di Pier Franco Quaglieni
Il venerdì le vendite de “La Stampa” hanno un’impennata. Molti che non comprano più il quotidiano di via Lugaro,non vogliono invece perdersi “Torino7” che compie oggi 30 anni di vita e li festeggerà con un evento musicale importante in piazza San Carlo

Forse nessun giornale riuscirebbe ad affrontare oggi lo spazio smisurato di quella piazza dove si tenevano grandi concerti al tempo del “Settembre musica “ e i grandi leader politici facevano i loro spettacolari comizi. E’ un supplemento che ha decisamente superato in vendite “Tuttolibri” che via via ha perso lo smalto che gli diede Carlo Casalegno e che ancora Bruno Quaranta aveva saputo mantenere. L’attuale direttore è Cristina Caccia, giornalista colta, aperta, mite, figlia del magistrato Bruno Caccia ammazzato sotto casa nel 1983.Cristina fu la prima a vedere il padre in una pozza di sangue e portò via il cane che stava vicino a lui ed abbaiava furiosamente. Un ricordo che segna la vita. Dopo trent’anni ,forse, un processo ci dirà chi furono gli assassini del Procuratore di ferro,nobile esempio della tradizione “sabauda” della Magistratura subalpina. L’inventore di Torino7 fu Franco Pierini, creatore dei supplementi del giornale durante la direzione di Giorgio Fattori. Era un uomo appartato e gioviale che veniva dalle fila della Resistenza, anche se non se ne vantava mai, come il mitico capo cronista Ferruccio Borio, un giornalista davvero fuori ordinanza. Era un piacere cenare con Pierini che , non torinese, era attento ad ogni aspetto della città ed aveva una conversazione molto piacevole. Nella creazione di Torino 7 ebbe un ruolo di primo piano Edoardo Ballone, responsabile della pagina “In città”, una novità per i quotidiani di quegli anni che egli sapeva inventare ogni giorno con estremo equilibrio, spirito liberale, apertura. Era di madre viennese e ci teneva moltissimo alle sue radici ebraiche e mitteleuropee.

Aprì la pagina ai gay in tempi in cui di questi temi proprio non si parlava. Era un uomo raffinato e colto. Non ebbe i riconoscimenti che meritava e morì ancora giovane. Oggi è dimenticato come Pierini. Gabriele Ferraris fu uno dei direttori più innovativi del supplemento che “curò come un figlio”, per dirla con le sue parole. Ci sarebbero tanti altri nomi da ricordare ,a partire da Alessandra Comazzi e il poliedrico Rocco Moliterni, ma l’importante è sottolineare che Torino7 ci dà ogni settimana il volto bello ed attrattivo della città. Una città policroma, viva, non condizionata dalla politica che spesso la degrada e la umilia. Leggere Torino7 – a fianco di Cristina Caccia va ricordata la bravissima Alma Toppino- e’ un piacere a cui non so resistere anche quando sto lontano da Torino .Anzi, è un modo piacevole per rimanere vicino ad un certo tipo di città, la 7 appunto, che è l’unica che amo per la ricchezza vitale delle sue proposte culturali, ma non soltanto culturali. Una volta andai a cercare, in fondo a corso Casale, un negozio che purtroppo non visse molto, dedicato agli amanti dei gatti. Senza To7 non lo avrei mai conosciuto. Articoli brevi, incisivi, spesso scritti da giovani capaci: uno per tutti, Marco Bobbio, il nipote del filosofo.Giovani disponibili, attenti, anche umili , pur nella loro bravura, che mettono entusiasmo nello scrivere i loro pezzi, sempre precisi e puntuali. Anche il ricordo dei tempi passati di Torino, una rubrica seguitissima, si coniuga bene con le notizie sulle iniziative promosse dai giovani che sono i primi lettori di Torino7.Quei giovani che sembrano appiccicati solo al telefonino,amano To7. Gabriele Ferraris continua con la sua bella rubrica ad esprimere il suo dissenso verso le politiche che non rispettano la vita culturale torinese che Cristina Caccia fotografa , settimana dopo settimana, con obiettività e intelligenza. E’ quasi impossibile non trovare in quel supplemento un’iniziativa culturale promossa a Torino. E’ forse proprio questo il merito maggiore di “Torino7” che si è reso indispensabile per essere informati di tutto e di tutti in modo rapido e obiettivo.


registrare la miglior prestazione femminile assoluta dell’intera due giorni.
alla “Genova Nuoto” e al Comune di Genova. Anche in questo caso, i vigili torinesi si sono classificati terzi, mentre Milano ha bissato il successo, precedendo nella graduatoria finale la società “Genova My Sport”.
La libreria antiquaria iniziò la sua attività al numero 30 di via San Nicolò, nel cuore di Trieste, nel 1904 con il nome del libraio-editore Giuseppe Mayländer e venne acquistata quindici anni dopo – nel 1919 – dal poeta Umberto Saba, diventando uno dei più importanti luoghi d’incontro gli intellettuali triestini.
