di Giorgio Merlo
Dunque, ancora una volta e senza scagliare accuse contro nessuno, dobbiamo prendere amaramente atto che i cattolici e ciò che rappresentano in termini politici e culturali sono disseminati lungo tutto l’arco costituzionale. Come si diceva un tempo, appunto. Ovvero, sono presenti in tutti i partiti e in tutti gli schieramenti politici. Dal Pd a Liberi e Uguali, da Forza Italia alla Lega, da Fratelli d’Italia ai 5 stelle, dalle molteplici sigle di centro alle varie liste civetta messe in piedi dal Pd e dal centro destra. Una gamma di esperienze, di sigle, di personalita’ e di culture che hanno il pregio di garantire nei vari partiti una presenza cattolico democratico e cattolico popolare ma con scarsa capacità – occorre pur ammetterlo – di far prevalere un “pensiero” che ormai da troppo tempo nel panorama politico nazionale svolge un ruolo del tutto marginale.
E a nulla valgono le prediche di quei furbacchioni che continuano a blaterare che l’unica soluzione e’
l’assenza dall’agone politico dispensando, al contempo, pagelle a destra e a manca contro tutti
coloro che “tradirebbero” il disagio dei cattolici in politica. Ora, conosciamo tutti la vastita’ del tema in questione. E, al contempo, la difficoltà e la complessità nel dare una risposta compiuta e il più possibile coerente ad una esigenza sempre più diffusa nella varia e articolata base cattolica. Cioè’ di partecipazione e di disorientamento. Io credo, pur nel rispetto di tutte le opinioni come ovvio, che nella situazione data almeno su 3 questioni possiamo trovare un accordo di massima.
Innanzitutto dobbiamo riconoscere la presenza di un forte ed irreversibile pluralismo delle scelte
politiche dei cattolici. Un dato, questo, che non può essere messo in discussione per qualche
civetteria individuale o di gruppo o per una astratta elaborazione decisa a tavolino da qualche
illuminato. Un pluralismo che ormai è diventato un dato costitutivo per la stessa storia del
movimento cattolico italiano. Una seconda riflessione riguarda la necessità, oggi, almeno su questo non ci dovrebbe essere disaccordo, di avere una presenza politica nei vari partiti in questa fase di transizione. Dopo il partito unico dei cattolici, la Dc; dopo la breve anche se intensa esperienza del Partito popolare italiano e dopo la parentesi della Margherita, da anni ormai questa cultura molto frastagliata al suo interno e’ disseminata dappertutto.
E a nulla valgono gli appelli all’unita’. Quello che si deve garantire e’ una visibilità politico e culturale che sia capace, nei rispettivi schieramenti, di salvaguardare una cultura, uno stile ed un pensiero che rischiano di essere sempre più stritolati nei “partiti personali” che ormai dominano lo scenario politico italiano. In ultimo, e su questo versante la riflessione si aprirà inesorabilmente dopo il voto del prossimo 4 marzo, si tratta di verificare se esisteranno ancora le condizioni per rinnovare, seriamente, la presenza laica di un partito di ispirazione cristiana. Una sorta, cioè, di Ppi aggiornato, rivisto e modernizzato. Oggi non si può anticipare nulla. Se non l’impegno, comune, di non archiviare un patrimonio culturale, politico, programmatico e anche etico che continua ad essere importante e
decisivo per il futuro e la qualità della nostra democrazia.
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