In un famoso romanzo di Ernest Hemingway, si narra di una situazione drammatica in cui il suono di una campana decretava sempre un evento molto, troppo infausto, e segnalava in pratica che la sconfitta di uno, visto che di drammi veri si trattava, era una sconfitta di tutti
perché era l’umanità intera a perderci, sempre e comunque, e di non preoccuparsi per chi suonasse la campana, perché in pratica suonava sempre anche per tutti gli altri. E la situazione alla FIAT Torino cestistica, pur se distante anni luce dai veri drammi di una guerra, può essere debitamente con le pinze paragonata a quel titolo. Larry Brown, leggenda storica di tutto il basket mondiale esonerato e lasciato solo da uno spogliatoio che non condivide le sue idee (discutibili, d’accordo) e che purtroppo non ha lasciato tracce. Ma le leggende piacciono a coloro che non le conoscono, e Freddy Mercury è più famoso oggi che in vita, e non importa se il film è realistico oppure no, basta che la verità raccontata sia quella che piace e diventa vera verità. Ma, come in un incidente d’auto, il guidatore dell’altra macchina è sempre quello imbecille, anche nello sport le verità non sono sempre tutte da una sola parte. Ma poco ci si interessa dell’altrui verità quando quella che sentiamo ci piace. Torino del basket ha voglia di gioco e sport, ha voglia di vincere e vorrebbe che la propria squadra fosse ai vertici. Ma è sempre così? Siamo sicuri che tutti lo vogliano realmente? La vicenda Carlos Delfino è alquanto “complessa”, ma delegare tutte le colpe in una sola direzione potrebbe non essere la soluzione più giusta. La situazione era tesa e il giocatore aveva già fatto emergere le sue caratteristiche di alta tensione nervosa già poco prima in panchina, distruggendo bottiglie di plastica e dando calci in maniera furiosa a tabelloni e sedie. Sicuramente non era tranquillo e la sua serata non era stata all’altezza della sua fama. Se negli spogliatoi scattano istinti primordiali di mal sopportazione delle critiche non è impensabile comprenderne le cause ma anche delle motivazioni che erano già nate da tempo, e purtroppo ben visibili a circa 4000 persone. Sicuramente la gestione dello spogliatoio non è patrimonio da cintura nera di chi deve curarne gli aspetti, ed è evidente a tutti che i risultati parlino da soli.
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E questo deve sicuramente far riflettere la società su persone e incarichi da affidare finalmente a qualcuno che sappia mediare realmente tra i bisogni gestionali e le giuste esigenze dei giocatori, cosa che al momento sembra non proprio perfetta. Purtroppo è andata persa la scommessa Larry Brown che aveva riscosso il parere favorevole mediatico di mezzo mondo (e l’altra metà sperava in un flop, per motivi a molti oscuri, ma non sei mai tifoso di una squadra quando speri che perda per sostenere la tua idea di critico d’arte…). Io credo che i numeri non mentano, purtroppo, e che ormai, anche solo per dare una scossa, questa soluzione fosse l’unica possibile, ma non la migliore, forse solo “la meno peggio”. Resta solo un rimpianto, vero: se ad inizio stagione avessimo vinto con Venezia anziché perdere ai supplementari, e con il Fraport in Eurocup anche in quella occasione avessimo vinto invece di perdere anche qui nel supplementare, forse, l’entusiasmo che avrebbe creato avrebbe posto questa stagione in una forma diversa. Ma, come ho sempre detto e scritto, con i se e con i ma non si va da nessuna parte. In ogni caso, purtroppo, l’unica vera verità che resta è la sconfitta del buon senso generale e del basket in toto: della gestione societaria, che tantissimo ha investito in termini di denaro, salute e dedizione che si trova al centro di una tempesta mediatica come unica causa di una situazione degenerata sicuramente per più cause; dei tifosi, che hanno visto una squadra diversa quasi ogni settimana e che soffrono con il portafogli e con il cuore vedendo quasi sempre la loro squadra sconfitta; dei giocatori, che sembrano talvolta non dei fortunati della vita che vivono giocando, e sottolineo, giocando a basket e che talvolta non si rendono conto del compito che hanno anche solo per dare un giusto ritorno emotivo a chi “vive” per loro che rinuncia alla famiglia, al riposo, anche con spese elevate pur di sognare delle loro gesta e gioirne; di tutto lo staff societario, che se tutto andasse verso il baratro, pur con tutti gli sforzi fatti per far apparire lo spettacolo della partita, si troverebbe senza lavoro da un giorno all’altro. E’ una sconfitta mediatica, perché la FIAT Torino del basket va sui giornali quasi sempre per essere criticata, e non è giusto. E’ un patrimonio di tutti costruito da pochi, e questi “pochi” possono sbagliare, ma vituperarli e gioire dei loro errori non è cosa sana, e dietro queste cose, di solito c’è di più. In ogni caso, per concludere questo articolo, parafrasando il titolo del libro di cui all’inizio parlavo, non chiedetevi per chi suona la campana del basket mancato, quella campana suona per tutti noi.E solo chi ha la forza di alzare la testa, di dirsi su quando più nessuno crede in te, sarà artefice della rinascita del basket a Torino. Non mollate tifosi, non mollare …Torino!
Paolo Michieletto
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