Torino magica piazza castello I Il Torinese

Alla ricerca delle Grotte Alchemiche

Torino, bellezza, magia e mistero

Torino città magica per definizione, malinconica e misteriosa, cosa nasconde dietro le fitte nebbie che si alzano dal fiume? Spiriti e fantasmi si aggirano per le vie, complici della notte e del plenilunio, malvagi satanassi si occultano sotto terra, là dove il rumore degli scarichi fognari può celare i fracassi degli inferi. Cara Torino, città di millimetrici equilibri, se si presta attenzione, si può udire il doppio battito dei tuoi due cuori.

Articolo 1: Torino geograficamente magica
Articolo 2: Le mitiche origini di Augusta Taurinorum
Articolo 3: I segreti della Gran Madre
Articolo 4: La meridiana che non segna l’ora
Articolo 5: Alla ricerca delle Grotte Alchemiche
Articolo 6: Dove si trova ël Barabiciu?
Articolo 7: Chi vi sarebbe piaciuto incontrare a Torino?
Articolo 8: Gli enigmi di Gustavo Roll
Articolo 9: Osservati da più dimensioni: spiriti e guardiani di soglia
Articolo 10: Torino dei miracoli

Articolo 5: Alla ricerca delle Grotte Alchemiche

Una delle zone più belle e più incantate di Torino è sicuramente piazza Castello. Si, perché la piazza è magica sia sopra che sotto. Se in superficie la zona è costellata da talismani e caricatori di energia positiva e in più si trova nelle vicinanze un portale destinato a pochi sapienti iniziati, sotto, nell’oscurità della terra, si diramano le celebri, tanto cercate e mai trovate Grotte Alchemiche. E non è un caso che, ancora oggi, la celebrazione del Santo Patrono si effettui proprio su questo suolo. I festeggiamenti odierni affondano le radici nell’antica e pagana usanza dei falò, i fuochi di mezza estate che avevano lo scopo di contrastare simbolicamente l’avanzata del buio che si estendeva sulla terra. I fuochi venivano accesi la notte del 25 giugno, come buon auspicio per le sementi, mentre le piante raccolte prima dell’alba avrebbero avuto poteri magici. La festività, successivamente, venne fatta coincidere con la celebrazione di San Giovanni. Ma andiamo per ordine.
Nel 1925 viene deposta sotto i portici della Prefettura, dal lato del Teatro Regio, una lapide dello scultore Dino Somà in onore degli immigrati che dal Sud America tornarono in Italia per combattere nella Grande Guerra e caddero al fronte. Alla base è posto un tondo rappresentante Cristoforo Colombo, in atteggiamento pensoso, nell’atto di misurare un mappamondo con un compasso; sullo sfondo una caravella. Il talismano di piazza Castello si trova nascosto proprio in quest’opera patriottica, precisamente nel mignolo della mano destra di Colombo che viene in fuori. Se decidete di credere a certe storie, sfregare il dito che sporge dal medaglione bronzeo del celebre navigatore parrebbe portare la sorte dalla vostra parte. E a giudicare dalla netta doratura, si direbbe, a discapito degli scettici, che di persone che “toccano dito” prima di affrontare una qualche difficoltà a Torino ce ne siano un bel po’. Il contatto diretto con certi “amuleti” non è solo prerogativa di questo luogo torinese, infatti si sa che porta fortuna toccare il “porcellino” alla Loggia dei Mercati a Firenze, precisamente in quel caso è necessario mettere una moneta sulla lingua dell’animale, lasciare che scivoli giù, e infine accarezzargli il muso.

