Brevissima storia della scuola dal Medioevo ad oggi

Torino e la Scuola

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Brevissima storia della scuola dal Medioevo ad oggi
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2 Brevissima storia della scuola dal Medioevo ad oggi

La strada che parte dall’Accademia di Platone e arriva alla temutissima Didattica a Distanza è lunga e tortuosa, fatta di riforme e controriforme, di miglioramenti e di tagli, di innovazioni e ripensamenti. La storia della scuola è intricata e complessa, al punto che ogni tanto sembra ci si scordi dei pezzetti. Qualche volta si ha l’impressione che anche lo scopo principale della scuola passi in secondo piano, poiché la burocrazia, sempre più arzigogolata, pare mettere in ombra l’unica vera missione dell’istituzione, che è quella di educare. La storia della scuola è in realtà la storia dell’“imparare”, o meglio, di quanta importanza le varie epoche conferiscono all’istruzione.

Nell’attuale sistema formativo assistiamo ad una sorta di involuzione. La scuola di massa, nell’intento di allargare l’istruzione alle fasce sociali più deboli, ha in realtà prodotto una scuola pubblica sempre più “facilitata”. La scelta della scuola media unificata nel 1962, la liberalizzazione degli accessi all’Università nel 1969, l’abolizione degli esami di riparazione sono elementi volti a rendere uguali gli allievi per non discriminare nessuno. Buone intenzioni che però hanno suscitato l’effetto contrario, in realtà l’elevazione per tutti del livello d’istruzione ha comportato l’abbassamento qualitativo delle materie.

Seduti dietro ai banchi, tra il lancio di un bigliettino e un’interrogazione sono tante le competenze –per utilizzare un termine assai di moda- che gli studenti acquisiscono; tali apprendimenti vanno, a mio parere, tutti posti sullo stesso piano, non ci può essere qualcosa di più o meno importante. Le nozioni e i saperi delle varie discipline accompagnano e supportano la socializzazione, d’altro canto come si fa a pretendere che gli studenti imparino a relazionarsi e a rispettarsi senza dar loro la possibilità di studiare a fondo gli insegnamenti dei grandi della storia, della filosofia, della letteratura? Com’è possibile accompagnarli nella crescita e nella formazione della propria persona senza spiegare loro e approfondire le azioni dei pionieri, degli uomini di scienza e di tutti quei coraggiosi che hanno sfidato il mondo in nome di un’idea? Come si può credere di affinare l’animo dei giovani senza educarli in modo adeguato all’amore per l’arte e la creatività?
“Non intendo rimpiangere una scuola ideale che non è mai esistita. Però so che nessuno vuole che la nuova scuola affronti il futuro semplificata e impoverita non soltanto nei soldi ma nei contenuti” queste le parole di Gian Luigi Beccaria, professore emerito dell’Università di Torino, parole che a mio sentire andrebbero soppesate con particolare attenzione, perché è questo il rischio che la nostra scuola sta correndo: una scuola “smart”, lezioni che possono essere seguite dal cellulare, insegnanti che devono improvvisarsi tecnici informatici e “counselor” familiari, studenti che devono sapere un po’ di tutto senza approfondire nulla.

“Se abbasso il livello della scuola di tutti, la scuola di tutti diventa deteriore” altro monito di Luciano Canfora (docente di Filologia greca e latina presso l’Università di Bari).
C’è da chiederselo, stiamo andando davvero nella direzione più giusta? Riforma dopo riforma i vari ministri dell’istruzione hanno proposto ciascuno una propria versione di come dovrebbe funzionare la scuola, lamentandosi dei precedenti interventi ma mai andando a modificare proprio quelle “decisioni sbagliate” tanto sottolineate in campagna elettorale.
“Something is rotten in the state of Denmark” e forse non solo lì “c’è qualcosa che non quadra”.