Dall’arrivo a Trieste da Pola del croato Mayländer nel 1904 – che intraprese l’attività di libraio, acquistando la sezione antiquaria della libreria Quidde – al trasferimento al pianoterra al “30” di via San Nicolò e alla cessione a Umberto Saba ( pseudonimo di Umberto Poli), le vicende di quello che il poeta descrisse come “l’antro oscuro” si affiancano alla storia di questa città di confine da sempre contesa. Tra le pareti della libreria, l’andirivieni degli “strani clienti” – come Saba usava chiamare i frequentatori dell’Antiquaria –, le chiacchiere e le ricerche di volumi e documenti prese forma una parte molto importante della vita intellettuale triestina. Da Mayländer al signor Stock ( imparentato con il fondatore della nota ditta di liquori, che Saba accettò come socio al cinquanta per cento all’inizio degli anni Trenta), fino al “commesso” Carlo Cerne, che riuscì a gestire con talento e oculatezza la libreria, ereditandola nel 1958,questa miscela di
persone e storie ne ha fatto – in più di un secolo – un luogo di cultura unico e originale. Nella libreria, tra le varie pubblicazioni, non si può non acquistare la poesia “Trieste” , la prova del legame inscindibile del poeta con la città dal grande fascino, sospesa tra il mare e l’asprezza delle colline carsiche. Scritta tra il 1910 e il 1912, “Trieste” è stata tradotta in una moltitudine di lingue e rappresenta la quintessenza di questa città in terra giuliana, al tempo stesso italiana, slovena e mitteleuropea. E’ un modo giusto per approssimarsi o concludere una visita alla libreria di Saba, “nutrendosi” con i versi che raccontano le piazze e le vie, le rive e il mare, dove soffia la bora e “
Continua a crescere l’intesse nella Città Metropolitana di Torino per il Controllo del Vicinato.
Un po’ di Salone del Libro anche in ospedale, per donare parole, emozioni e spunti di riflessione anche a chi, per motivi di salute, non può frequentare gli appuntamenti del Salone al Lingotto
L’assessore alla Sanità del Piemonte, Antonio Saitta, coordinatore degli assessori alla Sanità nella Conferenza delle Regioni
TUTTE LE TRAME DEI FILM NELLE SALE DI TORINO
Waterston e Naomi Rapace. Il film è ambientato dieci anni dopo le azioni raccontate in “Prometheus” e racconta della missione di colonizzazione del pianeta Origae-6 da parte dell’astronave Convenant: raggiungerà a seguito di un’esplosione un luogo mai esplorato. Troveranno la carcassa di una nave aliena che nasconde al proprio interno il pericolo di mostruose creature. Durata 122 minuti. (Centrale V.O., Massara, Ideal, Reposi, The Space, Uci)
Malkovic e Naomi Rapace. L’agente della CIA Alice Racine è stata relegata ad un lavoro di routine dopo che non è riuscita a sventare un attacco terroristico compiuto un paio di anni prima a Parigi. È durante l’interrogatorio di un terrorista che viene per caso a conoscenza di un nuovo attacco biologico che vedrà questa volta coinvolta la capitale inglese. Ha perso fiducia in se stessa, deve guardarsi da qualcuno che è pronto a eliminarla e soprattutto deve guardarsi dai colleghi che le stanno intorno per comprendere chi stia facendo il doppio gioco. Durata 98 minuti. (Ideal, Lux sala 2, Uci)
McConaughey, Edgar Ramirez e Bryce Dallas Howard. Ispirato a una storia vera, il film è la storia di un uomo, Kenny Wells, che nella giungla del Borneo in Indonesia stringe un patto con geologo, convinto costui di aver individuato una preziosa vena d’oro. Malaria e problemi con gli operai non lo distoglieranno dal suo sogno: ma dovrà ben presto accorgersi che non è certo tutto quell’oro a creare la sua nuova felicità. Durata 120 minuti. (Eliseo Rosso, Greenwich sala 3, Reposi, The Space, Uci)
Bana e Jude Law. Il regista che ha riletto il mito di Sherlock Holmes, nel suo personale e scanzonato modo di fare cinema, va diritto adesso al medioevo di Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda, dall’assassinio del padre, il buon re Uther, ad opera del cattivo fratello Vortirgern, alla crescita del ragazzo e del suo desiderio di vendetta, dagli insegnamenti dei maghi ai poteri della famosa spada Excalibur. Durata 126 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 1, Reposi, The Space, Uci anche in 3D e V.O.)
regista descrive la sua terra, dove tutto sembra essere violenza, dove si combatte e si tenta di sopravvivere: al centro lui, un poeta, che l’attraversa in una sorta di magica poesia a cavallo di un asino, e con lui la bellezza della Bellucci. Durata. 125 minuti. (Massimo sala 2 anche in V.O.)
