Torino vista dal mare

Come nuovo!

TORINO VISTA DAL MARE /10

Camminare per conoscere. Un’immagine semplice ma efficace che descrive al meglio uno dei migliori modi per scoprire una nuova città. Abituarsi a nuovi paesaggi, differenti abitudini di quartiere, spesso è difficile, ma passeggiando tra le vie e le piazze più battute, per poi allontanarsi e perdersi in quelle meno trafficate permette di appropriarsene, cogliendo scenari, scorci e dettagli che spesso si perdono nella frenesia del quotidiano. Torino – io che vengo dal mare – provo a scoprirla così, raccontandola per impadronirmene allo stesso tempo.

Ogni qual volta un nuovo calendario viene affisso alla parete siamo  sempre alla ricerca di cambiamenti, pare sempre giusto iniziare il nuovo anno con qualcosa che sappia di novità, ma siamo certi che il nuovo debba per forza coincidere con qualcosa che spunta dal nulla dal presente? Può essere, invece, che il passato muova i suoi elementi in avanti, trasmutandone le caratteristiche, deformandole in maniera nuova, ma non irriconoscibile. Il filosofo, e torinese, Gianni Vattimo per descrivere questa dolce traslitterazione dei termini in giocoutilizza il termine Verwindung.

Nella mia vita mi occupo d’arte, campo d’elezione prediletto per la rielaborazione di quell’elemento chiamato Aesthasis, l’Estetica, ovvero la sensibilità individuale, che le opere d’arte dovrebbero riforgiare e in qualche modo “evolvere”, come era nei progetti di quell’arte spirituale agognata dall’artista Kandinsky.

Ma questa sensibilità è coltivabile in molteplici modi, anche con opere non chiuse in quattro mura, ma esposte al cielo aperto, dove il percorso stesso per arrivarvici diviene un momento di rigenerazione estetica spirituale.

Questo lungo preambolo perché? Per cercare di riprendere questo concetto di Verwindung, di movimento progressivo distorcente,dove il passato diventa un Passato-Nuovo, provando a trasformaloin un augurio per l’anno appena iniziato. É per questo che voglioricollegarmi proprio con il primo articolo qui scritto, quello che ha dato inizio alla mia avventura su questo giornale, ma in qualche modo anche in questa città, quella prima passeggiata versoSuperga.

Lo faccio però in modo tutto nuovo e diverso, annotandovi qui gli effetti che essa ha avuto su di un torinese che Superga la vive da anni, ma che ha trovato ispirazione da quell’articolo per rielaborare la sua personale “Estetica di Superga”.

“Io sono un Torinese. Ed un ciclista; da corsa. Superga è il luogo della certezza donata dalla sua monumentalità e dalla sua posizione monumentale, tant’è che quando entro in una casa nuova mi accerto che la Basilica si possa vedere almeno da un balcone, così mi sento più sicuro.

Qual è la certezza che Superga dona a un ciclista come me? Gioia e piacere? Certo che no! Fatica e dolore, digrignamento di denti e sudore. L’ho scalata decine di volte, ma non l’ho mai trovata scontata, perché le sue pendenze non vanno mai in saldo. Il perché di questo masochismo sarà forse dovuto a quell’esperienza adolescenziale, la prima scalata, strada ignota e ruota storta, che tocca il freno, come a dire che la scalata in paradiso deve contenere un’agonia infernale, e la testa china, sempre china a guardare il profilo della ruota che avanza, centimetro dopo centimetro, su per l’asfalto; e poi ad un certo punto alzo la testa e mi ritrovo la Basilica davanti, enorme, e l’adrenalina si mischia alla serotonina, così come la mia sensibilità si macchia d’improvviso di eccitazione ed estasi, dando ragione all’idea romantica di contemplazione dell’infinito. D’allora salgo per rivivere quel momento di fondamentale sverginamento estetico, per soffrire e godere su asfalti in pelliccia di venere.

Ma di quella strada per il paradiso, io non so niente! Testa china. Testa giu. Ruota, asfalto e respiro, non so altro di quella strada, questa è l’abitudine.

Poi ho letto l’articolo sulla camminata a Superga, da Sassi, e allora qualcosa in me si è mosso, e mi ha imposto di salire là ancora, ma … a piedi.

Mai immaginato che lo avrei fatto. Ma l’ho fatto. E quindi mi emozionai. Sensazioni vecchie in salsa nuova hanno condito la scesa a una strada vecchia ma sconosciuta, un’ora e mezza sono ben più di venti minuti e permettono di sviscerare in maniera alquanto indiscreta le vedute e le abitazioni, paesaggi mai visti, e poi il percorso della dentiera, di cui non ho mai capito i movimenti, mi è sempre parso che il trenino comparisse e scomparisse a suo piacimento. E i profumi dell’autunno, molto piùnitidi, non più mascherati dalle lacrime del sudore, hanno rivelato sensazioni oppiacee alla mia mente in contemplazione, incrinata da questa esperienza para-normale, come vedere una persona vera al posto di una sua fotografia.”

Aldilà di queste sensazioni personali, poesia di parole gettate di impulso, righe che mi sono state consegnate, ma che magari possono essere comprese appieno solo da chi le ha vissute, ho scelto di raccontarle per provare a porre l’accento su quello scambio che c’è stato; un fortuito incontro con un articolo di giornale scritto da una “straniera” in una nuova città è riuscito a generare una nuova esperienza senza il quale magari non sarebbe mai stata vissuta. Un pezzo di vita vissuta che ha ispirato un’altra. A volte la propria città si scopre anche attraverso gli occhi o, come in questo caso, le parole di qualcun altro.

Questo il mio augurio per il nuovo anno e gli anni a venire, provare a capire che qualcosa di nuovo possiamo provare a rintracciarlo e costruircelo da sé anche sulla base di qualcosa che già è stato vissuto. E il 2021 mi sembra abbia il sapore adatto per farlo!

