Come finanziare il Ponte sullo Stretto di Messina senza pesare sulla spesa pubblica e, in particolare, senza tagli in altri settori? Una possibile risposta viene dalla finanza islamica, dai Sukuk, simili, in sostanza, alle obbligazioni tradizionali garantite da attività, con la differenza che, invece di basarsi su un tasso di interesse, il ricavo per gli investitori deriva dall’affitto o vendita di attività tangibili, in primis beni immobili
Di Paolo Pietro Biancone*
Come finanziare il Ponte sullo Stretto di Messina senza pesare sulla spesa pubblica e, in particolare, senza tagli in altri settori? Una possibile risposta viene dalla finanza islamica, dai Sukuk, simili, in sostanza, alle obbligazioni tradizionali garantite da attività, con la differenza che, invece di basarsi su un tasso di interesse, il ricavo per gli investitori deriva dall’affitto o vendita di attività tangibili, in primis beni immobili. L’utilizzo della finanza di progetto islamica è la soluzione per riempire il divario tra domanda di infrastrutture e disponibile finanza. Lo dimostrano le best practice internazionali: la competitività dei sukuk sui mercati finanziari internazionali è stata provato già nel 2004 dall’emissione sul listino della Borsa di Lussemburgo di ijara-sukuk, per un controvalore complessivo di 100 milioni dollari, da parte del Lander tedesco Sassonia-Anhalt. L’attivo sottostante all’operazione (quello che, in sostanza, consentiva una “materializzazione” del titolo) era costituito da edifici di proprietà del Ministero delle Finanze tedesco, ceduti in gestione ad una società veicolo per cento anni in cambio del pagamento di un prezzo pari al valore dell’emissione. A sua volta la società veicolo ha, poi ceduto gli immobili in leasing al ministero per cinque anni, garantendo un flusso di denaro in grado di ripagare il rendimento dei titoli. L’emissione appena descritta, la nascita della Islamic Bank of Britain e altre iniziative del genere dimostrano comunque come, ormai, la finanza islamica stia diventando una realtà concreta, ben radicata anche nel sistema finanziario occidentale. Insomma un sistema in veloce evoluzione su cui l’Italia rischia di restare indietro. In Gran Bretagna, per esempio, già a più di venti istituti sono state concesse le islamic windows (in pratica uffici e sportelli ad hoc), con possibilità di creare conti correnti speciali che utilizzano la compartecipazione agli utili al posto della garanzia sul valore nominale del deposito attraverso i tassi di interesse.
I numeri parlano chiaro: fino a oggi i sukuk hanno movimentato 632 miliardi di dollari, finora le istituzioni che hanno utilizzato lo strumento sono 19, tra cui Hong Kong, Lussemburgo, Senegal, Sudafrica e Regno Unito Lo sviluppo della finanza islamica è anche condizionato dalla predisposizione di un quadro normativo favorevole, sia in termini fiscali che regolamentari (come il recepimento dei prodotti islamici nella definizione e regolamentazione dell’attività bancaria). Per tali motivi la Gran Bretagna, seguendo il principio “no obstacles, no special favors”, ha emendato il proprio sistema fiscale (ad esempio eliminando nel 2003 la doppia imposta di registro sui finanziamenti immobiliari) e ha stabilito standard specifici di coperture del capitale e di gestione del rischio per creare un ambiente favorevole all’introduzione della finanza islamica.
In Italia, l’introduzione della finanza islamica è agli esordi: gli strumenti di finanza islamica interessano, ma ci sono ancora ostacoli da superare. Il primo ostacolo è rappresentato dalle stesse banche: n tutte le banche europee, per esempio, applicano tassi di interesse sui prestiti concessi. Quelle islamiche invece, non prevedono alcuna forma di commissione su prestiti e mutui, né tanto meno sui sukuk. Altra questione, non meno importante, la condivisione dei rischi e dei profitti. Nel mondo islamico il consiglio di amministrazione di un istituto condivide i rischi e profitti con la clientela, che può nel secondo caso partecipare attivamente agli utili di una banca. Ancora, la finanza islamica non prevede il cosiddetto deposito a garanzia, con cui le banche italiane garantiscono per esempio i depositanti fino a 100.000 euro in caso di dissesto bancario.
Ma gli studi accademici, rivelano che gli ostacoli sono superabili: il Centro Studi sulla Finanza Islamica dell’Università di Toino (www.ercif.org) ha condotto uno studio scientifico, pubblicato sull’European Journal of Islamic Finance, che ha indagato sull’opportunità di usare i sukuk per finanziare le infrastrutture e se lo strumento è compatibile con le leggi italiane. Il risultato è favorevole: lo studio conclude che l’uso di finanza islamica può essere utilizzato per progetti infrastrutturali finanza utilizzando le leggi e i regolamenti vigenti in Italia. Lo studio dimostra scientificamente che la maggior parte dei Paesi europei, Italia compresa, non hanno leggi che sono in contrasto con la finanza islamica e conclude che la finanza islamica potrebbe essere utilizzata per finanziare progetti di infrastrutture utilizzando le leggi e i regolamenti esistenti.
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* professore ordinario di finanza islamica, direttore del Centro Studi sulla Finanza Islamica (www.ercif.org) e coordinatore del corso di dottorato in Business e Management dell’Università di Torino