Anche sfiorare il “piede” della statua di San Pietro, ubicata all’interno dell’omonima basilica, pare porti benefici positivi, così come toccare il “piede” della Madonna nera di Oropa, (che ora è stata inserita all’interno di una teca e distanziata dal pubblico), che però non pare consumato. Questo perché ogni religione, per quanto aniconica, ha i suoi oggetti sacri o magici, ed essi sono considerati come una sorta di collegamento diretto tra due dimensioni, il tramite attraverso cui l’uomo può raggiungere il trascendente. Certe volte non si ha solo bisogno “di un po’ di fortuna”, ma può capitare che si senta la necessità di “ricaricarsi”, di riacquisire energia perduta, e allora bisogna fare un bel sospiro e fermarsi, ma nel punto giusto. È opportuno allora avvicinarsi al Padiglione, o Pavaglione, la grande cancellata ornata con le dorate teste di Medusa, che separa piazza Castello dalla Piazzetta Reale, e soffermarsi proprio nel punto in cui le due statue dei Dioscuri aprono il varco per il passaggio: ecco, se ci si mette in linea retta con la cancellata, a metà tra Castore e Polluce, ci si troverà in quello che è definito il cuore bianco di Torino. Secondo coloro che studiano tali materie, questo sarebbe anche il punto che divide le energie positive da quelle negative, perché, come si è sostenuto più volte, per mantenere l’equilibrio, al cuore bianco corrisponde un cuore nero, che non si troverebbe poi così distante. Prima di andare via, dopo esserci inebriati di positività e aver toccato il mignolo di Colombo, perché “non si sa mai”, sediamoci su una panchina, affacciamoci sulla piazza e guardiamo verso il basso, ora proviamo a immaginarci cosa accade lì sotto. È abbastanza noto che a Torino ci siano le Grotte Alchemiche, secondo alcuni sarebbero situate tra piazza Castello e i Giardini Reali, ma il vero problema è entrarvi, poiché pare siano stati posti numerosi ingressi fittizi proprio per sviare e stancare i curiosi insistenti. Cosa accade dunque in queste Grotte Alchemiche? E che cos’è allora l’alchimia? Che cosa vogliono gli alchimisti? Intanto pare che le Grotte siano tre, nella prima si dominano le leggi della fisica, nella seconda si contattano forme di esistenza più evolute, nella terza si entra in altre dimensioni al di là del tempo e dello spazio. Non dobbiamo però commettere l’errore di prendere alla leggera questa presenza, non bisogna immaginare bizzarri laboratori stregoneschi in cui si aggirano loschi e avidi individui, al contrario, gli studi e le ricerche che si svolgerebbero nelle Grotte, sono volte all’arricchimento dell’anima e della conoscenza.

L’alchimia è un’antica filosofia esoterica che tocca diversi ambiti disciplinari, dalla chimica, alla fisica, all’astrologia, ancora la metallurgia e la medicina. Il termine deriva dall’arabo al-khīmiyya  (الكيمياء o الخيمياء), “pietra filosofale”, che è il greco tardo χυμεία, “fondere”, colare insieme”, “saldare”. L’alchimia è materia complessa, anche perché implica l’esperienza di crescita personale di chi la pratica. In tal senso, la disciplina può essere paragonata alla metafisica o alla filosofia, in quanto i processi e i simboli alchemici, oltre al significato di trasformazione materiale, possiedono un significato interiore, relativo allo sviluppo spirituale. Gli obbiettivi dell’alchimia sono conquistare l’onniscienza, creare la panacea universale, ossia un rimedio per curare tutte le malattie e prolungare la vita, la ricerca della pietra filosofale, cioè la sostanza catalizzatrice capace di risanare la corruzione della materia. Ora che sappiamo che cosa cercare, siamo sicuri di volerle trovare queste Grotte? A quanto pare i Savoia avrebbero risposto positivamente, dal momento che ricoprirono un ruolo di massima importanza per quel che riguarda la storia dell’alchimia piemontese. Alcuni esponenti della famiglia si interessarono più di altri alla materia, come Carlo Emanuele I, il Testa’d feu, che si fece costruire un laboratorio alchemico nei sotterranei del castello, o la Madama Reale, che pare si fosse messa in combutta con un mago francese, un certo Craonne. Non sappiamo se qualche esponente della famiglia reale riuscì in definitiva a trovare gli antri magici di cui stiamo parlando, ma qualcun altro invece si: Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim, (1493-1541), noto come Paracelso, Michel de Notre-Dame,(1503-1566), ossia Nostradamus e tale Giuseppe Balsamo, conosciuto con il nome di Cagliostro. Data la levatura intellettuale che caratterizzò questi personaggi, non sentiamoci eccessivamente in difetto per non essere stati ritenuti degni di scorgere l’accesso alle Grotte. Dunque, alziamoci dalla nostra panchina e continuiamo la nostra passeggiata, passando, però, per quello che pare essere uno degli ingressi ai saperi ctoni, cioè la Fontana del Tritone, posta all’interno dei Giardini Reali. Si dice che dopo tre giri intorno alla costruzione, un elementale apra l’ingresso invisibile, ovviamente solo a chi è ritenuto degno di tale onorificenza. Probabilmente così non sarà, ma perché non correre il rischio?

Alessia Cagnotto

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