Annachiara De Maio

Sacra di Natale

TORINO VISTA DAL MARE /9  Camminare per conoscere. Un’immagine semplice ma efficace che descrive al meglio uno dei migliori modi per scoprire una nuova città. Abituarsi a nuovi paesaggi, differenti abitudini di quartiere, spesso è difficile, ma passeggiando tra le vie e le piazze più battute, per poi allontanarsi e perdersi in quelle meno trafficate permette di appropriarsene, cogliendo scenari, scorci e dettagli che spesso si perdono nella frenesia del quotidiano. Torino – io che vengo dal mare – provo a scoprirla così, raccontandola per impadronirmene allo stesso tempo.

Il 2020, lo abbiamo già detto e sentito dire tante volte, è stato un anno complesso, dove di consueto c’è stato ben poco. Da consuetudine però i tradizionali menù di Natale si sono presentati lo stesso nelle nostre case, bandendo tavolate un po’ più ristrette, ma allo stesso modo ricche e piacevoli. Eccezione per me dove il tradizionale menù delle feste si è trasformato in saporita novità, spaghetti con le vongole e frittura di paranza sono stati sostituiti da agnolotti al plin e bollito misto; struffoli e zeppole hanno lasciato il posto a fette di panettone, paste di melighe, cioccolata e gianduja di ogni specie.

Ma non son qui a parlar di cibo, anche se argomento decisamente gradito; sappiamo perfettamente che il Natale, qualsiasi sia o non sia il proprio credo, è in realtà una festività religiosa, un rito, un tentativo che ogni anno prova ad unire lo spirituale con il terreno.  Con questo spirito sono stata felicemente sorpresa di diventare spettatrice e uditrice di uno speciale concerto di Natale, qualcosa che forse in tempi di non Covid sarebbe stato logisticamente più complicato assistere per chi come me non è pratico ancora di nuove zone.

Questo 23 dicembre appena trascorso, infatti, è stato trasmetto, in streaming, il concerto di Natale realizzato dalla Borgatta’s Factory’s, un collettivo artistico a conduzione familiare, a sostegno della Sacra di San Michele. Perché a sostegno? Perché in questo anno di lockdown, di blocchi al pubblico, anche questa millenaria Abbazia si è vista a rischio di chiusura.
Lo spettacolo-concerto “Natale in musica per la Sacra di San Michele”, patrocinato dalla Regione Piemonte e dalla città metropolitana di Torino, è pensato per raccontare la storia di quello che per i torinesi e per il Piemonte tutto è simbolo ed espressione della propria cultura e passato, rendendo virale allo stesso tempo la raccolta fondi a suo sostegno.
Scoprire, anche se da casa, la potenza di quelle mura arroccate è stata una forte esperienza.

Un edificio la cui datazione è incerta, risalente tra il 996 e il 1003, costruito sul monte Pirchiriano, nel comune di Sant’Ambrogio in Val di Susa, a circa 40 km da Torino. Un’atmosfera magica, impreziosita dal luminoso bianco della neve di dicembre, circonda l’aura di questo sito storico legato a leggende e religiosità e non solo come fonte di ispirazione per Umberto Eco e il suo “Nome della Rosa”

I 32 musicisti che hanno aderito al progetto insieme ai suoi ideatori e curatori Silvano Borgatta, compositore e pianista di eccellenza, con i due suoi figli Luca e Alberto, hanno reso possibile un suggestivo tour, un percorso di musiche e parole, un documentario sì, ma dai toni teatrali che ci porta alla scoperta di un lontano passato, della cultura di questi luoghi.
C’è la voce narrante, Alberto Borgatta, che con piacevolezza e professionalità ci conduce passo passo, ci sono le canzoni che raccontano altrettante storie e ci sono testimonianze importanti di sostegno al progetto; oltre che l’indispensabile contributo di Don Claudio Papa, Rettore dell’Abbazia e la partecipazione di istituzioni e sindaci di tutti i comuni della Val di Susa.
Un importante momento di unione e creatività che si unisce al messaggio disperanza che #laculturanonsiferma ma che anzi è pronta a ripartire e avanzare.

 

“L’importanza della Sacra di San Michele si deve anche al fatto che per mille anni è stata testimone e sentinella dei fatti della storia avvenuti in questa fetta di mondo. Della macro storia, dei papi, dei sovrani e degli eserciti, ma anche della microstoria. Quella che finisce poi per essere raccontata, non tanto su i banchi delle università quanto piuttosto in un’altra istituzione piemontese che è la piola, l’osteria” dalle parole della voce narrante. Potrete trovare ancora visibile lo streaming completo del concerto sui canali youtube di AB Fabbrica Creativa e Borgatta’s Factory.

Annachiara De Maio

Giochi di strada

Torino vista dal mare /8        Camminare per conoscere. Un’immagine semplice ma efficace che descrive al meglio uno dei migliori modi per scoprire una nuova città. Abituarsi a nuovi paesaggi, differenti abitudini di quartiere, spesso è difficile, ma passeggiando tra le vie e le piazze più battute, per poi allontanarsi e perdersi in quelle meno trafficate permette di appropriarsene, cogliendo scenari, scorci e dettagli che spesso si perdono nella frenesia del quotidiano. Torino – io che vengo dal mare – provo a scoprirla così, raccontandola per impadronirmene allo stesso tempo.

Dopo qualche mese che si vive in una nuova città, camminando in quelli che ormai diventano i soliti luoghi, si entra in intima confidenza con i nomi di strade, piazze, parchi; il contesto è sempre più familiare, il che ti permette quasi di muoverti con spregiudicata sicurezza. C’è da dire che siamo in epoca di pandemia e troppa audacia negli spostamenti adesso non è concessa, per giunta molte attività restano chiuse e il nostro tempo libero ne risulta completamente stravolto, quello che l’anno scorso era del tutto normale oggi ci sembra lontano. In tempo di limitazioni la creatività è d’obbligo nel tentativo di soddisfare i momenti di svago, a cui contribuisce anche una rinata curiosità.

