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Bitcoin: “merda d’artista”?

Merda d’artista è un’opera dell’artista italiano Piero Manzoni. Nel dicembre del 1961, l’autore sigillò 90 barattoli di latta, uguali a quelli utilizzati normalmente per la carne in scatola, ai quali applicò un’etichetta identificativa, tradotta in quattro lingue (italiano, francese, inglese e tedesco), con la scritta «Merda d’artista. Contenuto netto gr. 30. Conservata al naturale. Prodotta ed inscatolata nel maggio 1961». Sulla parte superiore del barattolo è apposto un numero progressivo da 01 a 90 insieme alla firma dell’artista.

L’artista stabilì il prezzo in 300 grammi di oro zecchino, e vendette tutte le scatolette incassando cifre enormi; ed alcuni esemplari furono acquistati addirittura da musei (ad esempio la Tate Modern di Londra, il Museo del Novecento di Milano, il Centro Pompidou di Parigi ed il Museum of Modern Art di New York).

Il costo dei barattoli è elevato: a dicembre 2016, un collezionista ha comprato un esemplare a 275.000 euro! Verificare cosa ci sia dentro significa distruggere l’opera ed azzerarne il valore; un amico di Manzoni, Agostino Bonalumi, ha dichiarato che all’interno delle scatole vi è un po’ di gesso. Nel 2008, il francese Bernard Bazile ne ha aperto una trovandovi dentro una seconda lattina più piccola (che però non ha aperto).
In questa breve narrazione ho trovato molte somiglianze con un fenomeno attualissimo che sta appassionando ed intrigando il mondo, quello del boom della più famosa criptovaluta, il bitcoin.
Il bitcoin è stato creato da un artista, un artista della finanza, che si è inventato una nuova “moneta” chiamandola fantasiosamente “bitcoin”, sintesi fra bit (contrazione di binary unit) e coin (moneta).
L’artista si chiama (secondo la storiografia corrente) Satoshi Nakamoto, e sarebbe, come indica il nome, giapponese. Usiamo il condizionale perché tra i tanti misteri che avvolgono la criptovaluta c’è proprio l’identità di chi l’ha inventato: nessuno ha mai conosciuto il simpatico Nakamoto, non si sa dove viva, quando sia nato, che studi abbia fatto…
Un’ipotesi diffusa è che in realtà si tratti di uno pseudonimo usato da un gruppo di esperti informatici di qualche università americana che si nascondono dietro un nome di fantasia per operare liberamente.
Il bitcoin non è emesso da una banca centrale statale (come le normali valute circolanti), ma lo si ottiene attraverso un complicatissimo sistema algebrico, risolvendo un “algoritmo” attraverso computer potentissimi che lavorano giorni e giorni per risolvere la formula ed estrarre il sospirato strumento.

 

Chi riesce ad estrarlo (l’operazione si chiama in inglese mining, che è proprio l’operazione di estrazione da una miniera) oggi diventa ricco perché il valore è di circa 63.000 dollari.
Ne ha fatta di strada quel bit!
Il primo minatore che è riuscito ad impossessarsene e ad utilizzarlo lo ha usato per comprarsi due pizze a Jacksonville, in Florida. Era il 2010 e Laszlo Hanyeczilk pensate, ha offerto al pizzaiolo di pagare con quella cosa strana, l’altro ha accettato un po’ per curiosità un po’ per scommessa ed ha incassato la bellezza di 10.000 bitcoin. Valore attribuito a “quella cosa”: 3 millesimi di dollaro!
Sicuramente il ristoratore se ne sarà sbarazzato (anche qui la storia è oscura e sfiora la leggenda…), facendo il peggior affare della vita, perché oggi quei 10.000 bitcoin rappresenterebbero una pizza del valore di ben 630 milioni di dollari!
A cosa serve questa moneta?
Come tutte le sue “sorelle reali”, la sua funzione è duplice: essere strumento di pagamento ed essere strumento di investimento.
Diamo qualche indicazione.
Dove spendere il bitcoin?

Poiché non è una moneta legale, può essere utilizzato per comprare beni o servizi solo in negozi che lo accettano; è una trattativa privata, perché nessuno può obbligare un concessionario auto o un supermercato ad accettare criptovaluta per una vendita. Sotto questo profilo la funzione del bitcoin è praticamente nulla. Esplorando i vari siti che indicano i punti vendita che accettano pagamenti con la moneta virtuale si scopre che in Piemonte sono solo 25… E se qualcuno si prende la briga di contattare i nominativi indicati scoprirà che alcuni cascano dalle nuvole perché in realtà non hanno mai accettato di entrare nel circuito. C’è qualche negozio di computer ed informatica, un paio di studi di architettura, due negozi di regali; un po’ poco per poter dire che la moneta circola e serve a comprare.
Vediamo il secondo utilizzo, quello dell’investimento.
Qui il discorso è diverso: infatti le transazioni sono numerosissime e quasi tutti coloro che comprano bitcoin lo fanno per tenerselo e vedere le quotazioni salire ogni giorno. Certo, i guadagni sono stati favolosi per chi ci ha creduto ed ha tenuto la posizione. Pensate che nel 2017 (otto anni dopo la sua nascita), valeva intorno a 800 dollari, ma a fine anno era schizzato a 20.000.
Dopo un pesante tracollo che lo fece precipitare a 3.000 dollari, è iniziata una galoppata che lo ha portato ai livelli attuali, oltre quota 60.000.
Un affare?

Chi ha avuto la fortuna di comprarselo a prezzi bassi e di tenerselo sicuramente oggi si sente ricco; chi lo ha comprato nel 2017 e, spaventato, lo ha venduto l’anno dopo (sono stati tanti!) ci ha rimesso la camicia mandando in fumo i suoi risparmi.
Bisogna ricordare che il valore della moneta virtuale non è determinabile sulla base di normali parametri (come avviene con dollaro, euro, sterlina), ma è fissato dall’incontro di domanda ed offerta senza precisi motivi: se molti chiedono di comprare e pochi vendono, il prezzo sale, altrimenti scende. Finché cresce la “febbre”, la crescita è assicurata…
Il bitcoin vale 1.000 oppure 10.000, oppure 100.000? Qualunque prezzo è plausibile; anche quello che a mio avviso è il più corretto, cioè zero…
Perché se si apre la scatoletta del bitcoin, è possibile che ci si trovi davanti ad un “pensierino” firmato Satoshi Nakamoto!

Gianluigi De Marchi

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