Galasso, un napoletano che guardava al Risorgimento e all’Europa

di Pier Franco Quaglieni

Con la morte di Giuseppe Galasso si è chiusa l’età dei grandi storici italiani. Era uno studioso di livello europeo, profondamente radicato nella sua Napoli ed impegnato sul terreno di un meridionalismo alto che riprendeva gli ideali di Guido Dorso rivivendolo in una temperie politico – culturale totalmente cambiata .Era stato partecipe dell’avventura di “Nord e Sud” di Francesco Compagna e Vittorio De Caprariis. Fu nella redazione di quella nobile rivista che lo conobbi negli Anni Settanta del Novecento sull’onda del ricordo di Mario Pannunzio, che per Galasso rappresentava una delle lezioni morali e politiche più importanti . L’ultimo articolo che ha pubblicato pochi giorni prima della morte fu quello dedicato a Pannunzio a 50 anni dalla sua morte. Gli telefonai per complimentarmi con lui che era riuscito a storicizzare la figura di Pannunzio, andando oltre le celebrazioni acritiche e le polemiche contingenti in cui si è impelagato Eugenio Scalfari. Fu generoso con me e mi disse che aveva letto e apprezzato il mio articolo su Pannunzio per il suo “taglio innovativo”. Mi disse che , pur essendomi occupato per quasi 50 anni dell’argomento, avevo saputo dare un taglio distaccato. Concordò con me sul fatto che Pannunzio non aveva avuto un biografo adeguato. Una telefonata di pochi minuti, l’ultima tra tante. Ma soprattutto la nostra frequentazione era avvenuta a Palazzo Filomarino, dove abitava Alda Croce e dove ha sede l’istituto italiano di studi storici in cui Galasso si era formato alla scuola di Federico Chabod, come accadde a Rosario Romeo e Renzo De Felice. Una volta gli proposi di succedere ad Alda Croce alla presidenza del Centro “Pannunzio”,lui ringraziò ma mi disse che spostarsi a Torino di frequente era per lui troppo disagevole. Nel suo ricordo di Alda Croce nel 2009 al momento della sua morte omise di ricordare che era stata Presidente del Centro “Pannunzio”,ma quando lo chiamai per farglielo notare, mi chiede scusa e mi disse che aveva dovuto scrivere il pezzo in pochissimo tempo. Un tratto essenziale, fondamentale di Galasso è che fu anche attivo politicamente: fu deputato repubblicano per tre legislature e sottosegretario di Stato ai beni culturali.

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Fu l’artefice dei primi provvedimenti seri a tutela del paessaggio con la legge che porta il suo nome e che va oltre la legge Bottai del 1939. Giovanni Spadolini ,dal momento in cui si dedicò alla politica, pose definitivamente fine alla sua ricerca storica .Galasso invece seppe coniugare politica e attività scientifica, senza mai lasciarsi condizionare dal suo agire politico. Non si sentì mai un intellettuale “prestato” alla politica perché si dedicò ad essa in modo appassionato,specie dopo la morte di Francesco Compagna da cui ereditò il seggio parlamentare a Napoli. Ma non si lasciò mai travolgere dalla politica mantenendo la sua fisionomia di studioso. La Legge Galasso ne è testimonianza e la sua presidenza della Biennale di Venezia dal 1978 al 1983 ( anni molto difficili per il clima politico del nostro Paese) e’ la dimostrazione di questa straordinaria capacità di vivere l’endiadi cultura e politica senza mai far prevalere l’una sull’ altra. Aveva una concezione profondamente laica, ma rispettosa delle fedi religiose. Era molto diverso dal laicismo molto radicato di Gennaro Sasso ,studioso come lui dell’opera di Benedetto Croce a cui si sentì molto legato. Aveva iniziato come storico ad occuparsi dell’età moderna per poi rivolgersi alla storia medievale e al Risorgimento. Su quest’ultimo tema aveva difeso, lui napoletano, come Croce, Omodeo, De Felice le ragioni dell’unificazione italiana contro le demonizzazioni marxiste ,le nostalgie neo borboniche e le volgarità leghiste. Quando seppe che un comico prestato alla politica voleva istituire un’ ennesima giornata della memoria in ricordo delle vittime del Risorgimento in occasione dell’ anniversario della presa di Gaeta, ebbe un sussulto. Gli lessi un articolo scritto a quattro mani con Dino Cofrancesco contro l’ assurda proposta, che venne presa in considerazione solo dal Consiglio regionale pugliese e mi confidò che Narciso Nada ,storico torinese del Risorgimento con cui avevo studiato all’Università, si sarebbe sentito orgoglioso di me. Anche questa volta rimasi colpito dalla sua generosità .Lui repubblicano seppe valutare positivamente il ruolo della Monarchia nel Risorgimento e considerare l’attaccamento sincero della gente del Sud alla dinastia sabauda dimostrata nel secondo dopoguerra. Era molto rammaricato dal fatto che le cattedre di Storia del Risorgimento venissero sostituite da quelle di Storia risorgimentale ed era amareggiato per la fine non bella degli Istituti per la Storia del Risorgimento, << ormai in stato comatoso e finiti in mano a persone inadeguate>>.