La domanda che ora ci possiamo porre è: nella nostra società liquida, in cui le conoscenze trasversali si trasmettono attraverso internet, quasi come se le nozioni si assorbissero toccando un pc, quanto è importante l’istruzione? In quest’epoca del “problem solving”, che ruolo può ricoprire il luogo in cui fare domande non solo è consentito ma dovrebbe essere d’obbligo?
La storia della scuola non è solo l’evoluzione del sistema scolastico e delle istituzioni, è anche storia dell’insegnamento, di come da sempre e per fortuna, alcuni si sentano votati a guidare le nuove generazioni verso il futuro, a consigliarle affinché tentino di sistemare le cose che non vanno o semplicemente ad aiutare gli studenti a diventare degli adulti preparati, capaci e con le menti aperte.
L’argomento è assai vasto, complesso, ricco di suggestioni, e vediamo allora, sia pur velocemente, che cosa è accaduto al sistema scolastico nel corso delle varie epoche storiche.
Con la caduta dell’impero romano le istituzioni scolastiche pubbliche chiudono i battenti e per molto tempo l’istruzione e la scolarizzazione vengono gestite interamente dalla Chiesa. Le scuole parrocchiali, la cui presenza è attestata dal VI sec., forniscono un’alfabetizzazione di base, sono le uniche accessibili a tutti; le scuole vescovili o cattedrali, aperte anche ai laici, offrono un medio livello di istruzione, mentre le scuole monastiche consentono una formazione universitaria.

Nel 614 in Italia viene fondata la celebre abbazia Bobbio, che grazie alla biblioteca, allo “scriptorium” e alla scuola annessa, diviene uno dei principali centri culturali monastici d’Europa. Presso i cenobi vi sono due scuole, quella “interior” per i novizi e quella “exterior” per i laici. In tali strutture si impara a leggere, scrivere e fare di conto; le materie base sono le stesse dell’epoca tardoromana, organizzate secondo il “trivium” (grammatica, retorica, dialettica) e il “quadrivium” (aritmetica, geometria, astronomia, musica) . Questa sistemazione del sapere medievale si deve a Marziano Capella (IV-V d.C.), che non ignora comunque la tradizione classica. Le sette arti sono poste a fondamento dell’istruzione superiore, e divengono le basi dell’educazione dell’uomo colto medievale.

Dopo l’anno Mille si attesta l’apertura degli “studia”, istituzioni scolastiche private, gestite da maestri liberi, in cui si insegnano principalmente materie giuridiche, teologiche e mediche.
Tra l’XI e il XII secolo nascono le università, evoluzione di un modello di insegnamento impartito nelle scuole delle chiese cattedrali e nei monasteri, a seguito di una sempre maggiore richiesta di istruzione. Prima fra tutte quella di Bologna (fondata nel 1088), famosa per il diritto, e anche Salerno, con la sua antica Scuola medica, Padova e Montpellier per la medicina; Parigi e Oxford per la teologia e la filosofia.

Nel XII secolo si assiste ad un primo grosso cambiamento: le scuole parrocchiali chiudono, altri ordini monastici si affiancano ai benedettini per impartire l’istruzione superiore e i singoli stati sembrano interessarsi al fenomeno dell’alfabetizzazione, sovvenzionando l’apertura di strutture che potremmo paragonare alle nostre scuole primarie, secondarie ed universitarie.
Aumentano piano piano le scuole elementari private e comunali, ogni scuola impegna un unico maestro, che può avere un numero di scolari che oscilla tra i cento e i centocinquanta. Quando il numero degli allievi supera un limite massimo il maestro può assumere un “ripetitore”.

Nel corso del XIII secolo vengono aperte scuole laiche secondarie, per alunni già alfabetizzati, si tratta delle scuole d’abaco, nelle quali si apprendono le tecniche di calcolo con le cifre arabe e i metodi della matematica mercantile e delle scuole di grammatica, incentrate sullo studio della lingua latina, della letteratura e sull’approfondimento di autori classici e medievali.
In epoca rinascimentale il sistema scolastico delle città italiane rimane fondamentalmente quello che si era delineato nel corso del Duecento. Il numero delle scuole aumenta notevolmente, così come il livello di alfabetizzazione, soprattutto in centri come Firenze e Venezia.

