Gli eccessi e l’arte di Modigliani nel testo di Angelo Longoni

Sino a domenica per la stagione di Torino Spettacoli. Il quadro interessante e curioso, scritto egregiamente tra ricerche e aneddotica, quasi un testimone, di quanto era bella e palpitante la Parigi dell’inizio del secolo scorso, bellezza intesa come crocevia dell’arte, dei tanti artisti che vissero e lavorarono
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Non è soltanto il ritratto di un artista quello che Angelo Longoni tratteggia nel suo Modigliani (in scena sino a domenica all’Alfieri per la stagione di Torino Spettacoli) ma pure il quadro interessante e curioso, scritto egregiamente tra ricerche e aneddotica, quasi un testimone, di quanto era bella e palpitante la Parigi dell’inizio del secolo scorso, bellezza intesa come crocevia dell’arte, dei tanti artisti che vissero e lavorarono (Picasso, Soutine, Brancusi, Diego Rivera, Utrillo tra i tanti), delle correnti artistiche che vi si andavano formando, delle muse e degli eccessi, dell’ars amatoria più che tangibile, del tanto assenzio che correva attraverso i tavolini della Rotonde e dell’hashish; e non è soltanto la visione dell’arte a stento compresa di un artista maledetto – Modì o maudit, in un perfetto gioco di parole – ma la scoperta delle tante sue opere, dei visi femminili dal lungo collo, della tubercolosi che lo porterà alla tomba trentaseienne, dei mercanti d’arte che lo scoprono e l’apprezzano, della grande mostra chiusa per offesa al pudore due ore dopo l’inaugurazione, delle passioni e degli amori. Il tutto visto con gli occhi di quattro donne che gli furono accanto, complici nelle avventure o sentinelle nel cercare di mettere un freno all’alcol e alle droghe, a correggerlo e a sostenerlo: da Kiki di Montparnasse, modella e prostituta che accoglie Amedeo all’indomani del suo arrivo da Livorno, facendogli conoscere gli artisti e la vita disinibita della città, a Anna Achmatova, poetessa legatissima alla propria terra e ad un marito, una passione intellettuale e non solo che lo mette davanti alle proprie scelte; da Beatrice Hastings, bella e colta, progressista, una relazione fatta di litigi e rappacificazioni, di ardore e incoraggiamenti, una donna che lo spinge a scegliere definitivamente la strada della pittura a scapito della scultura, altresì pericolosa per la sua salute, a Jeanne Hébuterne, ventenne, che ha voglia di cambiare la follia del suo uomo, che rompe con una famiglia osservante che mai potrebbe accettare un squattrinato ebreo in casa propria, che il giorno successivo il decesso di Amedeo, incinta, disperata, si butta dal quinto piano della casa dei genitori dove qualcuno l’ha a forza accompagnata.Longoni sa illustrare un’esistenza con un gran bel tessuto di scrittura, la movimenta anche attraverso l’uso di una quarta parete che fa da schermo ai contributi video ideati con l’apporto di Gianluca Amodio, porta avanti la vicenda non solo per grumi ben circoscritti ma sa muoverla con efficacia attraverso scene d’insieme che ancor meglio focalizzano i personaggi, le idee, i modi estremamente diversi di essere e di pensare.

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Forse il lungo intrattenimento televisivo fa sì che la figura gigantesca di Modì non riesca a concretizzarsi appieno nella voce, nei tratti, nei movimenti di Marco Bocci, che scivoli a tratti insicura: ma le piccole falle sono immediatamente tappate dalla grossa simpatia che il pubblico teatrale gli dimostra. In più se la deve vedere con le quattro colleghe vincenti che con diversi mezzi tirano fuori le unghie, Romina Mondello, Claudia Potenza, Giulia Carpaneto e Vera Dragone, eccellente poetessa. Un’occasione per ascoltare un testo bello (già avevamo detto un gran bene di L’amore migliora la vita, visto a gennaio all’Erba): se poi volessimo considerare il termometro del successo dalle urla femminili, dovremmo parlare di successone.

 

Elio Rabbione

 
 Foto Marina Alessi

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