È stato audito in aula a Palazzo Lascaris il Professor Costa dell’ASL TO3 in merito ai dati epidemiologici della città di Torino.
Gli studi esposti hanno analizzato quarant’anni di salute a Torino in relazione alle principali trasformazioni e alle politiche che le hanno accompagnate o contrastate. La riorganizzazione della sanità regionale dovrà infatti basarsi su una piattaforma di analisi dei bisogni e dei problemi necessaria per la futura programmazione.
A Torino esiste un sistema di indagine retrospettivo che guarda alla situazione di salute fin dagli anni ‘70. Esso mostra che la speranza di vita è salita senza interruzione per tutti i gruppi sociali, ma il titolo di studio è una chiave fondamentale: in cima alla scala ci sono infatti i laureati.
La posizione sociale della persona e il suo grado di controllo sul proprio destino influenzano fortemente la salute, perché incidono sulla dose di esposizione ai fattori di rischio psicosociali, ai fattori di rischio ambientale, ai fattori di rischio legati agli stili di vita pericolosi e alle barriere all’accesso alle cure migliori. Il paradosso è dunque che chi ne avrebbe più bisogno è meno capace di utilizzare le risorse di cui necessita.
Alla fine degli anni 2000 a Torino, a ogni kilometro percorso sulla linea 3 del tram dalla collina alle Vallette e Falchera si perde un anno di speranza di vita. Ciò significa che la città ha ereditato ancora delle differenze, di cui occorre indagare origini e soluzioni. Inoltre, i migranti sono più esposti perché meno in grado di cogliere i messaggi di prevenzione, che quindi vanno adeguati.
In generale, a ogni posizione della scala sociale corrisponde uno stato di salute. Ciò significa che le politiche selettive non bastano, ossia non serve concentrare gli interventi a favore di chi si trova sotto una data soglia. Servono invece politiche universalistiche proporzionate al bisogno. Occorre ad esempio intervenire sui contesti capacitanti e contrastare i singoli fattori di rischio tramite la sanità e le opportunità offerte da smart city, preoccuparsi dell’allocazione delle risorse e moderare le conseguenze sociali dell’esperienza di malattia.
“Appare chiaro che la sanità pubblica in questi anni di crisi abbia attutito il colpo della recessione. Tuttavia, tutto ciò che è sempre rimasto fuori dalla sanità e dai livelli essenziali di assistenza, e che quindi non è rilevato da questa ricerca, potrebbe presentare un aumento delle diseguaglianze:” – dichiara il Capogruppo di SEL Marco Grimaldi –“l’odontoiatria, per esempio, ma soprattutto le non autosufficienze legate all’invecchiamento della popolazione. Il sistema sanitario non si fa carico degli assegni di cura; quanto ciò influenza le nostre politiche? Quanto aggrava il divario fra chi ha più risorse e chi ne ha meno? Infine anche il servizio sanitario pubblico non è realmente accessibile a tutti: la popolazione migrante, che non può disporre del medico di base, è spesso tagliata fuori. Intervenire su quest’ultimo punto comporterebbe anche un risparmio per il sistema sanitario. E poi: è possibile incidere sulla qualità del vivere in città, migliorare gli stili di vita grazie a un’offensiva culturale più chiara del pubblico?”
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