La Tesoriera o Villa Sartirana, origine d’una villa suburbana torinese

Lungo corso Francia, nel tratto compreso tra piazza Rivoli e corso Monte Cucco, fa bella mostra di sé, attorniata da un vasto parco, la settecentesca Villa Sartirana, meglio nota come La Tesoriera, oggi di proprietà comunale e sede della biblioteca civica musicale “Andrea Della Corte”

L’edificio, considerato tra i più significativi esempi di villa suburbana torinese (nell’epoca in cui fu costruita, l’area si trovava in aperta campagna), venne eretto tra 1713 e 1715 su progetto del cremonese Jacopo (o Giacomo) Maggi, poco conosciuto come architetto, ma attivo a Torino sino al 1702 in veste di costumista, scenografo e impresario del Regio Teatro. Maggi aveva ricevuto l’incarico dall’acquirente dei terreni, Ajmo Ferrero di Cocconato, che s’era affermato come funzionario di corte, investito della carica di Consigliere e Tesoriere generale del Re, al tempo Vittorio Amedeo II di Savoia. Proprio il sovrano sabaudo Vittorio Amedeo II partecipò, nel 1715, all’inaugurazione della villa, evento ricordato da Elisa Gribaudi Rossi nel suo libro “Cascine e ville della pianura torinese”.

L’altro nome con cui Villa Sartirana è nota ancora oggi, La Tesoriera, trae origine, secondo una prassi onomastica ricorrente tra cascine e ville dell’agro torinese, dalla carica rivestita a corte dal primo proprietario, il Ferrero di Cocconato, che fu appunto Tesoriere del duca, poi re Vittorio Amedeo II. Stessa origine è riscontrabile nel caso del Maggiordomo, della Marchesa, dell’Auditore, della Generala, della Cavaliera, del Conte Grosso, tutte cascine e dimore di campagna che derivano il nome dal titolo nobiliare o dalla carica ricoperta dagli antichi proprietari, costruttori o successivi acquirenti. La campagna circostante la capitale sabauda era, infatti, punteggiata di cascine, alcune delle quali ancora oggi sopravvivono, sovente affiancate da eleganti ville e edifici padronali utilizzati come dimora estiva dalle famiglie dei proprietari, nobili o anche borghesi, che s’erano arricchiti con l’esercizio della manifattura e del commercio, talora imponendosi con importanti incarichi a corte.

La Tesoriera appare senz’altro tra gli esempi di maggior pregio nel novero delle ville suburbane settecentesche. L’architettura si richiama a uno schema ricorrente, non esente da echi guariniani, con un padiglione centrale sopraelevato, che contiene il grande salone centrale a due piani, affrescato con temi mitologici e arcadici forse da Giovanni Battista Pozzo, e le maniche laterali, più basse. Due scalinate simmetriche collegano l’atrio al primo piano, dove si apre sul lato verso mezzogiorno una galleria coperta, da cui si accede al salone centrale e alle stanze minori. La disposizione delle ville suburbane torinesi segue di norma l’asse nord-sud, con una facciata rivolta a mezzogiorno, e l’altra a settentrione, mancando di solito elementi significativi che consentano di distinguere tra le due il prospetto principale.

Le ville non si affacciavano quasi mai sulla strada, bensì sorgevano in posizione arretrata, attorniate da campi e parchi, e vi erano collegate a mezzo di viali alberati. A proposito della Tesoriera il Derossi, autore di una Nuova guida della città di Torino edita nel 1781, descrive un viale ombreggiato da olmi, che metteva in comunicazione la villa con lo stradone di Rivoli o Stradone Reale di Francia, oggi corso Francia. Dopo la morte del costruttore Ajmo Ferrero di Cocconato, la vedova cedette la villa a Roberto Ghiron Asinari di San Marzano, poi durante l’occupazione napoleonica del Piemonte venne utilizzata per l’alloggiamento delle truppe francesi. In seguito si avvicendarono diversi proprietari sino a che negli anni Quaranta dell’Ottocento venne acquistata dal marchese Ferdinando Arborio Gattinara di Breme, famoso sia per l’impegno nella pittura (fu presidente dell’Accademia Albertina), sia per gli studi di ornitologia e entomologia. L’importante collezione entomologica del Breme (circa 50.000 pezzi) venne donata, alla sua morte, alla Regia Accademia delle Scienze, ed è oggi conservata al Museo di Storia Naturale di Torino. Nel 1867 fu insignito dal re del titolo di duca di Sartirana, ragion per cui la villa La Tesoriera è anche conosciuta come Villa Sartirana.

Nel 1934 l’edificio passò ai Savoia-Aosta, che intrapresero lavori di ampliamento e ammodernamento, affidati all’architetto Giovanni Ricci. Durante l’ultima guerra mondiale, la Tesoriera venne occupata in successione da comandi tedeschi, partigiani, americani, e fu anche danneggiata dai bombardamenti. Nel 1962 ci fu la vendita all’Istituto Sociale dei Padri Gesuiti, che fecero della villa una sede scolastica, per poi cederla nel 1971 al Comune di Torino. Seguirono lavori di restauro e infine l’apertura al pubblico sia della villa, come sede della biblioteca musicale, sia del parco, che copre una superficie di circa 7 ettari.

Già le descrizioni ottocentesche del Baruffi elogiano l’ampio parco di Villa Sartirana, ricco di varietà botaniche, tra cui il grande platano che ancora oggi ammiriamo, uno degli esemplari più vecchi di Torino, piantato nel 1715. L’area verde risultava ingentilita da giardini alla francese e all’olandese, dovuti ai lavori di risistemazione promossi dal Breme, di serre riscaldate con piante tropicali, e ospitava una sorta di zoo, con animali di specie diverse, mufloni, gru, daini, gazzelle e un’infinità di uccelli. Passeggiando nel parco si nota infine, oltre alla bella fontana aggiunta in seguito, una curiosa statua in litocemento (impasto di cemento e piccole pietre), tecnica sperimentata per la prima volta nel Borgo Medioevale di Torino, che è opera di Ettore Ximènes, autore della celebre statua dello “Zar liberatore” Alessandro II a Kiev (1911). Collocata alla Tesoriera nel 1886, la statua rappresenta re Vittorio Emanuele II seduto su una roccia in compagnia d’un cane e d’un bambino.

 

Paolo Barosso

(foto Paola Meliga)

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