Di Alessia Savoini / In un tempo in cui virale è ciò che ci investe e ci rende esili trasparenze, fitte trame di un mondo spartito, ‘indialogato’, quasi non ci accorgiamo di come il silenzio si rende complice di un atto di omertà
Esiste una terra dove i massacri in piazza divengono educazione del popolo e gli infanti, costretti alla quotidie di una costante atrocità, si trovano nell’apatico trauma del gioco a pallone con una testa di cadavere. Uomini e ragazzini esplodono le loro vite ai margini degli innocenti, essi stessi lo furono, e donne vengono ogni giorno stuprate dal veleno del Captagon. Gli omosessuali defenestrati, i cristiani crocifissi, i ladri menomati, lo studio non consentito, dèi violentati dall’oblio, nella distruzione di templi e luoghi di cultura, il popolo giustiziato. Non più case, non più ospedali. Solo macerie e resti di uomo. Riesci ancora a giudicare chi fugge?
“Nell’alto silenzio che il miele trasforma
l’amara radice delle amputazioni
nel vero cammino che non richiede cammino
e segna d’impronte il passo che ogni orma cancella
nella palpebra colata a picco per l’assedio del cielo
nella fronte che si spoglia
per cogliere la cima del proprio fuoco.”
Franco Ferrara
La poesia
So ham,
in seno all’etere e poi nell’abisso,
non vidi uomo sottrarsi al deserere cavo della domanda;
disgiunto è ognuno dalla placenta dei mondi
a plasmare il midollo degli anatemi nell’orgia del credo,
in consumazione all’istanza della ferita.
L’ipertrofia della terra è genesi nella lacerazione del cielo.
Ma ogni essere è solo nel punto in cui soccombe
e non vi è fiume che converge il suo epilogo in una fonte
come non si vide mai un dio sublimare il suo codice
e secondo misura
il fiume delle cause compone
nell’alterna discordia che il tallone del cielo
impone alla natura del fuoco
e delle acque.
So ham
l’aulico paradigma della pietra
è forse la prima caparbia testimonianza dell’esserci
Quale il segreto di questo nostro universo
che appare, scompare
e ritorna nel cielo esterno delle stagioni?
So ham.
Conosci il luogo dove del tuo altro non si scorge il volto,
ove menomata la parola
resta
l’espiazione della carne;
la remissione il suo dazio, il silenzio il sangue di un emendamento scaltro.
E anche col favore del silenzio
(e dell’ombra),
per non vedere quanto un uomo è capace di concepire
in fondo al malessere di una disposizione
ad eventi assoluti.
So ham
nelle terre in cui si muore
un giovane traduce nel fuoco il sevizio della libertà
e la sua cenere ne fu il germoglio,
diaspora dell’arabica primavera.
Il y a la rebellion contre Phénix et aussi l’affirmation du feu sans lieu ni deuil
Ma poi la falla di un credo
incise il suo postulato al dogma amniotico della pelle,
riversò la sua fede nell’impiccagione del popolo
solo
al patibolo del destino.
Come potresti non fuggire
se esistesse di te soltanto la reclusione?
Il fatuo colosso delle perversioni
collassa
nella tortura di uomini liberi.
Il peccato della sorte e la lotta nella terra in cui il sol muore,
l’agio dell’allodola nella sua tana
non risparmiano la migrazione di un vento senza anelito
e si compone l’epitaffio
di una stirpe senza voce.
Tra le macerie delle cose che non vedi,
la puoi udire, la voce inascoltata dell’esanime
<<Or che il tuo cuor
di me si fa preludio
ed il declino del nudo
è del mio cuor sagitta,
restituisci, fratello,
la tua razza al sepolcro della pelle.
Or che tuo rancor
del mio spirito si fa diletto,
un dio non cede
all’umiliazione del tuo credo.
Or che il sol
una sola volta ride
e l’altra tace,
indicami un dove
in cui silenziosamente proferir
Ave.
Or che della mia pena
fosti sagace,
restituiscimi, fratello,
la mia pace>>.
Questo intendevo dire. E in molti modi. E nelle diverse solitudini
di un’assoluta solitudine
(e intendo la nausea di cinque continenti strappati
al midollo dell’anima).
So ham.
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Immagini di Simone Savoini