Pinocchio, il processo alla nostra coscienza

Sogno, emozioni, il tentativo riuscito di conciliare il mondo dei bambini e quello degli adulti, l’inclusione dei meno fortunati: tutto questo e molto altro é andato in scena questa mattina nell’aula del Consiglio regionale con “Processo a Pinocchio”, uno spettacolo realizzato dall’UNICEF e interpretato dagli studenti dell’Istituto Comprensivo di Santena per riflettere sulla Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza.

Pinocchio, il burattino lacerato dal desiderio di entrare nel mondo dei grandi e, al tempo stesso, dal bisogno di restare lontano dalle responsabilità e dai vincoli imposti dalla società si trova, suo malgrado, ad affrontare un processo con tanto di avvocato accusatore, di difensore, di giudice e giuria che dibattono sulla sua colpa di essersi sottratto ai doveri di ogni bambino, marinando la scuola, vendendo l’abbecedario che il povero babbo Geppetto gli aveva comprato a prezzo della propria unica casacca, scegliendo di credere agli imbonitori, a quel Gatto e a quella Volpe che, ingannandolo, gli avevano promesso alberi grondanti zecchino d’oro.


I personaggi del capolavoro intramontabile di Carlo Lorenzini, in arte Collodi, sono sfilati davanti agli occhi dello spettatore, spiegando, uno dopo l’altro, gli articoli di una convenzione che ormai ha raggiunto i 30 anni, ma che in tante parti del mondo e, purtroppo anche in Italia è ignorata, negata, svilita. Il diritto a vivere, a essere protetto, ad avere genitori, a non essere trattato da nessuno diversamente da un altro per il colore della pelle, la nazionalita’, il sesso, la religione, la lingua, perché disabile, ricco o povero, il diritto ad essere ascoltato: quanti diritti approvati da tante nazioni vengono quotidianamente disattesi.
Sono stati i personaggi di Pinocchio, oggi, a ricordarcelo con la semplicità della fiaba, processando il burattino colpevole di avere sognato una realtà che non esiste perché gli zecchini non si seminano né si raccolgono, perché non ci si deve fidare della prima Volpe che si incontra, perché il Paese dei balocchi è avvelenato e nasconde dietro a lecca-lecca e allo zucchero filato pene indicibili, ma anche figura che ci ricorda che i grandi devono comprendere le inclinazioni, i dubbi, le insicurezze dei bambini, devono capire prima di giudicare, hanno il dovere di indirizzare e non di punire, di garantire il gioco, di difendere il sogno, di costruire un adulto che domani sarà in grado di creare una società più giusta, perché, citando Antoine de Saint-Exupery “tutti i grandi sono stati bambini, ma pochi di essi se ne ricordano”.
Naturalmente il processo è terminato con l’assoluzione del burattino che, sicuramente, diventerà un bravo bambino e un adulto responsabile, anche se l’augurio è che conservi sempre dentro di sé quel fanciullino innocente di pascoliana memoria che lo aiuterà a non perdersi nei momenti più difficili della vita.
Agli spettatori resta una lezione difficile da dimenticare perché lo spettacolo ha parlato al cuore, ci ha mostrato l’inclusione di chi è meno fortunato, coinvolgendo una bambina disabile che ha sfidato l’impossibile e si è chiuso con l’inno di Mameli, interpretato anche con la lingua dei segni perché potesse arrivare anche a chi non può sentire, abbattendo le barriere.
Il burattino si è allontanato saltellando, accompagnato dai consigli della sua coscienza, quel Grillo che spesso sembra parlare poco al cuore, ma che, nostro malgrado, ci guida nel cammino dell’esistenza.

Barbara Castellaro

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