Rooney Mara, Natalie Portman e Cate Blanchett. Nella cornice di Austin, la storia del discografico Fassbender, del compositore Gosling e della giovane Mara che scrive canzoni, un triangolo amoroso, il coinvolgimento della giovane cameriera Portman, il mondo musicale a far da cornice, Patti Smith e Iggy Pop compresi, i sentimenti, la religiosità, ancora uno studio sull’amore. Il tutto nello sguardo rarefatto del regista di “Tree of Life” e si “Knight of Cups”. Durata 145 minuti. ( F.lli Marx sala Harpo, Greenwich sala 1, ReposiThe Space, Uci)
Finocchiaro e Andrea Carpenzano. Tratto liberamente dal romanzo “Poco più di niente” di Cosimo Calamini, è la storia del giovane Alessandro, romano di Trastevere, che vive le proprie giornate tra il bar, lo spaccio e l’amante che è la madre di un suo amico. Sarà l’incontro con un “non più giovane” poeta dimenticato a fargli riassaporare socialmente e culturalmente il gusto per la vita, in un bel rapporto che si va a poco a poco costruendo, senza lasciarsi alle spalle tutta la rabbia e quella speranza che i due si portano inevitabilmente appresso. Durata 106 minuti. (Eliseo Grande, F.lli Marx sala Groucho, Reposi, Uci)
“Proteggere i migranti è un imperativo morale”. Accoglierli, proteggerli, promuoverne l’integrazione: rimbalzano tristemente a vuoto le parole pronunciate da Papa Francesco al recente Forum Internazionale su “Migrazione e pace”, di fronte agli scatti in bianco e nero di Paolo Pellegrin, raccolti in anteprima mondiale nella mostra “Frontieres”, ospitata al Forte di Bard
e paesaggi perduti per sempre! L’orrore delle traversate del Mediterraneo in balia delle onde e trafficanti di essere umani senza scrupoli, l’esperienza degli sbarchi dopo le operazioni di salvataggio di “Medici senza Frontiere” e la problematica permanenza nei Centri di accoglienza: su questi tre aspetti si sofferma il reportage esclusivo di Paolo Pellegrin realizzato nel 2015 e prodotto site specific per le sale espositive dell’“Opera Ferdinando”, il nuovo “Museo delle Fortificazioni e delle Frontiere” inaugurato lo scorso 30 aprile al primo livello della rocca fortificata di Bard. Fra i più importanti fotoreporter a livello mondiale, Pellegrin
(che oltre ad essere membro di Magnum Photos, lavora con le più affermate testate internazionali e può vantare, in un palmarés d’eccezione, ben dieci “World Press Photo” oltreché la Medaglia d’oro “Robert Capa”) documenta nei suoi scatti i fatti di cui è testimone con acuto taglio giornalistico, ma soprattutto vuole interpretare la tragicità del fenomeno migratorio – che non si
arresterà, secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, prima del 2050 – attraverso la sua esperienza di essere umano. “Quella che mi interessa di più – ricorda – è una fotografia non finita, dove chi guarda ha la possibilità di cominciare un proprio dialogo…Io presento la domanda che mi sono fatto davanti ai morti, alle guerre, alla sofferenza, poi lascio spazio ad ognuno perché si interroghi, perché si faccia un’idea”. E questa
ha da essere la giusta chiave di lettura della mostra al Forte, dove la maggior parte delle foto esposte racconta la situazione sull’isola greca di Lesbo, in cui, secondo i dati dell’ “Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati” (UNHCR), sono sbarcati più di 500mila degli 850mila migranti arrivati in Grecia nel corso del 2015. Senza possibilità di ritorno per molti. E con prospettive future assolutamente incerte. Emblematico, in questo caso, lo scatto dedicato al giovane Walid, 24enne fuggito da Raqqa in Siria, ritratto a Kos, con i pugni stretti ai fianchi ed incappucciato per non essere riconosciuto, evitando così ripercussioni sulla sua famiglia, rimasta a casa. Metterci di fronte a Walid e alla sua storia dovrebbe indurci a
riflettere, e non solo (quando va bene) ad elargire facili pietismi, sul senso di “responsabilità” cui ognuno di noi è chiamato a rispondere al cospetto del dolore e del bisogno altrui. “Incontrare l’altro – scrive giustamente Enzo Bianchi – non significa farsi un’immagine della sua situazione, ma assumersi una responsabilità senza attendersi reciprocità, fino all’ardua ma arricchente sfida di una relazione asimmetrica, disinteressata e gratuita. Solo così la vicenda dell’incontro con lo straniero si fa occasione di umanità per tutti”. E su questa linea, la mostra di Pellegrin potrebbe indurci non solo a considerazioni puramente tecnico-estetiche sulle opere esposte, ma anche all’assunzione di concetti mentali e decisioni esistenziali assolutamente imprevedibili. Forse impensabili.