Non è un caso che abbia parlato di nomi di vie o piazze, perché se è vero che ogni città è fatta di strade e ognuna di queste porti un nome è anche vero che l’origine di questi nomi è diversa da città e città e raccontano storie differenti. Si può quasi arrivare ad affermare che per conoscere una città e la sua storia si debba passare anche per la sua toponomastica, quel complesso studio scientifico dei nomi di un luogo, considerati nella loro tipo di derivazione, composizione, origine.
Tutto decisamente molto vero, dal canto mio però anziché addentrarmi nell’articolato reticolo di un lungo passato, quello che mi sono chiesta non è tanto come mai una via abbia un nome anziché un altro, mi sono invece concentrata sulle personalità, su cosa hanno fatto questi personaggi, curiosa di conoscere chi attraverso il loro nome è ora mio vicino di casa. Un semplice gioco, ma simpatico nei suoi risvolti.

Il vicinato è illustre, fatto di Santi Martiri, come San Maurizio e Sant’Ottavio, quest’ultimo ritenuto uno dei primi martiri di Torino, poeti, musici e letterati, Niccolò Macchiavelli o Gioacchino Rossini, duchi di Savoia, ma la maggior parte delle viuzze più piccole dedicate a varie località mi porta a visitare il Piemonte settentrionale. Un tour tra storia locale e territorio insomma, fin qui tutto regolare. Le cose iniziano a cambiare quando perdendomi tra questi nomi e strade di Torino finisco anche per ritrovarmi tra la storia e le storie di Napoli. I primi indizi emergono quando per raggiungere il parco più vicino mi scontro con via Benevento, qualcosa qui mi dice che le strade iniziano ad incrociarsi. Il parco Colletta, quello da raggiungere, è decisamente una vasta area verde in piena città, un’ottima boccata di ossigeno. Ha una storia lunga alle spalle risalente al XVII secolo quando i Savoia progettarono un grande parco di caccia vicino alla città, tra la confluenza della Dora e della Stura con il fiume Po, ottenendo così la denominazione di Regio Parco, ma con l’assedio di Torino del 1706 il parco venne distrutto. Oggi questo ultimo come lo vediamo adesso è stato recuperato negli anni ’80 ed è dedicato a Pietro Colletta, storico e generale napoletano, la sua opera più importante? Storia del reame di Napoli dal 1734 al 1825, adesso si comincia a sentire una maggiore familiarità.

Coincidenze direte voi, una simpatica casualità di sicuro, ma quando dal parco decido di spostarmi verso il centro mi trovo ad attraversare quella grande strada che spesso sento chiamare dai torinesi semplicemente come Corso Regina, la domanda sorge spontanea, ma quale regina? Parliamo della Regina Margherita ovviamente, prima regina consorte di Italia. La sua figura storica è di certo quella di donna culturalmente acuta, una personalità carismatica, ma naturalmente la mia mente non riesce ad ignorare la leggendaria storia che la vede protagonista e che la lega all’origine della pizza Margherita, grazie al cuoco Raffaele Esposito che durante il soggiorno napoletano dei sovrani nel 1889 volle omaggiare la regina attribuendo il suo nome all’iconica pietanza.
In realtà i legami tra Napoli e la Regina non si esauriscono qui dal momento che soggiornò a lungo presso la reggia di Capodimonte, e molti sono gli aneddoti, a dire il vero spesso culinari, e come darle torto. Sembra infatti che dobbiamo ringraziare ancora lei e il suo fidato cuoco Raffaele Esposito anche per le chiacchiere, o bugie come qui conosciute, dolce carnevalesco semplice, ma gustoso.

Le contaminazioni tra le strade son tante e il gioco potrebbe sicuramente continuare, ma forse adesso è solo la mancanza di quell’altra e famosa margherita a guidarmi!

Annachiara De Maio

“Realismo magico” torinese

Torino vista dal mare /7  Camminare per conoscere. Un’immagine semplice ma efficace che descrive al meglio uno dei migliori modi per scoprire una nuova città. Abituarsi a nuovi paesaggi, differenti abitudini di quartiere, spesso è difficile, ma passeggiando tra le vie e le piazze più battute, per poi allontanarsi e perdersi in quelle meno trafficate permette di appropriarsene, cogliendo scenari, scorci e dettagli che spesso si perdono nella frenesia del quotidiano. Torino – io che vengo dal mare – provo a scoprirla così, raccontandola per impadronirmene allo stesso tempo.

«Dopo la guerra sono venuto a Torino perché mi sembrava la città più adatta allo sviluppo della mia arte. Questa città quadrata, ordinata, mi sembrava che era proprio il posto dove io dovessi vivere ed ho per fortuna trovato una casa, ed è sempre stata quella sin da allora, che io amo moltissimo, silenziosa, è a piano terreno, piccolo giardino, un cortile, dove io sto con i miei cani, […] ed io vivo tranquillo, non sento automobili, non sento i tram, non sento nulla […] e la pittura proprio mia, veramente mia, è incominciata allora con il quadro L’Attesa, il Tiro a segno, La donna e l’armatura, Silvana Cenni, la mia vera pittura è cominciata allora, forse quella pausa lunga (della guerra) mi ha giovato in un certo senso, mi ha fatto fermentare germi che erano ancora in me e che non potevano avere sviluppo altro che, forse, in mezzo a questi dolori, la morte di mio padre […]»

La casa di cui parla Felice Casorati è la sua casa studio nel cuore di Torino, in via Mazzini 52, abitazione che lo ospitò fin al suo ultimo giorno torinese. Un angolo silenzioso, fuori dal tempo, con la facciata della palazzina interna del cortile di stile neoclassicoche circonda il piano terra dove lì troviamo casa Casorati. Ho scoperto casualmente quella casa in cui il pittore aveva risieduto, e come spesso accade quando ci si ritrova a camminare tra le strade e i luoghi che furono abituali di uomini del passato, le suggestioni visive che esse donano possono farti scoprire nostalgica di epoche mai vissute

Il nostro artista nasce a Novara sul finire del ‘800, 1883, ma la carriera militare del padre lo costringe a numerosi trasferimenti;compie quindi i suoi studi accademici a Padova, ma sviluppa il suo linguaggio pittorico tra le variegate suggestioni di molteplicicittà. Un linguaggio fatto di simbolismo, decorazioni art nouveau, di chiara ascendenza klimtiana, espressione di uno spirito giovane e sperimentatore.

