Come nuovo!

TORINO VISTA DAL MARE /10

Camminare per conoscere. Un’immagine semplice ma efficace che descrive al meglio uno dei migliori modi per scoprire una nuova città. Abituarsi a nuovi paesaggi, differenti abitudini di quartiere, spesso è difficile, ma passeggiando tra le vie e le piazze più battute, per poi allontanarsi e perdersi in quelle meno trafficate permette di appropriarsene, cogliendo scenari, scorci e dettagli che spesso si perdono nella frenesia del quotidiano. Torino – io che vengo dal mare – provo a scoprirla così, raccontandola per impadronirmene allo stesso tempo.

Ogni qual volta un nuovo calendario viene affisso alla parete siamo  sempre alla ricerca di cambiamenti, pare sempre giusto iniziare il nuovo anno con qualcosa che sappia di novità, ma siamo certi che il nuovo debba per forza coincidere con qualcosa che spunta dal nulla dal presente? Può essere, invece, che il passato muova i suoi elementi in avanti, trasmutandone le caratteristiche, deformandole in maniera nuova, ma non irriconoscibile. Il filosofo, e torinese, Gianni Vattimo per descrivere questa dolce traslitterazione dei termini in giocoutilizza il termine Verwindung.

Nella mia vita mi occupo d’arte, campo d’elezione prediletto per la rielaborazione di quell’elemento chiamato Aesthasis, l’Estetica, ovvero la sensibilità individuale, che le opere d’arte dovrebbero riforgiare e in qualche modo “evolvere”, come era nei progetti di quell’arte spirituale agognata dall’artista Kandinsky.

Ma questa sensibilità è coltivabile in molteplici modi, anche con opere non chiuse in quattro mura, ma esposte al cielo aperto, dove il percorso stesso per arrivarvici diviene un momento di rigenerazione estetica spirituale.

Questo lungo preambolo perché? Per cercare di riprendere questo concetto di Verwindung, di movimento progressivo distorcente,dove il passato diventa un Passato-Nuovo, provando a trasformaloin un augurio per l’anno appena iniziato. É per questo che voglioricollegarmi proprio con il primo articolo qui scritto, quello che ha dato inizio alla mia avventura su questo giornale, ma in qualche modo anche in questa città, quella prima passeggiata versoSuperga.

Lo faccio però in modo tutto nuovo e diverso, annotandovi qui gli effetti che essa ha avuto su di un torinese che Superga la vive da anni, ma che ha trovato ispirazione da quell’articolo per rielaborare la sua personale “Estetica di Superga”.

“Io sono un Torinese. Ed un ciclista; da corsa. Superga è il luogo della certezza donata dalla sua monumentalità e dalla sua posizione monumentale, tant’è che quando entro in una casa nuova mi accerto che la Basilica si possa vedere almeno da un balcone, così mi sento più sicuro.

Qual è la certezza che Superga dona a un ciclista come me? Gioia e piacere? Certo che no! Fatica e dolore, digrignamento di denti e sudore. L’ho scalata decine di volte, ma non l’ho mai trovata scontata, perché le sue pendenze non vanno mai in saldo. Il perché di questo masochismo sarà forse dovuto a quell’esperienza adolescenziale, la prima scalata, strada ignota e ruota storta, che tocca il freno, come a dire che la scalata in paradiso deve contenere un’agonia infernale, e la testa china, sempre china a guardare il profilo della ruota che avanza, centimetro dopo centimetro, su per l’asfalto; e poi ad un certo punto alzo la testa e mi ritrovo la Basilica davanti, enorme, e l’adrenalina si mischia alla serotonina, così come la mia sensibilità si macchia d’improvviso di eccitazione ed estasi, dando ragione all’idea romantica di contemplazione dell’infinito. D’allora salgo per rivivere quel momento di fondamentale sverginamento estetico, per soffrire e godere su asfalti in pelliccia di venere.

Ma di quella strada per il paradiso, io non so niente! Testa china. Testa giu. Ruota, asfalto e respiro, non so altro di quella strada, questa è l’abitudine.

Poi ho letto l’articolo sulla camminata a Superga, da Sassi, e allora qualcosa in me si è mosso, e mi ha imposto di salire là ancora, ma … a piedi.

Mai immaginato che lo avrei fatto. Ma l’ho fatto. E quindi mi emozionai. Sensazioni vecchie in salsa nuova hanno condito la scesa a una strada vecchia ma sconosciuta, un’ora e mezza sono ben più di venti minuti e permettono di sviscerare in maniera alquanto indiscreta le vedute e le abitazioni, paesaggi mai visti, e poi il percorso della dentiera, di cui non ho mai capito i movimenti, mi è sempre parso che il trenino comparisse e scomparisse a suo piacimento. E i profumi dell’autunno, molto piùnitidi, non più mascherati dalle lacrime del sudore, hanno rivelato sensazioni oppiacee alla mia mente in contemplazione, incrinata da questa esperienza para-normale, come vedere una persona vera al posto di una sua fotografia.”

Aldilà di queste sensazioni personali, poesia di parole gettate di impulso, righe che mi sono state consegnate, ma che magari possono essere comprese appieno solo da chi le ha vissute, ho scelto di raccontarle per provare a porre l’accento su quello scambio che c’è stato; un fortuito incontro con un articolo di giornale scritto da una “straniera” in una nuova città è riuscito a generare una nuova esperienza senza il quale magari non sarebbe mai stata vissuta. Un pezzo di vita vissuta che ha ispirato un’altra. A volte la propria città si scopre anche attraverso gli occhi o, come in questo caso, le parole di qualcun altro.

Questo il mio augurio per il nuovo anno e gli anni a venire, provare a capire che qualcosa di nuovo possiamo provare a rintracciarlo e costruircelo da sé anche sulla base di qualcosa che già è stato vissuto. E il 2021 mi sembra abbia il sapore adatto per farlo!

Annachiara De Maio

Leggi qui le ultime notizie: IL TORINESE

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