Piccolo cabotaggio e utopie

Caleidoscopio rock ?? USA anni ‘60 / Ma come! Nemmeno un 45 giri?”

L’osservazione potrebbe nascere spontanea in merito alla realtà di molte bands americane del garage rock anni ‘60. La questione risulta neutrale a livello strettamente musicale, ma rivela superficialità se ci si cala nella realtà della vita quotidiana di una qualsiasi band autoprodotta, autogestita e di piccolo cabotaggio. Per una band con queste caratteristiche…. l’accesso alla sala di registrazione poteva diventare un sogno; e se perdipiù il management era “home-made” e senza agganci “di peso”… era vera e propria utopia. Rientrava perfettamente in questa casistica una band di liceali dell’area di Providence (Rhode Island), chiamata “The Lonely Things”, sorta nel 1965 e composta da Elwood Donnelly (V), Jimmy Fleet (V), Peter Pappas (chit), Mike Pappas (batt). L’influenza musicale era un mix tra The Association, The Who, The Rolling Stones, ma adattata alle capacità in piccola scala dei musicisti. Il management era assolutamente autogestito dal padre dei fratelli Pappas, Nick; e purtroppo fin da subito il corto respiro della gestione manageriale limitò parecchio il raggio d’azione dell’ambito esecutivo del gruppo. In anni di estrema concorrenza nel settore del rock, era fondamentale fin dagli esordi che una band si costruisse un’area preferenziale di locali, venues e clubs su cui operare con regolarità; invece nel caso dei The Lonely Things vi era un assetto molto meno stabile, incentrato unicamente sull’area di Providence e su parte del Massachusetts sud-orientale (tra Taunton, Attleboro, Fall River e New Bedford). Le venues preferite erano i teen clubs, le feste di liceo e i posts dei veterani di guerra (VFW), oltre all’allora celebre (dismesso dal 1979) “Crescent Park” di East Providence. Il piccolo cabotaggio del management finì per comprimere anche la possibilità di partecipare a “Battles of the Bands” di buon livello, limitandosi a competizioni di second’ordine che non potevano garantire alcuna possibilità di incisione o di “agganci” per promozioni a livello di circuito radiofonico. Fu così che The Lonely Things riuscirono a confezionare solo un paio di demo (solo una superstite: “Our Generation / Zephyr”) che non poterono trovare sbocchi in sala di incisione; la qualità era strettamente legata al budget ridotto e a mezzi piuttosto limitati anche in sede di presa di suono (per esempio mixaggio dozzinale, scarsa dimestichezza con la gestione delle parti vocali) realizzata in ambienti di “studios” quasi improvvisati e in stanze di magazzini o di “dependances” di alberghi. Questa era una triste realtà, ma era molto più diffusa di quel che si pensi. La lotta tra qualità musicale e budget ridotti all’osso era la dura legge del rock degli anni Sessanta, anni in cui la concorrenza tra gruppi e l’affollamento dell’offerta erano portate all’estremo; e in questi termini The Lonely Thingsdovevano accontentarsi del solo versante dei “gigs” e delle esibizioni, ma senza un versante promozionale perlomeno radiofonico. E tutto diventava proibitivo… La resistenza di volontà della band tuttavia non mancava, eppure (come succedeva regolarmente) sopraggiunse la spada di Damocle della chiamata in esercito; attorno alla metà del 1967 la band si sciolse e tutti i membri (tra Air Force e truppe in Vietnam) finirono arruolati nel giro di un anno e mezzo.

Gian Marchisio

 

 

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