“Il Rinascimento in Piemonte” sino al 12 giugno nelle sale del Castello di Vinovo
È davvero “una perfetta occasione per aprire il nostro castello”, come sottolineano il Sindaco di Vinovo Gianfranco Guerrini e l’Assessore alla Cultura Maria Grazia Midollini, la mostra “Il Rinascimento in Piemonte”, patrocinata dalla Regione Piemonte, dalla Città di Torino e dalla Città Metropolitana, nonché dall’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento e curata dallo storico
Ilario Manfredini. Mostra che considera con attenzione e con un suggestivo sguardo di nicchia i “Tesori d’arte al Castello di Vinovo”. A lungo rimandata per immancabili motivazioni pandemiche, sino al 12 giugno prossimo offrirà la possibilità al visitatore di aggirarsi nel giardino, nelle sale – dal salone d’onore alla Sala del Fregio, dalla Sala degli Stucchi e dei Medaglioni all’ambiente di Carlo VIII – e nello splendido chiostro che, oltre alle grottesche messe in salvo, offre, con le colonne, in alternanza i medaglioni in cotto degli imperatori Nerone e Galba, per confluirli verso quelli della Giustizia Ritrovata. Fregi, pitture riscoperte, curiosi schizzi alle pareti, soffitti riportati alla luce, storia e tradizioni e personaggi, ampi ambienti dove, se non appieno, hanno trovato posto preziosi materiali, come miniature e volumi e documenti – come tre piccole tavole dovute a Gandolfino da Roreto: principali prestatori la Galleria Sabauda, l’Archivio di Stato, Palazzo Madama, Pinacoteche di Pavia e Faenza – che ricreano l’evoluzione di questo alto esempio d’architettura rinascimentale del nostro territorio, costruito su disegno di Baccio Pontelli, come gli ampliamenti che hanno ridisegnano in modo definitivo il “castrum novum”, con l’abbandono del “castrum vetus”. La mostra ha un’appendice anche nella chiesa parrocchiale, dove si può ammirare il complesso scultoreo tardo quattrocentesco del “Compianto”, opera realizzata per il perduto convento del Tivoletto da un ignoto artista forse di area lombarda.
Un doveroso rilancio, un tesoro ritrovato quindi che ben si propone come luogo “di visita, svago, promozione culturale e turismo”, un punto d’interesse che non dovrà essere esclusivamente passeggero ma che il Comune dovrà fare (più) gelosamente suo, affidandosi (ancora, ma non solo) all’esercizio encomiabile, davvero al non risparmio delle proprie forze, dell’”Associazione Amici del Castello” e di quei tanti volontari che non solo recentemente hanno dato vita alla esistenza e al mantenimento della costruzione. Collaborazioni non troppo felici del passato hanno certo rallentato quel processo di affermazione di questo luogo di alto interesse, ma nulla vieta che – come sta già succedendo – partecipazioni, o sponsorizzazioni, di differente genere portino ad un aiuto economico più solido che rinforzi gli interessi e le finalità che questo comune, di quindicimila abitanti, alle porte di Torino, non deve certo lasciarsi sfuggire.
Punto centrale della mostra è la figura di Domenico Della Rovere, promotore di una straordinaria stagione artistica. Era nato a Vinovo nel 1442 Domenico e già a soli ventitré anni si trasferiva sulle orme del fratello Cristoforo, protonotario apostolico, a Roma, sotto la protezione del cardinale Francesco Della Rovere che nel 1471 sarebbe salito al trono pontificio con il nome di Sisto IV. Alla morte del fratello, nel 1478, Domenico, nominato cardinale, grazie ai “prestigiosi, impegnativi e remunerativi incarichi” ottenuti all’interno della Curia romana, vide consolidata la sua posizione, sia a Roma come in Piemonte. Mecenate sì ma le fortune economiche e il progressivo consolidarsi della carriera gli dettero modo di concretizzare quei progetti che più gli stavano a cuore. Tra il 1485 e il 1490 affidò alla architettura di Baccio Pontelli e alla pittura narrativa del Pinturicchio il palazzo Della Rovere, in seguito chiamato Palazzo dei Penitenzieri, in quella che è oggi via della Conciliazione e che all’epoca inglobava piazza Scossacavalli, luogo famoso di Borgo e ricco anche della presenza dello studio di Raffaello. Il 19 luglio 1482 venne trasferito alla diocesi di Ginevra ma soli cinque giorni dopo la scambiava con il vescovo di Torino Giovanni III divenendo quindi vescovo della città, titolo che si andava ad aggiungere ai molti altri già acquisiti, non ultimi Ivrea e la Fruttuaria di San Benigno. Nel 1490 decise la costruzione del duomo di Torino su disegni di Meo del Caprina, addossandosene in gran parte le spese con l’invio da Roma di grandi casse colme di pezzi d’argento: le abbondanti maestranze e il denaro che certo non difettava gli dettero modo di pensare anche alla nuova costruzione di Vinovo. Moriva nel 1501 nominando suo erede il fratello Martino. La sua salma, prima inumata nella cappella del Presepio in Santa Maria del Popolo a Roma, venne in seguito portata a Torino: di recente, nelle cripte del nostro duomo, è venuta alla luce la sua lapide.