È però a Torino che Casorati trova la sua città perfetta, scelta per stabilirvisi con la famiglia dopo la morte del padre avvenuta nel 1917.

Allo stesso modo di come accadde per Friedrich Nietzsche, anche Felice Casorati trovò qui il suo porto sicuro, dal quale però non volle mai salpare.

In questa città, da lui definita come ordinata, quadrata, nell’essere austera e misteriosa allo stesso tempo, trovò le condizioni ideali per la sua pittura, trasformandola e maturandola in quella pittura che nel tempo lo ha identificato.

A Torino assunse subito un ruolo di spicco nella vita culturale della città, diventando attivo frequentatore di Pietro Gobetti e fondando la società artistica Fontanesi, ha quindi vissuto e assaporato appieno la vita cittadina e come d’obbligo per molti artisti le ha dedicato varie opere.

Frugando tra i lavori dell’artista ho scovato alcune opere di Casorati, realizzate in momenti e per motivi diversi nel corso della sua attività, che raccontano perfettamente la sua Torino, la sua maniera di leggerne i particolari attraverso un linguaggio semplice ed essenziale.

I luoghi da lui descritti sono sempre iscritti all’interno di spazi prospettici sapientemente costruiti, le atmosfere sono tranquille, a volte enigmatiche, i colori usati sono tenui, a tratti non sempre realistici ma che restituiscono con sapienza il valore delle forme.

Tutto è sospeso in una atemporalità di chiaro influsso metafisico, c’è il senso dell’attesa, c’è suggestione, c’è la luce che indaga, c’è poesia, elementi che contribuiranno a delineare il “realismo magico” di cui si farà promotore insieme agli altri artisti di Novecento.

Anche con il passare degli anni, raccontando lo sviluppo industriale di Torino, grazie a un dipinto pubblicitario che la Fiat gli commissionò, riuscì sempre a mantenere quel ricercato equilibrio tra finzione e realtà.

L’arte di Felice Casorati è quindi declinazione perfetta di una relazione duratura, composta e senza tempo con la città di Torino.

Annachiara De Maio

Luci della città

Torino vista dal mare 6/ Camminare per conoscere. Un’immagine semplice ma efficace che descrive al meglio uno dei migliori modi per scoprire una nuova città. Abituarsi a nuovi paesaggi, differenti abitudini di quartiere, spesso è difficile, ma passeggiando tra le vie e le piazze più battute, per poi allontanarsi e perdersi in quelle meno trafficate permette di appropriarsene, cogliendo scenari, scorci e dettagli che spesso si perdono nella frenesia del quotidiano. Torino – io che vengo dal mare – provo a scoprirla così, raccontandola per impadronirmene allo stesso tempo.

Oggi 8 dicembre come da tradizione diamo avvio alle festività natalizie. Il 2020 è alle sue battute d’arresto e per quanto quest’anno dall’inizio alla fine non abbia mai smesso di sorprenderci e molti non aspettano altro che finisca per esorcizzarne le influenze negative, inevitabilmente il Natale arriva.
A dispetto delle limitazioni che ci pare di vivere, facciamo parte di quella fortunata fetta del mondo che, alla fine, una fetta di panettone a Natale la mangerà, senza dover neanche contenderla con commensali più ingordi di noi.

Nel mio immaginario l’atmosfera natalizia è strettamente legata alla tradizione, fatta di artigianato presepiale, vicoli stretti, affollati e roboanti, la cui espressione caratteristica è San Gregorio Armeno a Napoli. Nel caso non abbiate idea di cosa si tratti una sua pallida trasposizione la potrete incontrare, in questi giorni, presso la Rinascente.
Da quel contesto carico di sapori di un tempo, tipico del Sud, mi trovo ora ad accogliere nuove suggestioni natalizie, fatte di forme moderne che traducono quei sentimenti millenari con un tocco più metropolitano, ma con una pennellata di candida neve che non sbaglia mai quando si tratta di Natale.
La consuetudine di queste festività vuole che le città si preparino ad accogliere le greggi lungo percorsi addobbati da luci segnaletiche che ne indirizzano i movimenti. A Torino da più di vent’anni le luminarie hanno assunto anche vesti artistiche, con le ormai note Luci d’artista.

Quelli che possono sembrare semplici addobbi natalizi sono invece più articolate opere di personaggi attivi sulla scena artistica internazionale che hanno contribuito a tessere un itinerario urbano arricchitosi nel corso degli anni, diventando scenario abituale per i cittadini impegnati nella corsa alla mondana passeggiata natalizia.
Alla meraviglia iniziale subentra spesso, come indole tipica dell’uomo, l’indifferenza a quello che ormai si dà per scontato, trasformando così in più articolate ed eccentriche decorazioni di Natale quelle che in realtà sono installazioni artistiche.

L’arte non vuole essere solo godimento estetico, Art pour l’Art, spesso vuole essere veicolo di un messaggio, che sia politico o sociale, ed oggi più che mai è importante rendersi conto di ciò tornando ad essere osservatori attivi di quello che ci circonda. Può sembrare contradditorio, ma sì, anche durante lo shopping di Natale è possibile.
I nomi che si celano dietro queste accattivanti luci sono molti, da Mario Merz, Giulio Paolini, Michelangelo Pistoletto, Joseph Kosuth, Rebecca Horn, Alfredo Jaar, solo per citarne alcuni, figure notevoli che hanno alle spalle una lunga carriera.

