Popolari, ora si scenda in campo

di Giorgio Merlo

Cresce il dibattito, e soprattutto la domanda, sul perché i cattolici democratici e i cattolici popolari siano di fatto scomparsi dalla geografia politica italiana dopo il voto del 4 marzo. Ma quello che incuriosisce maggiormente non sono le riflessioni che arrivano dall’area cattolica – il che è abbastanza naturale se non addirittura scontato – quanto dal mondo laico e culturalmente più lontano dalla galassia cattolica. Commentatori autorevoli, politologi di rango e opinionisti prestigiosi sostengono apertamente che senza una ripresa della “cultura di centro” da un lato e, soprattutto, senza un ritorno di una autorevole e qualificata classe dirigente cattolico democratica dall’altra la deriva autoritaria e qualunquistica della nostra democrazia e’ dietro l’angolo. Certo, il tutto avviene dimenticando che abbiamo ascoltato per anni la stanca litania della bontà e soprattutto della utilità della scomparsa del centro a favore della nuova religione bipolare che avrebbe dovuto bonificare il paese dal consociativismo e dall’ingovernabilita’. Come sia finita concretamente la situazione è sotto gli occhi di tutti. Ora, pero’, per tornare alla riflessione iniziale, e’ indubbio che il voto del 4 marzo ha cambiato profondamente la geografia politica italiana. Se da un lato occorre prendere atto che ci troviamo di fronte ad un nuovo bipolarismo, seppur definito “bipopulista”, dall’altro e’ indubbio che questo voto ha segnato la fine, almeno per il momento, della stagione dei “partiti plurali” da un lato e, come evidente, delle correnti cosiddette “identitarie” all’interno di quegli stessi partiti. La secca sconfitta politica ed elettorale del Partito democratico e il superamento di quella concezione di partito plurale che l’aveva più o meno caratterizzato – anche se con la gestione Renzi era diventato a tutti gli effetti un “partito personale” o “partito del capo” – spinge sempre di più quel campo politico adesso a riscoprire le ragioni della sinistra. Sinistra moderna, post ideologica e di governo ma sempre e comunque di sinistra. E il superamento dei partiti plurali si trascina dietro anche l’archiviazione definiva delle correnti o delle aree organizzate all’interno degli attuali partiti. Che ormai sono diventati a tutti gli effetti partiti personali, senza una precisa cultura politica e legati quasi esclusivamente alle fortune del “capo” di turno. Ecco perché sorge, allora, quasi spontanea la domanda: e cioè, se la destra ritorna forte e protagonista, se la sinistra – pur tra mille difficoltà e contraddizioni – si dovrà rimettere in cammino, se l’ideologia populista si sta affermando sempre di più, e’ gioco forza che anche una storica e significativa cultura politica che ha accompagnato lo sviluppo e il consolidamento della nostra democrazia come il cattolicesimo politico italiano si riorganizzi e ritorni in campo. Laicamente e senza arroganza ma con la consapevolezza che questo filone ideale non può più limitarsi a giocare un ruolo puramente testimoniale e politicamente periferico e marginale. Serve, cioè, riaffermare una presenza politica, culturale e programmatica che sappia dar voce e rappresentanza ad un mondo che e’ politicamente afono e che, soprattutto, oggi non è più rappresentato. Certo, e’ un mondo che vota, seppur stancamente e quasi con inerzia, i vari protagonisti in campo ma senza entusiasmo e senza convinzione. Ma per poter rispondere adeguatamente a questa domanda sono necessari alcuni elementi di fondo: va promossa una feconda seminagione culturale, va affinato un “pensiero” e, soprattutto, va favorito un processo di ricomposizione e di riaggregazione dell’area cattolico democratico, cattolico popolare e cattolico sociale attraverso il filo comune di una cultura e di un progetto di società aperti a tutti e capace di assecondare e costruire un vero “bene comune”. Solo cosi’ sara’ possibile rispondere a quella domanda iniziale sulla necessita’ di far ritornare in campo, nell’attuale situazione politica italiana, del pensiero popolare di ispirazione cristiana.

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