Sono i luoghi e tempi che, nell’esperienza diretta di Bianchi, attraversano gli anni, segnano il ritmo delle gioie e degli incontri per diventare – riassunti nell’insieme – una vita intera. Scusate se è poco
Ci sono quattro grandi “stagioni” della vita” e il priore della Comunità monastica di Bose, Enzo bianchi, nel suo “Ogni cosa alla sua stagione “ le ha riassunte in altrettanti capitoli del suo libro: i giorni degli aromi e quelli del focolare, i giorni del presepe e quelli della memoria. Un libro agile ma denso, per lo stile con il quale è stato scritto e per la profondità degli argomenti. «Ogni cosa alla sua stagione», dice un vecchio proverbio, e qui le stagioni raccontate sono quelle dell’uomo. Sono i luoghi e tempi che, nell’esperienza diretta di Bianchi, attraversano gli anni, segnano il ritmo delle gioie e degli incontri per diventare – riassunti nell’insieme – una vita intera. Scusate se è poco. Un uomo che ha scelto la vita monastica guarda il mondo dalla sua cella, un luogo dove s’abitua ad “abitare con se stesso” (“abitare secum”) , dal quale la riflessione spazia, oltrepassa i muri e viaggia con la memoria. “Ora che avverto quotidianamente l’incedere della vecchiaia – scrive Bianchi – la memoria mi riporta sovente ai luoghi in cui ho vissuto o dove sono passato nei miei numerosi viaggi e che hanno suscitato affetti e sentimenti diversi: il Bric’d Zavèri, quella collina del mio paese in Monferrato dove nella bella stagione salivo quasi ogni giorno per trovare solitudine e pace, oppure via Po a Torino, con i suoi caffè dove trascorrevo qualche pausa dopo il pranzo o la cena nei miei anni universitari, o ancora l’impareggiabile luce del Mediterraneo contemplata a Santorini. Ma se c’è un luogo cui ancora oggi ricorro per trovare rifugio e possibilità di quiete per pensare a me stesso e alla comunione con gli altri, questo è la mia cella”. Ed ecco i racconti dei falò nelle notti di vigilia del 24 giugno ( San Giovanni) o di ferragosto (l’Assunta), la lode al vino come gratuità, gioia, piacere anche se “richiede misura, esige responsabilità, il raccogliersi attorno alla tavola dove il cibo è un dono. L’autunno, con la vendemmia, la torchiatura e l’odore del mosto che sconfina nella stagione dei morti, nei lunghi inverni e nella notte dell’attesa. E l’epifania che “tutte le feste porta via” ma che accende anche la speranza e ne fa una festa larga, generosa. Scrive Bianchi: “Non ci sorprende,allora, se perfino i fautori della laicissima rivoluzione francese ripresero le tradizionali galettes des Rois che addolcivano l’Epifania e disposero – con decreto del 4 Nevoso dell’anno III (il 24 dicembre 1792) – che i cittadini condividessero le galettes de l’égalité , semplici biscotti capaci di far assaporare il gusto dell’umanità che ci accomuna allo straniero, che ci fa sentire tutti uguali:quel sapore di cui resta impregnata la festa dell’Epifania”. La madre (“debole di cuore”) persa quand’era ancora bambino , Cotto ed Etta le “maestre” e poi Pinèn, il padre Giuseppe, socialista e burbero, polemico, ma generoso come sanno esserlo le persone che conoscono la fame. Bianchi ricorda come amasse ripetere, con rispetto e mai con cinismo “a ciascuno il suo mestiere. Quello che devi fare, fallo bene. Poco importa quello che uno fa:l’essenziale è che, se ne è convinto,lo faccia bene. Questo è il suo dovere!”. “Ogni cosa alla sua stagione” è una lettura controcorrente, un caldo invito a ricercare un’esistenza densa e preziosa , in un mondo assordante come quello in cui viviamo oggi, in cui il silenzio costituisce una creatura in via d’estinzione. Tutti dicono di volere il silenzio anche se poi, una volta faticosamente raggiunto, questo incute paura, desta angoscia come se fosse vuoto, assenza. Enzo Bianchi lo propone come la quiete delle ore del ricordo e della meditazione, dove il suo tempo presente ( quello della vecchiaia ) insegna a gustare ogni giorno. E, in fondo, a gustare la vita.
Marco Travaglini
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