L’essenziale novità dell’epoca cinquecentesca è l’apertura di scuole comunali gratuite. A Lucca, ad esempio, nella prima metà del Cinquecento, si attesta la presenza di ben sei maestri comunali di latino ai quali era stato proibito esigere pagamenti dagli alunni.
Altrettanto rilevanti sono le modifiche dei programmi d’insegnamento delle scuole di grammatica, in cui, grazie al diffondersi degli “Studia humanitatis”, vengono approfonditi autori quali Cicerone, Cesare o Sallustio.

Vengono istituite delle vere e proprie scuole umanistiche, di livello superiore a quelle di grammatica, all’interno delle quali lavorano umanisti di fama, si tratta nella maggior parte dei casi di scuole-convitto private, come la celebre Casa Giocosa fondata e diretta da Vittorio da Feltre. È opportuno sottolineare come le scuole d’abaco non fossero un’alternativa agli studi umanistici, bensì un’aggiunta, come dimostra la formazione di Niccolò Machiavelli, il quale le dovette frequentare entrambe.

Durante il Settecento è lo Stato e non più il Comune a promuovere e gestire le scuole pubbliche.
È stata la Repubblica di Sardegna a inaugurare per prima la nuova politica scolastica: Vittorio Amedeo II di Savoia, tra il 1717 e il 1727 promulga varie riforme inerenti alle scuole laiche statali di vario grado, inoltre istituisce un’apposita figura, il “Magistrato”, incaricato di vigilare contro la possibile ingerenza di ordini religiosi nella materia.
Nel 1774 Maria Teresa d’Austria diviene promotrice della più importante riforma scolastica del periodo. La regina appoggia il progetto dell’abate Giovanni Ignazio Felbiger, progetto che prevede oltre all’obbligatorietà scolastica per bambini dai sei ai dodici anche l’apertura di “Normalschulen”, scuole normali per la preparazione dei maestri.

Tale riforma in Italia interessa soprattutto la Lombardia, grazie anche all’intervento del padre somasco Francesco Soave; a Milano infatti, nel 1788, viene fondata la prima scuola pubblica per la preparazione dei maestri, chiamata Scuola di Metodo.
Nel Gran Ducato di Toscana Pietro Leopoldo I espelle i gesuiti e i barnabiti e affida la gestione delle scuole agli Scolopi, sacerdoti regolari appartenenti alla congregazione delle Scuole pie; il fine principale dell’ordine è l’educazione e l’istruzione della gioventù; Leopoldo ordina inoltre l’apertura di numerose scuole elementari pubbliche.

All’interno dello Stato pontificio la gestione dell’istruzione rimane integralmente affidata agli istituti religiosi.
Nel Regno di Napoli Carlo III e suo figlio Ferdinando si occupano di istituire la prima istruzione scolastica pubblica nei Regni di Napoli e di Sicilia.
Nel 1766 Antonio Genovesi, su richiesta del ministro Tanucci, elabora un sistema che prevede l’istituzione di scuole pubbliche gratuite per i figli dei contadini e dei meno abbienti. Il piano viene attuato solo parzialmente.

Con la Rivoluzione Francese si afferma una concezione nuova della scuola, che trova la sua formulazione più chiara e completa nel “Rapport et project de décret sur l’organisation génerale de l’Instruction publique”, redatto da Condorcet nel 1792 e presentato all’Assemblea Nazionale a nome del “Comité d’instruction publique.”
L’istruzione primaria deve essere pubblica, obbligatoria e gratuita: tutti i cittadini, sia maschi che femmine, “devono” accedervi. Gli studi successivi hanno l’obbligo di valorizzare i talenti degli studenti e garantire uguaglianza di opportunità. Va da sé, la scuola in generale deve essere laica, basata sulla trasmissione di capacità professionali utili, di contenuti verificabili e metodi razionali e sulla formazione civile.

