Il giorno di piazza Fontana finì la mia fanciullezza

12 dicembre 1969. Alle ore 16.37 una bomba scoppiata alla Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano causò 17 morti ed 88 feriti.

 

La storia l’ha catalogato come il primo atto di una ‘strategia della tensione’ che insanguinò l’Italia e diede il via ad una scia di sangue che si protrasse per tutti gli anni Settanta e parte degli anni Ottanta, ponendo fine al sogno italiano, quasi una cesura con gli anni Sessanta del ‘boom economico’. Il 12 settembre del 1969 anche a chi scrive rimarrà impresso nella memoria per tutta la vita e fu il giorno che, suo malgrado, finì la fanciullezza e capì come vita fosse una corsa ad ostacoli e non un cammino lastricato di fiori. Alle 14, circa, mia mamma Lucia, terminò il suo cammino terreno, consumata da un cancro al seno, da due mastectomie e dalla cobaltoterapia. Avrebbe compiuto 36 anni il giorno dopo, Santa Lucia. A 50 anni di distanza quella maledetta giornata la ricordo minuto per minuto come fosse un film (ma purtroppo era tutto, drammaticamente, vero) e i ricordi si intrecciano con quelli di quanto era avvenuto a Milano.

 

Al mattino, a scuola, avevo scritto in un tema che speravo che la mamma guarisse, poi a pranzo dai nonni, anche per evitare che fossi lì quando l’inevitabile sarebbe accaduto (mio fratello Fabrizio era da amici di famiglia), i titoli di Tuttosport, la vittoria della promessa dello sci Gustavo Thoeni in Val d’Isere. Poi la telefonata di mio padre Marco, la faccia sconvolta della nonna Rosa, la mia domanda ‘La mamma è morta’ rimasta senza risposta in un silenzio eloquente, la corsa da via Savio a Via Morini e …. L’entrata nell’età adulta senza volerlo e senza saperlo. Ma anche il pomeriggio con Davide, un amico che se n’è andato anche lui troppo presto (ma con lui e la sua famiglia c’è un ricordo che nessuno potrà mai sciogliere, mai, mai, mai), la notizia che era successo qualcosa a Milano. E alla sera, tornando dai nonni in via Savio, la notizia che Carosello, un rito per i bambini di allora, non c’era, per “rispetto delle vittime di piazza Fontana”, come disse l’annunciatrice dopo il telegiornale.

 

Questo è quello che ricordo di quel giorno. Ma piazza Fontana tornò nella mia vita, qualche anno dopo. Francesco, il padre di Marisa, mia seconda mamma mia e di mio fratello, (una donna stupenda che lasciò Milano e un lavoro di segretaria alla Locatelli per venire a Casale e crescere due figli che non erano nati da Lei e fu per noi una Mamma in tutto e per tutto), era di Milano. E negli anni Sessanta aveva l’ufficio in via Larga ed il conto proprio alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana. Parlando ad un Massimo ormai diventato ragazzo, mi disse che il venerdì, essendo giorno di mercato, ed essendoci la presenza di molti agricoltori venuti dalla provincia era d’uso fermarsi per chiudere magari delle contrattazioni e la banca rimaneva aperta oltre l’orario solito. Quindi chi aveva messo la bomba, a suo avviso, l’aveva fatto per fare il maggior danno possibile in termini di vite umane. E una volta che l’avevo accompagnato proprio nell’agenzia BNA di piazza Fontana mi presentò un cassiere che, dopo, mi disse, era stato ferito quel maledetto giorno. Ecco perché piazza Fontana e il 12 dicembre li porto sempre con me indissolubilmente.

 

Il giorno dopo per l’Italia venne portata ad una drammatica realtà, per me finirono i sogni di bambino e conobbi la dura realtà della vita. E sono ricordi che non dimenticherò mai. Ma che mi hanno fatto conoscere cosa vuol dire soffrire, cosa vuole dire reagire, cosa vuol dire costruire, cosa vuole dire avere attorno una famiglia meravigliosa e degli amici che ti stanno vicino nei momenti più bui. Perché, grazie a Dio, dopo l’ora più buia torna il sole.

 

Massimo Iaretti

 

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