“Requiem per la Bosnia”, viaggio emozionale nel cuore della ex-Jugoslavia

Il libro di Barbara Castellaro è pubblicato da Infinito Edizioni 

Nel suo libro “Requiem per la Bosnia” Barbara Castellaro racconta le emozioni degli incontri e dei luoghi che ha conosciuto nel cuore dei Balcani. Lì, nel bel mezzo della terra degli slavi del sud, s’incontrano l’Oriente e l’Occidente e ci si accorge che molta della storia europea inizia e finisce in quel luogo.

Un tempo era il territorio al centro di un Paese che non c’è più, la parte più jugoslava della Jugoslavia. Lì si può incontrare la quintessenza dei Balcani e si può immaginare quello che sono stati da sempre: un luogo d’incontro, scambio, mescolanza e di appartenenza a un destino comune. “Bratstvo i jedinstvo”, “fratellanza e unità”, come recitava il motto coniato ai tempi di Tito per indicare il tratto d’unione dei popoli della Repubblica federale. Era lo spirito laico, interetnico e tollerante sul quale si fondava la Jugoslavia. Poi, tutto precipitò in una escalation che portò alla guerra con tutto il suo carico di orrori e tragedie, fino a quando tacquero le armi e venne la “terribile pace”. Barbara Castellaro, nel suo libro ( pubblicato da Infinito Edizioni nella prestigiosa collana “Orienti” con l’introduzione e le foto di Paolo Siccardi) non ha inteso affrontare il tema dei conflitti, guardando al “tempo del dopo”, a ciò che rimane di quello spirito balcanico che, come un’aurea, avvolge cose e persone. Sono volti e storie di quei Balcani che, nelle pagine di “Requiem per la Bosnia”, offrono immagini esplosive come lampi, dove si avverte la corposa densità dei sentimenti. Uno spessore emozionale che, però, non oscura il bisogno di guardare e riflettere a mente fredda, ben oltre vent’anni dopo, sulla guerra che insanguinò quell’angolo d’Europa e sulla lunga e terribile scia che si è lasciata dietro. Una guerra che ha rappresentato l’evento più cruento del lungo processo disgregativo che ha messo fine alla Jugoslavia. Sono passati più di quattro lustri dagli anni più bui della “decade malefica” delle guerre che hanno insanguinato quella parte d’Europa. E dieci anni dal tempo del racconto di Barbara Castellaro, anche se le istantanee che hanno scattato i suoi occhi non appaiono molto diverse da quelle di oggi. La situazione si è solo complicata e i fili spezzati dalla guerra alla metà degli anni ’90 si sono solo riannodati malamente, senza risolvere i problemi di fondo. Anzi, ora la crisi è più dura, i rancori crescono e quel fuoco che non si è mai spento continua a covare sotto la cenere. Nella repubblica Srpska mettono al bando i libri di testo editi dalla Federazione Bosniaca perché nessuno possa leggere o studiare cos’è avvenuto a Srebrenica.

Il negazionismo si presenta con il suo volto più scuro, qualificandosi come prassi e punta più avanzata di quel nazionalismo estremo che ha prodotto violenze, drammi e lutti. La crisi si mangia le vite e ipoteca il futuro, soprattutto dei giovani. Persino la grande ondata di profughi dirottati dalla tradizionale rotta balcanica ora passa per Sarajevo. Le stime dei numeri non sono certe perché la polizia non riesce a registrare tutti, ma si calcolano tra i quindici e i ventimila richiedenti asilo entrati in Bosnia nel corso dell’ultimo anno. Donne, bambini, uomini dalle “vite senza sponda”, quelle dei migranti che cercano rifugio in Europa, in fuga da bombardamenti e carestie, da cambi di regime, guerre e povertà, violenze tribali. I muri, i fili spinati, le ostilità e i rigurgiti di razzismo hanno solo reso il loro viaggio più arduo e pericoloso. Come dar torto ad Azra Nuhefendić quando scrive che “gli uomini sono come l’acqua: trovano sempre la strada”? Tante, troppe domande sollevate da quei conflitti sono rimaste aperte e senza una risposta; molti insegnamenti di quel che accadde rimangono ancora lì, in attesa di essere indagati e capiti fino in fondo. Barbara Castellaro, descrivendo ciò che ha visto e chi ha incontrato sui suoi passi in terra bosniaca ha colto il “genius loci”, lo spirito di quei luoghi, la vitalità di un popolo che ha sofferto pene indicibili, la sua necessità di non dimenticare e, al tempo stesso, di non sotterrare la cultura del rispetto delle differenze, delle diversità che diventano ricchezza in quel crogiuolo di religioni, culture, storie che era il cuore di un Paese che non c’è più. In Bosnia la memoria del dolore è del tutto contemporanea e non cancella il ricordo di uccisioni, saccheggi, violenze, torture, sequestri, detenzione illegale e sterminio. Ci sarà mai giustizia? Quasi cinque lustri dopo, rimane un profondo senso di ingiustizia e di impotenza nei sopravvissuti e un pericoloso messaggio di impunità per i carnefici di allora, in buona parte ancora a piede libero e considerati da alcuni persino degli “eroi”.

Le donne incontrate e raccontate da Barbara Castellaro chiedono ancora verità e giustizia, accertamento delle responsabilità,  condanne per i criminali. Predrag Matvejević scrisse parole amare e sagge: “I tragici fatti dei Balcani continuano, non si esauriscono nel ricordo come avviene per altri. Chi li ha vissuti, chi ne è stato vittima, non li dimentica facilmente. Chi per tanto tempo è stato immerso in essi non può cancellarli dalla memoria”. Soprattutto in un Paese che vive tempi difficili, stretto tra crisi economica, corruzione politica e incertezze istituzionali figlie del trattato di Dayton. La storia recente della Bosnia è segnata dal fallimento dell’Occidente e dell’Europa. La rimozione nasce anche dalla fatica di ammetterlo. La Bosnia è l’unico Paese europeo con una forte radice musulmana, mescolata alla cultura slava e mitteleuropea e con una millenaria storia di contatto tra le tre religioni monoteiste: l’ebraica, la musulmana e la cristiana. Non tener conto di tutto questo equivale a togliere spazio a chi cerca il dialogo e lasciare campo aperto alle reti criminali che rappresentano, quelle sì, l’unico e vero pericolo. Ecco perché il racconto di Barbara Castellaro è utile e prezioso. Non pretende di riassumere quanto è accaduto, ma aiuta ad aprire una finestra, induce a guardarvi attraverso, spinge a conoscere. E’ un buon approccio per chi desidererà poi approfondire la storia dell’imbroglio sanguinoso di un massacro costruito in laboratorio e sdoganato all’opinione pubblica come conflitto di civiltà, scontro tribale o generica barbarie.

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