Tradizionalmente il mese di settembre, quando la politica era protagonista e non solo un orpello, era ricordato anche per convegni di alcune correnti della Democrazia Cristiana.
“Le correnti di idee”, però, per citare Donat-Cattin che, con una battuta sarcastica, l divideva dalla “correnti di potere”. Certo, quando c’era la Dc, quando c’erano le correnti e, soprattutto, quando c’era la Politica. Perchè la politica oggi risiede al di fuori dei partiti e, purtroppo, in zone sempre più difficili da intercettare e da individuare.
Ma, al di là della memoria e del ricordo che accompagnano ancora la militanza politica
contemporanea di tutti quelli che hanno vissuto altre stagioni e altre esperienze politiche
ed organizzative, non c’è alcun dubbio che ancora oggi quei convegni continuano ad
essere commentati e narrati come momenti di alta politica e di grande confronto
democratico. Convegni che avevano addirittura l’ambizione di dettare l’agenda politica
nazionale. Partendo, appunto dalla singola esperienza di una corrente all’interno della Dc.
Che era il partito di governo per eccellenza ma che, al contempo, era anche e comunque
un soggetto politico articolato e composito. Se penso che la sinistra sociale della Dc di
Forze Nuove, quella guidata da Carlo Donat-Cattin, con appena il 6-7% dei consensi del
partito riusciva ad imporsi all’attenzione del dibattito politico nazionale con i convegni
settembrini di Saint- Vincent, c’è da restare quasi basiti. Ma la ragione di questa specificità
non risiedeva solo nella capacità politica ed organizzativa dei protagonisti del tempo, ma in
due tasselli decisivi e qualificanti. L’uno era la passione della politica e per la politica. Una
vocazione che rendeva quasi nascosta e secondaria lo scontato e naturale interesse per il
potere. Perchè la politica era passione, ma anche militanza, radicamento sociale e
territoriale, rappresentanza territoriale e soprattutto capacità di elaborazione politica,
culturale ed ideale. E l’altro tassello è semplice a descriverlo ma decisivo se si vuole
ambire a dettare l’agenda senza accampare solo ragioni di potere e di organigrammi. E
cioè, la qualità e l’autorevolezza di quella classe dirigente. Una autorevolezza che faceva
di quei politici non solo dei leader ma statisti e uomini di governo. Certo, non trascorrevano
il tempo a discettare su come ridurre gli spazi democratici, su come tagliare la
rappresentanza democratica e parlamentare e, soprattutto, su come declinare il verbo
populista o demagogico o qualunquista nella politica italiana.
Ecco, ho voluto fare qualche sporadico esempio per ricordare come settembre era il mese
della ripresa della politica. Perchè accanto a Saint-Vincent c’erano Lavarone, Sirmione,
Chianciano per ricordare solo i principali appuntamenti della Dc. Appuntamentgi presenti
anche in altri partiti, tranne il Pci perchè all’epoca era dominato dal cosiddetto “centralismo
democratico” e quindi il pubblico confronto interno al partito era bandito alla radice, quasi
per ragioni statutarie.
Ma la ragione essenziale di questo semplice richiamo a settembre per la politica del
passato, e per non sfuggire dai canoni contemporanei, è che non possiamo rassegnarci a
contemplare oggi un decadimento qualitativo progressivo della politica. Una caduta
sempre più squallida, arida ed insignificante. O si ha il coraggio di reagire alla deriva
populista, demagogica e qualunquista interpretata e rappresentata in Italia dall’esperienza
dei 5 stelle oppure la crisi della politica e dei partiti sarà sempre più profonda e senza
ritorno. Altrochè i convegni settembrini delle correnti della Dc….
Giorgio Merlo
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