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Nel 2011 andammo insieme a Roma al Museo centrale del Risorgimento del Vittoriano e constatammo insieme la sua inadeguatezza. Aveva invece molto apprezzato quello nazionale di Torino così come lo aveva concepito Umberto Levra che <<aveva avuto il coraggio di eliminare la sala delle bandiere del movimento operaio e sindacale inaugurata da Pertini e che non c’entrava nulla con il Risorgimento>> Negli anni Settanta venne nell’Aula Magna dell’Università di Torino a presentare un suo libro sul Mezzogiorno. Era un’iniziativa del Centro “Pannunzio” .L’Aula era ormai quasi piena ed era già arrivato il sociologo Filippo Barbano che era, insieme a Giorgio La Malfa, il presentatore del libro. Un “proconsole” torinese di La Malfa arrivò trafelato annunciando che il deputato non sarebbe venuto e che chiedeva a Galasso di rinviare ad altra data la presentazione .Fu una grave umiliazione e un atto di suprema arroganza. L’autore non proferì parola e dovette subire. Erano episodi che rivelarono fin dall’inizio la decadenza del partito repubblicano torinese. Anni dopo gli ricordai a Napoli quel lontano episodio e mi rispose con eleganza superiore che non valeva la pena di ricordarlo. Ricordare la sua vastissima opera storica diventa impossibile nei limiti che ci siamo posti. Un capolavoro appare la sua “storia di Napoli” ,come già era accaduto per Croce. Galasso si era anche occupato di storiografia e di metodo storico, come aveva fatto Chabod. Mise in evidenza i limiti di una storiografia basata sull’ideologia e anche quelli dei celebrati “Annales” francesi, evidenziando come ingiustamente gli storici italiani siano stati poco considerati a livello internazionale, sia a causa del fascismo sia a causa della prevalenza della lingua inglese. La grande storiografia italiana invece andava valutata in tutta la sua importanza, da Gioacchino Volpe ( del quale evidenziava la grandezza per troppo tempo messa in discussione per ragioni politiche ) ad Omodeo, da Chabod a Giorgio Falco, da Arnaldo Momigliano a Delio Cantimori, seguiti da Walter Maturi,Franco Venturi, Rosario Romeo e Renzo De Felice. In questa galleria di grandi storici la cui ricerca era finalizzata all’unico scopo di indagare la verità storica, l’ultimo in ordine di tempo non certo di importanza, che trova posto è proprio Giuseppe Galasso, la figura più autorevole della cultura napoletana che seppe essere cosmopolita, europeo e nazionale. In Galasso vibrava la tradizione in lui sempre viva di Francesco De Sanctis.

 

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