertà su cauzione conseguenti ad accuse di stupro provenienti da due donne svedesi e successivamente in merito a una richiesta di estradizione proveniente dagli Stati Uniti che lo accusa di spionaggio.
In realtà, quello contro Julian Assange è un vero e proprio caso di persecuzione da quando Wikileaks, l’organizzazione informativa da lui fondata, ha rivelato crimini di guerra perpetrati dagli Stati Uniti in Iraq e Afghanistan.
Wikileaks è un’organizzazione che dal 2006 riceve e divulga in modo anonimo documenti coperti da segreto di stato. Nel 2010, Bradley Manning, che oggi ha cambiato nome e identità e che da qui in poi chiamerò Chelsea, allora analista dell’esercito americano in missione a Baghdad, invia una serie di documenti all’organizzazione di Assange. Wikileaks pubblica un video intitolato Collateral Murder, visibile ancora oggi sul sito di Repubblica, che mostra tutta la barbarie di cui i soldati americani sono capaci. Chelsea Manning commette l’errore di rivelare ciò che ha fatto ad Adrian Lamo. Lamo è un hacker, un così detto black hat, ovvero un cyber criminale che buca i sistemi per il suo tornaconto personale. L’uomo è quanto di più lontano dagli attivisti che lottano per la libertà di stampa e la condivisione di risorse del web in modo gratuito. Non perde e tempo e denuncia Manning che viene arrestata subito dopo.
Julian Assange verrà invece arrestato con un sotterfugio. Due donne svedesi lo accusano di stupro. Non ci sono evidenze sulla violenza ma poiché in Svezia un rapporto anche consensuale ma senza l’uso di preservativo può essere considerato violenza sessuale, ecco che parte una richiesta di estradizione nel Regno Unito, dove all’epoca dei fatti Assange si trovava per una conferenza. Incarcerato e poi costretto ai domiciliari, l’uomo si rifugia nell’ambasciata dell’Equador a Londra ottenendone asilo politico. È il 2012 e Assange trascorrerà 7 anni in condizioni che le Nazioni Unite definiranno disumane.
Nel 2019 è arrestato nuovamente e portato nella prigione di Belmarsh, definita, per le condizioni rigide, la Guantanamo britannica.
Ho provato a riassumere in poche righe una storia tanto complicata quanto incredibile che Stefania Maurizi ha magistralmente raccontato nel suo ultimo libro “Il potere segreto. Perché vogliono distruggere Julian Assange e Wikileaks.” A chi pensa che questa vicenda non riguardi tutti noi, consiglio vivamente la lettura. Non solo Maurizi ripercorre le tappe di una storia che mina la libertà di stampa e quel giornalismo d’inchiesta che mette alla luce abusi e soprusi. La giornalista spiega come mai l’Italia ha visto Berlusconi al potere per venti anni e qual è l’ingerenza di servizi segreti esteri come la Cia nella politica del nostro paese.
Nella prefazione all’edizione italiana, Ken Loach scrive: “Questo è un libro che dovrebbe farvi arrabbiare moltissimo. È la storia di un giornalista imprigionato e trattato con insostenibile crudeltà per aver rivelato crimini di guerra; della determinazione dei politici inglesi e americani di
distruggerlo; e della quieta connivenza dei media in questa mostruosa ingiustizia”.
Come al solito, dobbiamo studiare il passato, soprattutto quello recentissimo, per comprendere il presente e questo libro è uno squarcio su un muro di omertà che contribuisce a calpestare un diritto fondamentale dell’essere umano: la libertà di parola.
I Mambassa, storico gruppo di Bra, cantavano: “Voi non sparate sul cronista, nessuno lo verrà a sapere”. Chiedere a gran voce la liberazione di Julian Assange è il nostro modo per proteggere il cronista.
Loredana Barozzino
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