Per i cani no botti, sì droni. Ma le altre 364 notti?

AVVISTAMENTI ANTICONFORMISTI  / di EffeVi *
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Il Comune si accoda a una società schizofrenica: via i fuochi perché spaventano gli animali per una notte. E pazienza se per il resto dell’anno migliaia di mastini, bracchi da caccia, cani da slitta e da lavoro, soffrono vite contrarie alla loro disposizione genetica, forzati in una routine da cagnolini da salotto, per soddisfare il capriccio delle famigliole.
In attesa che anche a Capodanno i comuni cittadini possano sostituire gli articoli pirotecnici (costo medio: da 10 a 200 Euro per la confezione) con i droni (costo medio: da 170 Euro in su, senza contare il necessario rigging di proiettori), per San Giovanni la nostra illuminata Amministrazione Comunale ha stabilito di inscenare uno spettacolo di son et lumière con avveniristici droni, al costo di 18.000 Euro al minuto, invece dei tradizionali fuochi pirotecnici che sarebbero costati meno per l’intera serata. Tanto, come è noto, la situazione finanziaria del Comune è florida. Si tratta di una posa, molto modaiola e parecchio ipocrita, per varie ragioni.
Innanzitutto i fuochi artificiali, come tante altre cose che ci accompagnano da secoli, hanno vissuto la loro evoluzione: i professionisti del settore oggi possono inscenare spettacoli pirotecnici tutti fondati sulla luce e con suono scarso o nullo, con i fuochi cosiddetti a bassa intensità. Ancora: la scelta di affrontare una spesa esorbitante per i droni è giustificata con l’argomento della copertura dei costi da parte degli sponsor. Classico falso dilemma, perchè i gentili Fastweb e altri sponsor potevano essere coinvolti per pagare cose più essenziali dei droni: per esempio adottare piazze e giardini della città in completo stato di abbandono, con le erbacce alte mezzo metro. Ma l’argomento più urticante è senz’altro quello della protezione degli animali: vero, gli animali domestici, specie quelli che vivono in prossimità, possono essere turbati dai rumori, dai cosiddetti botti. Problema risolvibile con l’adozione di articoli pirotecnici moderni. Ma no, bisognava far parlare di sè, della “rivoluzione di San Giovanni”.  E va bene, facciamo stare tranquilli cani, gatti e canarini per una notte. Restano, per dirne solo alcune, altre occasioni: Capodanno, le partite decisive dello Scudetto, i Mondiali, la Champions. Tutti i fracassoni, ubriaconi e alterati di varie sostanze che ogni notte, perlopiù impuniti, strepitano sotto le nostre finestre. Non è che gli animali non li sentano.
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Ma poi resta un problema di fondo. Ieri mi trovavo in centro e ho visto un cane Akita distrutto dal calore, al guinzaglio di una bella signora borghese che lo esibiva come fosse un accessorio di lusso. Si tratta di una razza selezionata di cani da slitta, da caccia e da lotta: che ci fa tra i tavolini dei dehors di piazza San Carlo? A chi non è capitato di vedere un husky siberiano curvo sotto la fatica di un caldo urbano a cui non è predisposto? Un golden retriever insofferente e nervoso per la mancanza di spazio e di esercizio fisico necessario alla sua costituzione? Quanti mastini, bracchi da caccia, cani da slitta e da lavoro, soffrono ambienti e vite contrarie alla loro disposizione genetica, forzati in una routine da cagnolini da compagnia, per soddisfare il capriccio delle famigliole , l’esigenza di uno status-symbol, le rogne del figlio che gli dedica la stessa attenzione che presta all’ultimo giocattolo recapitato da Amazon?
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La Lega Anti Vivisezione calcola che il Piemonte sia una delle Regioni con più cani per abitante, con quasi 500 mila esemplari (l’anagrafe canina regionale ne conta quasi 800mila, ma probabilmente i proprietari non registrano i decessi e quindi il dato ne risulta distorto). Un Piemontese su otto ha un cane. La legislazione a difesa degli animali ha fatto passi avanti, riconoscendoli a livello europeo come esseri senzienti (ma questo lo disse prima Giovanni Paolo II): persino gli animali da macellazione hanno diritto a minimi standard di spazio, alimentazione, idratazione, sicurezza. Invece migliaia di cani (e altri animali) continuano a soffrire nelle case dei buoni borghesi. Quelli che, a Torino, si preoccupano della notte di San Giovanni, ma che non si fanno scrupolo di tenere il cane di razza artica in città a 35 gradi e il cane da caccia al cinghiale nella mansarda chic in piazza Carlina. Persone a cui nessuna autorità contesterà mai il maltrattamento e che non riceveranno mai la visita degli inviati di Striscia o delle Iene perchè, in fondo, anche loro appartengono a un mondo di strabici. Se volessi comprarmi una giraffa e tenerla nel salotto di casa, la legge giustamente me lo vieta. Evitando di scivolare in legislazione illiberale, mi parrebbe di buon senso che chi vuole acquistare un animale debba dimostrare di disporre dei mezzi per garantirgli una vita in linea con le sue esigenze, soprattutto per razze specializzate e geneticamente selezionate per la vita all’aria aperta. Se no ci sono tante razze da compagnia. O, se siete davvero così interessati agli animali non come articolo di lusso da esibire all’ora dell’aperitivo, migliaia di bastardini in canile, pronti per l’adozione. 
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* Nel ritratto in alto Antoine Rivarol  (1753-1801) intellettuale conservatore francese e scrittore del ‘700 che si accorse di tutti i pericoli della furia sanculotta. Ma non fu mai ascoltato
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