Dunque, non so se siamo ancora in una stagione dove è pressoché proibito fare confronti con la classe dirigente del passato. Nello specifico con quella della prima repubblica e dell’inizio della seconda. Faccio questa domanda perché l’informazione dominante, per anni, ci ha propinato il dogma che tutto ciò che appartiene al passato, in particolare alla classe dirigente della Dc e dei partiti di governo, e anche di opposizione dell’epoca, e’ da rispedire al mittente senza appello. In sostanza e’ da condannare politicamente e culturalmente. E forse anche nello stile e nel metodo. Curiosamente, da qualche mese, qua e là riaffiora la tentazione su alcuni organi dell’informazione dominante – pochi per la verità – di un rimpianto della vecchia e tanto bistrattata classe dirigente del passato. E, nello specifico, proprio di quella democristiana. Ora, al di là del rimpianto o della nostalgia – dipende dai punti di vista delle singole appartenenze – un dato e’ ormai certo: chi ha predicato in questi ultimi anni la rottamazione, chi ha esaltato come un lusso l’incompetenza, chi ha teorizzato l’inesperienza e la mancanza di professionalità politica, non può adesso lamentarsi dei risultati che sono sotto gli occhi di tutti. E lo dico a prescindere dalle legittime scelte politiche di ognuno. Certo, sarebbe un’operazione persin troppo facile elencare gli opinion leader, gli intellettuali da salotto e i frequentatori dei vari talk televisivi nonché i leader politici che per anni hanno teorizzato la necessità di delegittimare tutto ciò che era riconducibile al passato. Salvo poi, adesso, rendersi conto che tutto ciò era solo e soltanto propaganda. O meglio, l’eterno vizio di assecondare le mode contingenti e di rincorrere il vincitore di turno. Non a caso i vari commenti dei “giornaloni” – peraltro il più delle volte scritti da milionari e disponibili a cambiare opinione a seconda del potente di turno – invocano a gran voce il ritorno di una classe dirigente autorevole, competente, radicata nel territorio e soprattutto politicamente qualificata. Certo, e’ un esercizio complicato sostenere oggi la necessità di avere una classe dirigente politica autorevole dopo aver demolito scientificamente quella del passato. O meglio, dopo aver liquidato lo strumento partito – o Dc o altri partiti della seconda repubblica poco importa – e i relativi dirigenti e’ quantomai rischioso, adesso, rinobilitarne il ruolo, la funzione e l’eredità. Ma il tema di una rinnovata e soprattutto preparata classe dirigente politica e’, ormai, all’ordine del giorno dell’agenda politica italiana. Quando i “giornaloni”, attraverso i loro opinionisti pongono il tema ripetutamente non è più possibile eluderlo. Si tratta di capire, d’ora in poi, quali saranno le parole d’ordine che gettano le basi per un ritorno di qualità della classe dirigente politica. Perché, com’è ovvio, senza i partiti democratici al proprio interno e con una definita identità culturale, difficilmente potrà nascere anche una classe dirigente preparata ed espressiva. Cioè, in ultimo, se i giornaloni e l’informazione dominante continuano a sostenere che la personalizzazione e i “capi” sono strumenti sempre più indispensabili nella politica contemporanea – e quindi continuando a demolire i partiti democratici e a premiare quelli che sono e restano espressione del “capo” – sarà molto difficile ricostruire una classe dirigente dal basso e, soprattutto, attraverso percorsi democratici. E tutto ciò per sventare il pericolo che, come già ci insegnava nella prima repubblica Carlo Donat-Cattin, “la cooptazione dall’alto non preceda il momento della legittimazione democratica dal basso”.
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