AVVISTAMENTI / di EffeVi
C’è la diffusa tentazione di alzare irragionevolmente l’asticella per giudicare la performance del Sindaco Appendino: non si può pretendere che i problemi incancreniti in 23 anni ininterrotti di formula PD vengano risolti in due mesi. E i perdenti dovrebbero elaborare il lutto e rendersi utili, invece di rosicare dalle tribune
A differenza della Raggi, non ha firmato il patto leonino con la Casaleggio e associati; non ha subito il balletto di nomine, polemiche, rimozioni o spostamenti di personaggi ingombranti legati a gestioni precedenti (a Torino non c’è un Daniele Frongia): anzi, gli assessori sono tutti (nel bene e soprattutto nel male) quelli annunciati prima delle elezioni. Chiara Appendino, sta cercando obbiettivamente di barcamenarsi, traballando vistosamente su una barca piena di falle, con la quale rischia di affondare precocemente.
Ma i problemi che stanno venendo clamorosamente alla luce in questi giorni vengono da lontano, e non dipendono certo dalle qualità amministrative di un Sindaco sulla sedia, per essere precisi, da due mesi e mezzo.
La perdita del Salone del Libro, per esempio, riflette la caduta verticale del potere di trazione (economica, culturale) di Torino, nascosta da anni di retorica dell’eccellenza: pomposa, falsa, provinciale. E poi certo non ha aiutato la circostanza che la Fondazione abbia firmato un contratto capestro con un operatore privato, forse non senza l’intervento dei massimi vertici dell’Amministrazione (sono indagati i vertici della società e l’ex assessore alla cultura, in attesa – dicono gli spifferi – di sviluppi clamorosi). Il pasticciaccio delle aziende comunali, nei cui bilanci è stata occultata una fetta di debito del Comune, talmente grande da determinarne- se accertato – il fallimento tecnico, è stato creato e alimentato in decenni da amministratori nominati da Palazzo Civico e da cosiddetti “tecnici” sempre troppo compiacenti, con rarissime eccezioni. Gli scarsi investimenti produttivi da parte di privati e i livelli record di disoccupazione e disagio sociale sono il prodotto dell’incapacità ventennale di promuovere un progetto che non fosse il debole doping fondato sulla moltiplicazione disordinata di festival e rassegne, spesso cialtrone ed elitarie a un tempo, quasi sempre pagate dal contribuente più che da sponsor e biglietti. Persino l’invasione delle alghe del Po, pure affrontata dalla nuova amministrazione con leggerezza fondata sul velleitarismo ecologico, è improbabile che sia il castigo fulmineo di Dio su una Torino che ha osato voltare le spalle al PD, quanto forse la conseguenza di disattenzioni da parte delle Giunte degli ultimi anni (Regione e Comune), dell’Arpa, dell’Autorità di bacino. Ricordiamo peraltro che il PD subalpino non ha mai avuto un buon rapporto con il Dio Po, dai battelli che si incagliavano alle spiagge artificiali che finivano sommerse al primo temporale estivo.
Colpisce leggere sui giornali cittadini, per non dire sui social, l’alluvione di commenti non costruttivi, velenosi e talvolta francamente sciocchi, di ex assessori degradati a consiglieri comunali, di vecchie glorie del PD subalpino, di ex amministratori che, puntando il dito contro questi problemi come se fossero frutto di una maledizione della Appendino, in realtà si autodenunciano, nel migliore dei casi, per disattenzione. Non sarebbe ora di elaborare il lutto, di cogliere le opportunità di un azzeramento dell’antico regime per studiare una nuova proposta di governo, più fresca, più convincente, che non sia espressione pura di una macchina di potere? Se ne facciano una ragione: se i Torinesi avessero voluto votare un politico di razza con grande esperienza, come nel PD ne restano pochi, Fassino sarebbe stato perfetto.
Siamo onesti: sulla giunta Appendino non mancano le ombre: c’è un vicesindaco che ha apertamente dichiarato una crociata contro l’intero settore industriale delle costruzioni; la maggioranza è sostenuta da consiglieri amministrativamente acerbi e in molti casi piuttosto eclettici; gli assessori sono un’incognita o una scommessa azzardata. I nodi stanno venendo al pettine tutti insieme, e sarà inevitabile commettere errori, oscillando tra rotture ideologiche (come l’idea di rinunciare al tunnel di Corso Grosseto o denunciare la TAV) e continuità (come il mancato ricambio in molti ruoli chiave, o gli ammiccamenti a Chiamparino), anche per antiche fedeltà a un establishment che comprendeva il PD ma non si esauriva in esso: certi ambienti associativi, imprenditoriali, circoli famigliari e amicali.
Ma vogliamo lasciare al Sindaco almeno uno-due anni di lavoro in proprio, vogliamo concederle la possibilità di scegliere, assumendosene la responsabilità, segno e direzione della sua gestione, prima di maturare un giudizio? Un sindaco non è un Messia.
(foto: il Torinese)
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