Alcune di esse fungono da memento, sia per quel che vogliono dirci sia per il luogo scelto. Avete mai fatto caso alle due scritte luminose e speculari apposte sui muri del ponte Vittorio Emanuele I?
Joseph Kosuth in “Doppio passaggio” ha trascritto due brani tratti dalle opere di Friederich Nietzsche e Italo Calvino, emblematici testi che raccontano il ponte come metafora di comunicazione, osmosi di spiriti e culture diverse. Michelangelo Pistoletto non ha voluto essere da meno con la sua “Amare le differenze” a Piazza della Repubblica.
Una su tutte però ha colpito la mia attenzione e che forse più delle altre può essere monito imprescindibile attualizzandola al qui ed ora. Alfredo Jaar, artista cileno, ha voluto ricordarci una cosa sola, che CULTURA=CAPITALE, titolo che è anche forma della sua opera. Lo ha fatto collocando il suo memento sulla facciata della Biblioteca Nazionale in piazza Carlo Alberto, un’equazione luminosa che è un chiaro invito a riflettere sul pensiero condiviso, sulla cultura, sulla creatività come unico patrimonio da preservare.
In un 2020 che ha visto la didattica delle scuole a distanza, biblioteche e musei chiusi per la maggior parte del suo corso, il proposito per il nuovo anno non può che essere quello condiviso da Jaar.

Annachiara De Maio

(foto: l’opera di Alfredo Jaar)

Ecce Turin

Torino vista dal mare /5       Camminare per conoscere. Un’immagine semplice ma efficace che descrive al meglio uno dei migliori modi per scoprire una nuova città. Abituarsi a nuovi paesaggi, differenti abitudini di quartiere, spesso è difficile, ma passeggiando tra le vie e le piazze più battute, per poi allontanarsi e perdersi in quelle meno trafficate permette di appropriarsene, cogliendo scenari, scorci e dettagli che spesso si perdono nella frenesia del quotidiano. Torino – io che vengo dal mare – provo a scoprirla così, raccontandola per impadronirmene allo stesso tempo.

“…città dignitosa e severa! Niente affatto grande città, niente affatto moderna come avevo temuto: ma una residenza del diciassettesimo secolo, dove su tutto era stato imposto un unico gusto, quello della Corte e della noblesse. Su ogni cosa è rimasta impressa una quiete aristocratica: non vi sono meschini sobborghi; un’unità di gusto persino nel colore (tutta la città è gialla o rosso-bruna). É un luogo classico anche per i piedi come per gli occhi! Che sicurezza, che pavimentazione”

” Trovo che qui valga la pena di vivere sotto tutti gli aspetti.”

Queste sono solo alcune delle tante parole che Federico Nietzsche scrisse nei suoi scambi epistolari lungo tutto il suo soggiorno nella capitale sabauda dal 21 settembre 1888 al 9 gennaio 1889. Il suo appartamento si trovava al quarto piano di via Carlo Alberto 6 e affacciava proprio sulla piazza sopra la galleria Subalpina. Nonostante una permanenza fugace il pensatore tedesco arrivò a definire Torino come la città che si è rivelata la mia città. Un’affinità decisamente alchemica. A distanza di più di un secolo cosa è rimasto oggi di quegli aspetti meditativi e rigorosi che hanno affascinato Nietzsche?

È chiaro che non si possano paragonare le architetture e “le pavimentazioni”, tanto care al filosofo, di oggi con quelle di ieri, tuttavia la città è riuscita a disseminare in maniera abbastanza estesa palazzi di un tempo, sfoggiando balconi di pietra e vetrate colorate anche fuori dal centro storico. Ma basta un po’ di decorativismo urbano a donare quella nobiltà degna di nota? Nietzsche non è una persona che utilizza il termine nobiltà con leggerezza; per lui l’aristocrazia è d’animo e non di ostentazione. La nobiltà, Nietzsche racconta di incontrala all’osteria, nella donna che gli serve l’agnello ottimamente cucinato, e ancora più nel respirare il silenzio delle vie che aprono sulle montagne, placide fonti di acqua e di rispetto; e ancora Nietzsche parla di concerti sublimi, musiche che sono superiori a quelle mai udite in altri paesi.

Oggi mi chiedo se i torinesi si rendono conto della fortuna che hanno nel vivere in questo equilibrio di forze, dove architettura e natura giocano a scambiarsi le parti. In generale, le sensazioni positive provate da quel pazzo visionario, che io adoro, mi pare di riviverle, anche se filtrate da un tessuto igienico posto su naso e bocca.  Quella stessa tensione assoluta verso l’alto che il nostro uomo visse passando sotto la Mole Antonelliana è impossibile non avvertirla ancora oggi. Nietzsche addirittura battezza quell’antenna energetica Ecce Homo, l’opera che qui scrisse, a sottolineare ancor di più quel profondo legame instauratosi con la città.

Si può dire che sia facile rifarsi alle parole di un vecchio filosofo; io penso che sia doveroso meditarvici sopra, ascoltare quanto i grandi pensatori hanno detto, perché essi sono stati in primis grandi “sensitivi”, capaci di percepire quanto nascosto ai più. Si mediti allora se le musiche di oggi rispecchino i bisogni dell’animo; si osservi se l’arte sia valorizzata; si indaghi se l’interiorità sia ricercata oppure se la gente abbia più premura di riversarsi ai tavoli degli aperitivi che nei musei (chi ha mai avuto problemi di distanziamento sociale in un museo, negli ultimi dieci anni?).