Info sulla Mostra: aperta sabato e domenica dalle 10 alle 19, aperture straordinarie lunedì 18 e lunedì 25 aprile; chiusure il pomeriggio di sabato 23 aprile e la mattina di domenica 24, la mattina di domenica 22 maggio, di sabato 4, domenica 5 e domenica 12 giugno. Sono possibili visite guidate la domenica alle 15 e alle 17, su prenotazione.
Intero Euro 10,00 – Ridotto Euro 6,00
Per rendere più comode le visite è stato creato, per tre giornate festive, un servizio gratuito di navetta. Il calendario completo è il seguente: lunedì 18 aprile partenza ore 14 da piazza Bengasi e ritorno da Vinovo alle ore 17; domenica 15 maggio da piazza Bengasi ore 9,30 e ritorno da Vinovo alle ore 12; domenica 5 giugno da piazza Bengasi ore 14 e ritorno da Vinovo alle ore 17.
Per usufruire del Servizio gratuito navetta: Associazione Amici del Castello di Vinovo 338 2313951; Comune di Vinovo 011 9620413; cultura@comune.vinovo.to.it
Elio Rabbione
Nelle immagini, la facciata principale e il giardino del castello di Vinovo; un fregio del chiostro; una grottesca: “Lo sposalizio della Vergine”, opera di Gandolfino da Roreto.
La settimana precedente al grande giorno viene detta Settimana Santa, periodo che comprende il “Triduo pasquale”, incluso il giovedì Santo, che commemora la “lavanda dei piedi” e “l’ultima cena”, e il venerdì Santo, volto invece alla rimembranza della crocifissione e della morte di Gesù.


Architetto, anatomista, pittore, visionario: l’incredibile e poliedrico genio di Leonardo da Vinci torna protagonista ai Musei Reali che dal 15 al 25 aprile 2022 propongono un’esposizione straordinaria del Codice sul volo degli uccelli e dei 13 disegni, tra i quali anche il celebre Autoritratto.






Per certi aspetti, nel dibattito sociale e politico, Langer è oggi più conosciuto, e riconosciuto, di quando lo fosse in vita, nel tempo segnato dalle tante amarezze. Marco Boato – sociologo, giornalista, ricercatore universitario, più volte parlamentare, esponente di spicco di Lotta Continua, del Partito Radicale e dei Verdi – che condivise tante iniziative di Langer, scrisse un libro molto bello e prezioso che si intitolava Alexander Langer. Costruttore di ponti. In quelle pagine ritraeva il profilo di un autentico e coerente testimone del nostro tempo: le radici sudtirolesi, il rapporto con la Chiesa, la formazione, il Sessantotto, l’impegno politico e la conversione ecologica, la nonviolenza, l’impegno per il dialogo interetnico nella ex Jugoslavia e un po ovunque. Come ricordava il cardinale Loris Capovilla (storico segretario di Giovanni XXIII, papa Roncalli, morto centenario nel 2016) nella sua presentazione, “anche Alex ha perseguito ostinatamente la pace, e, insieme, la custodia del creato. Ha inseguito con tenacia questi ideali. Ne ha fatto la sua passione e la sua vita”. Il tenace costruttore di ponti, intellettuale altoatesino pioniere della conversione ecologica auspicata dalla Laudato si’ di papa Francesco ( essendo Pontefice è anch’esso, nell’etimologia della parola e nella sostanza del fare, un costruttore di ponti) spese gran parte dei suoi quasi cinquant’anni anni di vita al servizio degli altri nel segno del dialogo, della pace, della tutela dell’ambiente. Giornalista, traduttore, insegnante, Alex Langer nel 1989 fu eletto deputato al Parlamento Europeo e divenne il primo presidente del neo-costituito Gruppo Verde. Uomo politico nel senso più nobile del termine, Langer si impegnò fino allo stremo delle sue forze nella diplomazia della pace, a favore di relazioni più giuste tra i popoli, per la conversione ecologica della società, dell’economia e degli stili di vita. Occorre avere oggi, in questa primavera del 2022, la consapevolezza che mai come ora il suo pensiero è attuale e può dire molto alle nuove generazioni. Un testimone del nostro tempo, protagonista dell’ecologismo politico in Italia e nella dimensione europea e internazionale. Il suo dinamismo senza soste, diventato ancor frenetico dopo la caduta del muro di Berlino quando non risparmiò alcuna forza per contrastare i contrapposti nazionalismi, sostenendo le forze di conciliazione interetnica nei territori dei quella che fu la Jugoslavia, la terra degli slavi del sud, rappresenta l’esempio e l’eredità che ha lasciato. Alexander non tollerava le divisioni etniche. In Alto Adige nel 1981 e poi nel 1991 si era rifiutato di aderire al censimento nominativo per la dichiarazione del gruppo linguistico, perché riteneva che ciò rafforzasse una politica di lacerazione invece che di coesione. Spese tutto se stesso per un’idea e un progetto che si può riassumere nel bellissimo e sintetico concetto di don Primo Mazzolari: “pace, nostra ostinazione”. Fu coerente con questa impostazione fino all’estremo, fino alla fine. Quando ci si rende disponibili all’apertura nei confronti dell’altro senza remore, come Alexander Langer cercò di fare lungo l’intero arco della sua vita, la vulnerabilità diventa assoluta. Fu così che il pomeriggio del 3 luglio 1995, a 49 anni, si tolse volontariamente la vita impiccandosi a un albicocco al Pian dei Giullari, alle porte di Firenze. I pesi gli erano diventati insostenibili eppure, anche in quel momento in cui si sentiva “più disperato che mai”, avvertì il bisogno di rassicurare gli amici, scrivendo nell’ultimo dei suoi tanti bigliettini: “Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto”. L’ultimo sprazzo di luce nel buio, un invito che non si può rifiutare, continuando così “in ciò che è giusto”. Nell’impegno per la pace, con la passione come spirito e il dialogo come missione.