Un Jihad medioevale tutto italiano. Un libro ne racconta la storia

Focus internazionale Storia / di Filippo Re

Ci fu un tempo molto lontano in cui la penisola italiana fu percorsa, sconvolta e terrorizzata da un Jihad islamico. Era l’epoca in cui anche il Papa diventava un guerriero e in sella a un bianco cavallo lanciava il suo esercito contro gli invasori saraceni nelle prime “guerre sante” della Storia. Una vicenda tutta italiana. Accadde oltre mille anni fa con una sorta di jihad medioevale che tenne in scacco l’Italia centro-meridionale e le sue isole, spaventando anche Roma, cuore pulsante della Cristianità nel mondo. Una lotta santa con la spada in mano decollata dalla Sicilia nel IX secolo per volere degli emiri tunisini aghlabiti e proseguita lungo le isole del Mediterraneo e nell’entroterra, dalla Provenza al Tirreno e all’Adriatico, dai covi dei pirati saraceni al Fraxinetum (presso Saint Tropez) alla colonia araba sul fiume Garigliano e alle bande maomettane che nel 840 conquistarono Taranto, nell’846 saccheggiarono Roma con le chiese di San Pietro e San Paolo senza dimenticare l’emirato di Bari e l’insediamento arabo di Taranto nel mezzo delle aspre lotte tra bizantini e longobardi. L’islam in Italia nell’Alto Medioevo è una pagina di storia poco conosciuta e quasi dimenticata ma che ancora oggi fa discutere gli storici. Si trattò di una vera guerra santa islamica contro gli infedeli con obiettivi di conquista nel segno di un violento fanatismo religioso o più semplicemente un arco di tempo più o meno lungo segnato da scorrerie, saccheggi e occupazione temporanea di città e fortezze da parte dei musulmani? Certo è che agli inizi del X secolo la situazione si stava complicando per i cristiani. Dopo aver occupato la Sicilia gli arabi penetrarono nella penisola prendendo Reggio Calabria e avvicinandosi a Cosenza. Le ambizioni egemoniche dell’emiro tunisino Abdallah Ibrahim gettarono nel panico anche i romani che videro avvicinarsi i musulmani. Ma la morte improvvisa, nel 902, dell’emiro e la sconfitta delle forze arabe alla foce del Garigliano, a Traetto (in provincia di Latina), sede di un presidio militare islamico che minacciava anche Roma, fermò gli islamici che attorno al fiume avevano insediato una base da cui partivano per compiere devastanti incursioni nelle regioni vicine. È qui che Papa Giovanni X alla testa di una milizia armata annientò gli arabi del Garigliano con l’appoggio di contingenti militari bizantini, germanici, longobardi, di Napoli, Gaeta, Capua e Benevento.

Dopo un assedio di tre mesi, nell’estate del 915, la coalizione cristiana bloccò il delta del Garigliano, impedendo agli invasori di fuggire. Alle vicende storiche concernenti il tentativo degli arabi di conquistare una parte della penisola italiana tra il IX e il X secolo, di cui si sa ben poco, è dedicato il libro “915. La battaglia del Garigliano, cristiani e musulmani nell’Italia medievale”, Il Mulino. Il volume di Marco Di Branco, studioso di storia romana, bizantina e islamica, docente alla Sapienza e a Beirut, parte proprio dal racconto della battaglia sul Garigliano per poi ripercorrere le tappe principali dell’espansione islamica nell’Italia centro-meridionale. La conseguente distruzione della base islamica segnò la fine delle incursioni saracene in Campania e nelle regioni dell’Italia centrale. Fu una grande affermazione per la lega cristiana e l’evento fu definito da alcuni storici “la più gloriosa impresa nazionale compiuta dagli Italiani nel X secolo”. E fu un successo personale per Giovanni X il cui ritorno a Roma “fu simile al trionfo di un vincitore delle guerre puniche”. Si trattò di un duro colpo all’espansione islamica nel Mezzogiorno ma i saraceni non si fermarono del tutto e colpirono ancora le città di Oria, Siponto e Taranto nel 925-928. L’insediamento sul Garigliano, tra il Lazio e la Campania, che aveva funzioni non solo militari ma era una vera colonia con case, famiglie e una moschea, fu l’ultima roccaforte musulmana sulle coste del Mar Tirreno. Si spensero così i sogni di conquista degli invasori arabi che avevano già fondato l’emirato di Bari (847-871) con il benestare del califfo abbaside di Baghdad. Dai minareti della grande moschea di Bari si alternarono tre emiri in 24 anni. Insediamenti arabi sorsero a macchia di leopardo anche ad Amantea in Calabria, ad Agropoli in Campania, ad Abriola e Pietrapertosa in Basilicata e a Taranto. Fatti che dimostrano l’estensione della presenza musulmana in Puglia e nel meridione a cui bisogna aggiungere, nel Duecento, la Lucera dei Saraceni, dove Federico II, l’imperatore siculo-germanico, trasferì gran parte dei musulmani rimasti in Sicilia. Ma l’emirato più importante fu quello di Bari che resistette per quasi 30 anni per poi cadere nella mani dell’imperatore franco Ludovico II nell’871 dopo tre anni di assedio. Per Di Branco, diversamente dalle tesi di altri storici, le scorrerie arabe sul territorio della nostra penisola alla fine del primo millennio non furono solo semplici incursioni piratesche con razzie, saccheggi e massacri ma molto di più. Si trattò piuttosto di una vera e propria guerra di conquista attuata dagli emiri tunisini che cercarono di approfittare delle divisioni politiche che scuotevano la penisola.

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