Con Nietzsche si apre un filone di pensiero che esalta le potenze vitali dell’uomo, quelle che ribollono dentro e che necessitano di un giusto “habitat” per coltivarsi e manifestarsi: in questo senso va inteso l’apprezzamento urbanistico di Torino. Ma all’epoca il Po era pulito e le carrozze non rilasciavano particelle inquinanti. Questo dovrebbe farci meditare sull’impatto del nostro ecosistema (in questo caso urbano-collinare) sulle nostre menti, sulla potenzialità ch’esso ha nel plasmarci, nello stimolarci o nel deprimerci. Perché uno dei più grandi pensatori di tutti i tempi ha considerato questa la sua città? Dovremmo chiedercelo, riversando ammirazione su ogni scorcio cittadino gradito all’anima e difendendolo con tutte le forze dagli orrori dell’inciviltà estetica, nella sua accezione di sensibilità.

Quella di Nietzsche fu un’unione profonda, totale, oltre lo spirituale, come è stato a tutti evidente nel momento in cui davanti alla sua abitazione torinese abbracciava un cavallo ferocemente frustato dal suo padrone: non era pazzia, era solo difesa di una sensibilità superiore.

Annachiara De Maio

Come in un film

Torino vista dal mare /4        Camminare per conoscere. Un’immagine semplice ma efficace che descrive al meglio uno dei migliori modi per scoprire una nuova città. Abituarsi a nuovi paesaggi, differenti abitudini di quartiere, spesso è difficile, ma passeggiando tra le vie e le piazze più battute, per poi allontanarsi e perdersi in quelle meno trafficate permette di appropriarsene, cogliendo scenari, scorci e dettagli che spesso si perdono nella frenesia del quotidiano. Torino – io che vengo dal mare – provo a scoprirla così, raccontandola per impadronirmene allo stesso tempo.

Alzi la mano chi non ami trascorrere un paio ore di evasione guardando un buon film. Passatempo per eccellenza, rituale per molti, passione per altri. Tanti sono i motivi che ci spingono verso la scelta di un film anziché di un altro. Il cinema ci permette di discostarci dal nostro attuale hic et nunc e immergerci così in altri mondi e realtà; a volte comici e divertenti, altre volte drammatici e introspettivi, altre ancora pura fantascienza o orrorifici. Un potere fatto di colori, immagini, parole e volti.
Ebbene, in effetti è con questa settima arte che Torino ha saputo costruire uno stretto e consolidato legame, una storia lunga ben oltre un secolo; un sodalizio, un’amicizia duratura.
In questi giorni ha aperto le porte, dello streaming e del virtuale purtroppo, la 38esima edizione del Torino Film Festival che ci ricorda nuovamente che è proprio in questo 2020, anno bisesto anno funesto, che la città celebra questa affinità, elettiva e intellettiva, vestendo le parti di “Città del Cinema” a vent’anni esatti dall’apertura del Museo Nazionale del Cinema all’interno della Mole Antonelliana.

Con l’intento di ripercorrere i motivi e le vicissitudini di questa relazione, sono sparse in punti strategici della città venti postazioni, venti sedute, forse poco rispondenti alle normative igienico-sanitarie degli ultimi DPCM, ma chiaramente inserite in tempi non sospetti, dove è possibile visionare video e documentari della pellicola che fu girata lì, in quel luogo esatto in cui ora viene trasmessa. I nomi dei film e dei registi che si sono avvalsi del profilo e degli scorci urbani di Torino come set sono tanti. Se provassimo a immaginarci interpreti invisibili tra le strade della città potremmo vivere innumerevoli avventure, immersi come dentro un film.

Come solo la magia del cinema sa fare gli eleganti e nobiliari palazzi di Torino, del cuore della città, possono prender le sembianze dei palazzi del potere romano e riportarci agli anni dell’Italia che fu, quella ingenua e credulona dei tempi del Il Divo, di Paolo Sorrentino, ma allo stesso modo quel centro pulsante, tra le strade più battute da giovani e studenti, ci consente un balzo generazionale lungo vent’anni, capace di stimolare quella ormai cara e sempre in voga nostalgia degli anni ’90, attraverso le vicende dei quattro protagonisti di Santa Maradona di Marco Ponti.
Ma accade, come spesso accade nei film, che la calma sia solo apparente e nel caso ci trovassimo in tarda serata in piazza CLN sarebbe meglio evitare di far caso a cosa succede in una delle finestre dei palazzi affacciati sulla piazza, perché, come Dario Argento in Profondo Rosso racconta, potremmo ritrovarci in spettrali, ma decisamente affascinanti, ville liberty nascoste da una lussureggiante vegetazione, cercando di risolvere misteri, spinti da quell’insana curiosità che solo i personaggi di questi film possono avere.

Ma non solo la notte è a caccia di misteri, curiosamente anche recarsi la mattina al Balon può farci trovare immischiati tra i protagonisti di altrettanti delitti che sarà compito del commissario Santamaria, il Marcello Mastroianni de La donna della domenica di Luigi Comencini, risolvere. Ma tranquilli, non sarò io a svelare qui l’assassino, lo spoiler non va mai in prescrizione.
Il cinema è anche questo, incuriosire, stuzzicare la fantasia, stimolare la riflessione. Corrono in aiuto in ciò i vecchi film, quelli cult, quelli che riguardandoli ci rendono nostalgici, ma altrettanto indispensabili sono quelli attuali, quelli ancora sconosciuti, che ci mostrano l’insolito e il diverso.

Annachiara De Maio

Che novità in città?

Torino vista dal mare /3  Camminare per conoscere. Un’immagine semplice ma efficace che descrive al meglio uno dei migliori modi per scoprire una nuova città. Abituarsi a nuovi paesaggi, differenti abitudini di quartiere, spesso è difficile, ma passeggiando tra le vie e le piazze più battute, per poi allontanarsi e perdersi in quelle meno trafficate permette di appropriarsene, cogliendo scenari, scorci e dettagli che spesso si perdono nella frenesia del quotidiano. Torino – io che vengo dal mare – provo a scoprirla così, raccontandola per impadronirmene allo stesso tempo.

