Uno studio tutto torinese sulla resistenza dei tumori

LA SCOPERTA DELL’IRCCS DI CANDIOLO
Sulla prestigiosa rivista Science pubblicati i risultati di uno studio dell’Istituto di Candiolo che potrebbe essere una pietra miliare nella lotta al cancro. La ricerca è sostenuta da Fondazione AIRC e da Fondazione
Piemontese per la Ricerca sul Cancro.
Candiolo, 7 novembre – L’Istituto di Candiolo FPO-IRCCS è impegnato nell’ambito della ricerca traslazionale tramite lo studio delle alterazioni molecolari che influenzano l’esito delle terapie oncologiche e la realizzazione dei cosiddetti farmaci a bersaglio molecolare.
La medicina di precisione personalizza la terapia in base alle caratteristiche molecolari del singolo tumore e del singolo paziente, per massimizzare i benefici e ridurre gli effetti collaterali. Sfortunatamente, anche dopo una prolungata risposta clinica, il tumore diventa spesso resistente ai farmaci e talora più aggressivo di prima.
È comunemente accettato che ciò accada perché un piccolo numero di cellule resistenti alla terapia è già presente nella massa tumorale, ancora prima che il farmaco sia somministrato. In altre parole, la resistenza, e quindi l’insuccesso della terapia, sono un fait accompli, e quindi un fatto inevitabile.
I risultati appena pubblicati sulla rivista Science di uno studio sostenuto da Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro e da Fondazione AIRC, rivelano che le cellule resistenti ai farmaci non sempre sono già presenti. Alcune volte i tumori, sottoposti allo stress generato dalle terapie a bersaglio molecolare, si ‘adattano’ e cambiano il proprio corredo genetico acquisendo nuove mutazioni, che permettono al cancro di sopravvivere alle terapie.
Mariangela Russo e Alberto Bardelli, rispettivamente ricercatrice e professore ordinario del Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino che operano presso l’Istituto di Candiolo FPO-IRCCS, hanno tratto ispirazione da un fenomeno che accade nell’ambito delle malattie infettive. Sotto lo stress degli antibiotici, i batteri aumentano temporaneamente la capacità di mutare il proprio DNA, acquisendo nuove mutazioni che
consentono loro di crescere nonostante la terapia.
I ricercatori si sono chiesti se lo stesso stratagemma potesse essere sfruttato anche dai tumori. Hanno osservato che una frazione di cellule dei tumori intestinali smette di crescere, ma è in grado di sopravvivere all’assedio delle terapie a bersaglio. Nelle cellule assediate si modificano i meccanismi che regolano la riparazione del DNA; questo porta a un accumulo di mutazioni, che non sono più riconosciute e corrette. Tale processo prende il nome di mutagenesi adattativa. In altre parole, mutare per adattarsi, cambiare per sopravvivere: in presenza delle terapie a bersaglio molecolare le cellule tumorali accumulano mutazioni fino a diventare resistenti al trattamento, portando quindi alla ricaduta della malattia.
Allo studio ha partecipato anche l’IFOM con esperti di matematica computazionale.
Quali scenari e possibilità terapeutiche si aprono dopo questa scoperta?
Se la resistenza alle terapie non è sempre un fait accompli, ma è legata a un processo che si attiva durante il trattamento stesso, allora colpire i meccanismi alla base della mutagenesi adattativa potrebbe aumentare le probabilità di successo dei farmaci già in uso.
I ricercatori torinesi sono già al lavoro per individuare nel futuro prossimo nuovi bersagli terapeutici nel processo di mutagenesi adattativa che possano consentire di rallentare, o forse addirittura prevenire, l’insorgenza della resistenza alle terapie, prolungando così l’efficacia dei farmaci e la sopravvivenza dei malati.

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