Le indicazioni di Condorcet rimangono a lungo un punto di riferimento, fino al periodo napoleonico, quando nascono quattro livelli di istruzione nettamente distinti: elementare, medio-inferiore, medio-superiore e universitario. È in questo periodo che, a fianco alle scuole normali per la preparazione dei maestri e all’istruzione professionale, nascono i “lycées”, i licei.
I primi licei italiani ideati sul modello francese sono introdotti con la legge del 4 settembre 1802, tali istituzioni si affiancano ai ginnasi di stampo austriaco. “Il Piano d’istruzione generale”, varato nel 1808 decreta di istituire nel Regno d’Italia un liceo in ogni capoluogo di dipartimento e un ginnasio in ogni comune con più di 10.000 abitanti. In un primo momento le scuole sono gratuite ma poi vengono introdotte delle tasse scolastiche. Nel regno di Napoli sorgono collegi governativi in ogni provincia, il cui corso di studi viene poi articolato in un ginnasio propedeutico e un successivo liceo con due indirizzi, uno umanistico e l’altro scientifico.

Nel 1810 Gioacchino Murat decreta l’obbligatorietà della scuola primaria.
Durante la Restaurazione in Italia le innovazioni scolastiche subiscono dei rallentamenti, anche se numerosi pedagogisti ed educatori continuano a lavorare a favore dello sviluppo di un moderno sistema scolastico. Un esempio per tutti è il marchese Basilio Puoti, il quale apre nella sua nobile abitazione una scuola libera, di carattere laico e classicista, con lo scopo di educare le giovani menti del regno. (Frequenta la scuola del grande purista Basilio Puoti -1782-1847 – il nostro critico letterario più autorevole, Francesco de Sanctis, 1817-1883).
Nel Regno Lombardo Veneto, sotto la dominazione austriaca, risulta di particolare importanza il “Regolamento normale per le scuole elementari” redatto nel 1818, e riguardante le norme di funzionamento di una capillare rete di scuole elementari pubbliche.

Altri personaggi degni di nota sono Raffaello Lambruschini (1788-1873) e il pedagogista Vitale Rosi (1782-1851), il quale è figura essenziale nel porre le basi per una scuola più moderna. Un’ultima menzione merita il movimento iniziato da Ferrante Aporti (1791-1858) a proposito del funzionamento degli asili infantili.

Caro lettore, all’alba della terza pagina si ha l’impressione di essere a metà dell’opera e invece siamo solo alla premessa. Le notizie che vi ha raccontato altro non sono che le radici nascoste e profonde della nostra scuola, e forse è proprio grazie alla loro robustezza che ancora essa non crolla sotto i colpi del livellamento della cultura di massa. È ora il caso che mi fermi, poiché sarebbe il momento di trattare delle revisioni scolastiche, a partire dalla Legge Casati (1859), la Legge Orlando (1904), la Riforma Gentile (1923), poi ancora delle innovazioni degli anni del dopoguerra fino alle riforme dei cicli scolastici in epoche decisamente più recenti. Tali argomenti saranno affrontati prossimamente, intanto vi lascio riflettere su come la storia stessa ci insegni quanto nelle epoche passate sia stata ritenuta essenziale l’educazione, quanti sforzi siano stati fatti affinché tutti potessero usufruire del sistema scolastico. I documenti attestano la costruzione degli edifici, ma non sempre ci parlano delle difficoltà degli studenti e dei docenti, delle piccole vittorie e delle grandi delusioni degli uni e degli altri. Non cadiamo nel tranello dei tempi moderni, ricordiamoci dell’essenziale: “L’insegnante non si deve abbassare al livello del ragazzo, ma è vero il contrario in quanto il ragazzo non vuole rimanere prigioniero del suo mondo ma è alla ricerca di strade per uscirne. E l’insegnante deve offrirgli l’opportunità.” (Pier Paolo Pasolini).

Alessia Cagnotto

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