È appena trascorso quel ricco e caotico periodo qui a Torino che i più conoscono come Art Week. Una settimana esclusivamente dedicata al contemporaneo dove l’intera città diventa catalizzatrice di eventi. Quest’anno, dalle congiunture astrali decisamente sfavorevoli, ha visto invece un susseguirsi di riprogrammazioni, cancellazioni e rimodulazioni di eventi.
Per me, da persona che lavora a contatto con questo stravagante e a volte incomprensibile mondo dell’arte contemporanea, ma anche come semplice appassionata, è stata la prima settimana dell’arte da “torinese”, seguirne le vicissitudini e declinazioni era doveroso.  Ma quindi quest’anno cosa è successo? Si può parlare di Art Week torinese per il 2020?
Purtroppo molti sono stati gli eventi cancellati in attesa di una situazione più propizia per ritornare. Altri invece hanno cercato altre vie.

Come si sa Artissima è da sempre l’evento cardine, attorno al quale sono sorte nel tempo tante nuove e stimolanti realtà che hanno permesso alla città di Torino di distinguersi nel caotico mondo del contemporaneo. Proprio Artissima aveva sin da subito annunciato la sua presenza non fisica per questa XXVII edizione, affidando al mondo virtuale la maggior parte degli incontri, eventi e presentazione del catalogo. Quella di quest’anno è stata e continua ad essere un’edizione più intima e diluita, in accordo con i tempi che stiamo vivendo che ci costringono a una lentezza e un raccoglimento a cui non eravamo più abituati.

Una presenza fisica di Artissima in città è però prevista attraverso tre mostre evento ospitanti alcuni dei lavori delle gallerie partecipanti a questa edizione dalle nuove vesti, dislocate negli spazi museali della GAM, Palazzo Madama e il MAO, ad ora solo rimandate a causa delle più recenti restrizioni che stiamo vivendo, ma già in qualche modo visionabili grazie a tour virtuali che permettono di entrare in contatto con le opere esposte.

Stasi Frenetica il tema che accomuna le esposizioni, a sottolineare sempre quell’idea di recupero di una calma perduta all’interno della frenesia del quotidiano. Scegliere anche tre delle istituzioni museali più importanti di Torino è un invito a riappropriaci e riscoprire la città appena sarà possibile, ma iniziarlo a fare anche quando sembra non esserlo.
Come già scritto oltre ad Artissima anche altre manifestazioni hanno trasferito la loro programmazione sulle numerose piattaforme social ormai a nostra disposizione, facilitandoci forse in questo modo anche il compito per poterne fruire.

Se a volte possiamo conoscere la città affacciandoci dal balcone, a volte possiamo addirittura farlo comodamente seduti sulla nostra poltrona, con un bicchiere di buon vino in mano, scoprendo la prossima mostra che vorremo visitare, ma arrivandoci così un po’ più preparati.

Annachiara De Maio

(In)contro il muro

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TORINO VISTA DAL MARE /2 Camminare per conoscere. Un’immagine semplice ma efficace che descrive al meglio uno dei migliori modi per scoprire una nuova città.

Abituarsi a nuovi paesaggi, differenti abitudini di quartiere, spesso è difficile, ma passeggiando tra le vie e le piazze più battute, per poi allontanarsi e perdersi in quelle meno trafficate permette di appropriarsene, cogliendo scenari, scorci e dettagli che spesso si perdono nella frenesia del quotidiano. Torino – io che vengo dal mare – provo a scoprirla così, raccontandola per impadronirmene allo stesso tempo.

Ci risiamo, siamo tornati a parlare di quella ormai conosciuta situazione, chiamata lockdown. Nuovamente bar e ristoranti chiusi (non ce ne vogliano gli esercenti, ma forse potrebbe essere il momento giusto per perdere qualche chilo di troppo), stesso destino per cinema e teatri (chi può dirlo, magari, alla riapertura incominceremo per davvero ad andarci), per non parlare di musei e siti culturali. Insomma, le nostre abitudini o presunti tali, hanno subito una nuova stretta.

Di necessità virtù, ce lo siamo detti a marzo, ritorniamo a ripetercelo a novembre. Come trarre vantaggio da ciò? Anche in questo caso la saggezza dei proverbi viene in nostro aiuto, Se Maometto non va alla Montagna è la Montagna che va da Maometto.

Facile a dirsi, ma forse non lo è. Provare ad aprire uno dei tanti libri non letti che abbiamo ancora in casa; guardare i film non visti; ascoltare buona musica che non conosciamo; nella loro semplicità sarebbe già un passo avanti. In questo tutti i mezzi virtuali, dai social network ai live in streaming dei siti che si offrono all’emergenza, sono a nostra disposizione.

Controcorrente e sempre dal lato un po’ più disagiato sembra invece l’arte. I musei e le gallerie d’arte sono chiusi, quindi l’unica cosa che ci resta sembra guardarla tra le foto di libri e siti online.

In realtà anche qui una soluzione potrebbe esserci. Capita a volteche anche l’arte bussa alla tua porta, addirittura alla tua finestra.Penserete che sia pazza e forse lo sono, ma non in questo caso.

Vivo a Torino da molto poco e molto è ancora da visitare e la situazione si è nettamente complicata dal momento che anche camminare risulta vietato (decisamente non il momento perfetto per fare la turista). A questo punto entra in gioco da una parte la fortuna e dall’altra l’arte.

La fortuna sta nel fatto che ogni giorno affacciandomi al balcone ho la possibilità di godere del piacere di osservare qualcosa di bello. L’arte è invece rappresentata dall’opera murale di Camilla Falsini.

