Effettuare una mappatura dei servizi, pubblici e del privato sociale, che sul territorio regionale si occupano di offrire accoglienza, consulenza e tutela alle donne vittime di violenza di genere. È questa la finalità del progetto Piemonte in rete contro la violenza sulla donna, promosso dalla Consulta femminile regionale in collaborazione con l’associazione Tampep. I risultati della rilevazione sono stati presentati martedì 14 febbraio, a Palazzo Lascaris, durante una conferenza stampa moderata da Marilena Bauducco, vicepresidente della Consulta femminile regionale.
La ricerca ha messo in evidenza come, nonostante la sua dimensione, la rete a sostegno della donna vittima di abusi sia ancora piccola e poco conosciuta rispetto all’estensione della violenza. Su 64.362 donne fra i 16 e i 70 anni che, secondo l’Istat, hanno subito violenza in Piemonte nel 2014, solo 3.200 hanno fatto richiesta di aiuto a strutture o servizi specializzati. “La rete piemontese deve essere estesa e ottimizzata, specie nei piccoli centri, affinché le donne vittime di violenza possano permettersi di denunciare gli abusi e, oltre al volontariato, anche le istituzioni devono essere al fianco delle donne che compiono questo passo per dare adeguato supporto”, ha affermato la vicepresidente del Consiglio regionale Daniela Ruffino. “Le istituzioni devono creare una cultura di convivenza civile e auspichiamo che questo progetto sia ampiamente divulgato e possa portare a compimento le sue finalità in tutti gli ambiti del vivere sociale, compreso quello sportivo, dove ancora si verificano episodi di violenza di genere da contrastare”, ha aggiunto la consigliera segretaria Angela Motta.
“Fra le azioni da potenziare c’è sicuramente il coordinamento fra i centri antiviolenza e gli altri punti di contatto per fornire una rete di servizi capillare e un’assistenza competente, puntando anche sulla formazione dei volontari”, ha affermato l’assessora regionale alle Pari opportunità Monica Cerutti. “L’indagine ha messo anche in luce il tema dell’emergenza con la necessità di attivare posti di pronta accoglienza. Proseguiremo inoltre il lavoro comune avviato per mettere in rete le risposte alle problematiche emerse e stendere un piano triennale”.
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La dottoressa Piera Viale dell’associazione Tampep ha poi sintetizzato i principali risultati emersi dalla ricerca. Dei 47 centri rispondenti all’indagine i due terzi è rivolto a un target ampio di donne adulte, minori, straniere. L’85% dei rispondenti accoglie donne adulte che hanno subito maltrattamenti e violenze. Il 66% è in grado di accogliere anche donne che hanno a proprio carico minori, mentre il 30% è attrezzato per offrire supporto a ragazze minorenni. Il 43% rivolge la sua professionalità a specifici segmenti di domanda: anziani, disabili, coppie o uomini. Nel 2015 in Piemonte le donne seguite dalla rete dei 17 Centri antiviolenza sono state 1.650, di cui 1.091 italiane e 544 straniere (di 15 non è stata rilevata la nazionalità). La provincia di Torino è quella con il maggior numero di richieste: 1.381 di cui 931 italiane e 450 straniere. A seguire la provincia di Alessandria con 141 casi (77 italiane e 49 straniere), la provincia di Asti con 42 casi (27 italiane e 16 straniere), la provincia di Biella con 37 casi (26 italiane e 11 straniere), la provincia di Vercelli con 23 casi (13 italiane e 10 straniere), la provincia di Cuneo con 16 casi (9 italiane e 7 straniere) e il Vco con 10 casi (8 italiane e 2 straniere).
La quasi totalità dei soggetti coinvolti nella rilevazione gestisce sia il momento di accoglienza vis a vis (94%) sia la raccolta telefonica delle necessità (81%). A questo primo momento di accoglienza segue l’orientamento verso attività più specifiche come la consulenza legale (64%) e quella psicologica (49%). L’intervento specialistico può essere fornito sia da professionalità interne al centro, sia da altri soggetti specializzati coinvolti nella rete. Il 56% dei rispondenti ha inoltre la possibilità di garantire a donne a rischio l’accesso a una struttura abitativa protetta. Otto Centri antiviolenza su 10 hanno la possibilità di utilizzare, all’occorrenza, una casa protetta, mentre nell’ambito del privato sociale solo 4 associazioni su 10 riferiscono di essere in grado di offrire l’accoglienza in un luogo sicuro. “Fra le criticità emerge un ampio ricorso a reti volontaristiche che, pur essendo segnale di attenzione sociale, richiederebbero una valorizzazione più coordinata con le strategie di assetto e di sviluppo di una rete territoriale organica, che assicuri presidio, aggiornamento professionale e ricambio generazionale”, ha concluso Viale.
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Foto: il Torinese
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