Un grande, gigantesco e colorato disegno appare tra i palazzi del mio nuovo quartiere. La pittrice ed illustratrice romana ha realizzato infatti per la città di Torino un murales dedicato a Christine de Pizan, che in un’epoca lontana come il XIV secolo è riuscita ad essere scrittrice e donna coraggiosa. Il murale lo ha realizzato all’interno di un più ampio progetto, il TOward 2030 What are you doing?, del quale ne rappresenta il Goal 5 – “Parità di genere”, progetto di arte urbana che punta alla riqualifica e sostenibilità del territorio.

Non sto qui però a parlavi del progetto, anzi, ma del fascino dell’opera in sé e della fortuna che la street art ci offre. Torino, come le grandi città ne è ricca, ma forse ha una marcia in più in questo. Città urbana, metropolitana per eccellenza, almeno per quanto riguarda l’Italia, le sue architetture industriali si sposano alla perfezione con questo linguaggio, nato nella periferia urbana di una città come New York.

La street art da forma di espressione provocatoria, illegale per giunta e di emancipazione da un tessuto sociale difficile, si è trasformata in arte riconosciuta, istituzionalizzata, mezzo di rivalutazione urbana. Addirittura esposta nei musei. Senza dilungarci troppo sui paradossi a cui è giunta, è chiaro che offra possibilità infinite, possibilità che ritroviamo anche a Torino.

Non sarà necessario spostarsi molto dal proprio quartiere, per scontrarsi con nomi, spesso noti, e opere sparse perla città, dalla già citata Falsini con il suo lavoro in Vanchiglietta, a Millo e le sue realizzazioni in Barriera di Milano, alle tante opere che abitano San Salvario, al murales di Aryz a Palazzo Nuovo. Ci sarebbe ancora un lungo elenco da fare. Il muro di Zed One sul Lungo Po Antonelli, Fabio Petani in via Plana, per esempio. Insomma, abbiamo molto da scoprire, e anche se non c’è permesso per ora fare i turisti fuori città, o in città, almeno possiamo farli nel nostro quartiere, basta restare con gli occhi aperti.

Annachiara De Maio

Alla conquista di Superga

TORINO VISTA DAL MARE /1

Camminare per conoscere. Un’immagine semplice ma efficace che descrive al meglio uno dei miglior modi per scoprire una nuova città

Abituarsi a nuovi paesaggi, differenti abitudini di quartiere, spesso è difficile, ma passeggiando tra le vie e le piazze più battute, per poi allontanarsi e perdersi in quelle meno trafficate permette di appropriarsene, cogliendo scenari, scorci e dettagli che spesso si perdono nella frenesia del quotidiano.

Torino – io che vengo dal mare – provo a scoprirla così, raccontandola per impadronirmene allo stesso tempo.

 

Protagoniste del profilo urbano, le colline a ridosso della città ne caratterizzano l’aspetto con i loro colori e le loro sinuosità. In posizione di netta dominanza, in cima a una di queste colline, si erge uno dei più riconoscibili simboli architettonici di Torino, la Basilica di Superga.

È uno dei luoghi a cui i cittadini sono più legati; mi chiedo come mai e soprattutto se visitarla rispetterebbe queste alte aspettative per chi non l’ha mai vista. Uno dei motivi per cui proprio la Basilica è stata tra le prime questione da affrontare in città.

La comparsa in scena? Decisamente da ottima interpretazione. Mi è apparsa nella sua monumentalità alla fine di una lunga passeggiata che da Sassi porta fin sui 670m di altezza.

La scelta di raggiungerla a piedi, sempre e solo con le scarpe giuste indosso, è un’esperienza suggestiva. Una tiepida e luminosa giornata autunnale può addirittura arricchire il tutto.

Intuibile la componente climatica. Evitare la calura estiva in una salita di 4,7 km con un dislivello di 445m è da non sottovalutare al fine di godersi appieno l’esperienza.

Ma altrettanto da non sottovalutare è come l’autunno sia la stagione ottimale. A dispetto dell’immaginario grigio del nord, a cui spesso chi viene dal mare fa riferimento, Torino in questi mesi risplende di una nuova luce. Gli alberi, le foglie si colorano di oro, arancio, rosso, calde tonalità che illuminate dai raggi del sole accendono ciò che le circonda. Passeggiare circondati da questa esplosione di colore dona piacere agli occhi e allo spirito.

Salendo verso Superga siamo accompagnati così dalla natura della collina, che man mano diventa sempre più rigogliosa e che una volta in cima si apre a mo’ di sipario svelandoci il capolavoro di Filippo Juvarra.

Documentandomi sulla storia apprendo che l’architetto siciliano, voluto personalmente da Vittorio Amedeo II di Savoia al regio servizio, ha soggiornato parecchi anni a Torino regalando così alla città, attraverso le sue opere, un sapiente mix di gusto pienamente barocco, tipico del sud, all’eleganza della capitale sabauda.

La Basilica di Superga è di sicuro il suo capolavoro. Uno dei più grandiosi santuari barocchi situati su di un’altura. È così che in 14 anni un Templio antico su d’una collina moderna, ha preso forma.

Una volta arrivati in cima, stanchi dalla passeggiata, ma felici di essere alla meta, la salita non è in realtà finita, anzi, per i più valorosi e più curiosi, altri 131 scalini di una scala a chiocciola conducono fin su alla slanciata cupola che sovrasta l’edificio,aprendo da lì la finestra panoramica per eccellenza; strano ma vero ma del mare nemmeno l’ombra, spaesata, ma affascinata, di fronte a me si distende la pianura di Torino e quella superba catena di cime alpine che la incornicia.

Le montagne e i fiumi hanno preso il posto di porti, navi e vulcani; provo così a riconoscere punti della città, e per fortuna la svettante punta della Mole Antonelliana in questo accorre subito in aiuto. Un nuovo paesaggio che, forse ancora poco familiare, assume un significato diverso.

A questo punto, dopo una salita, a mio dire perfetta, non resta che godersi il tutto anche in discesa.

Annachiara De Maio