A Lanzo Torinese, la poesia di un “piccolo mondo antico” negli scatti del grande fotografo e magistrato torinese
Da sabato 16 a mercoledì 20 luglio
Lanzo Tor.se (Torino)

Un’immagine di ruvida, poetica tenerezza. Assolutamente perfetta nel gioco di luci e ombre, agevolato dalla sofisticata tecnica al “bromolio trasferto” (con l’utilizzo di interventi manuali in grado di conferire alle foto le sembianze di un disegno a carboncino) di cui Peretti Griva diventò uno dei massimi esperti a livello internazionale. Il titolo è “La madre”, foto scattata a Gubbio intorno al 1939. “Bighellonavo per la bellissima città medioevale. Mi attrasse– ebbe a scrivere anni dopo lo stesso fotografo- la vista di una bella testa di bambino intento a rosicchiare una mela. Fu in quel momento che fui portato ad ammirare spiritualmente assai più che il bambino, la sua madre, una figura di popolana, avvizzita dal lavoro, di età indefinita. Gli occhi di questa madre erano lucenti di felicità, nel vedere che un forestiere si era fermato davanti al suo bambino. Io ne rimasi commosso e fotografai quell’attimo fuggente”. Magistrato, giurista (in una lunga e per molti “scomoda” carriera quarantennale che lo porterà alla carica di primo presidente della Corte d’Appello di Torino), fervente antifascista, nonché protagonista del “Movimento Federalista Europeo” e fotografo di grande vaglia, al suo attivo ben 25mila scatti caratterizzati da un’atmosfera romantica tipica del cosiddetto “pittorialismo” a Domenico Riccardo Peretti Griva (Coassolo Torinese, 1882– Torino, 1962) la città di Lanzo Torinese dedica, negli spazi del centro comunale di “LanzoIncontra”, una gradevolissima mostra, che sarà inaugurata il prossimo sabato 16 luglio (ore 10) e si protrarrà per pochi (troppo pochi!) giorni, fino a mercoledì 20 luglio. La mostra, curata da Giovanna Galante Garrone, storica dell’arte e nipote dello stesso Peretti Griva, raccoglie fotografie facenti parte della collezione privata di famiglia, riproduzioni da originali del “Museo Nazionale del Cinema” di Torino, che custodisce il fondo donato dalla figlia Maria Teresa, e del Comune di Lanzo Torinese, per la prima volta riunite in un’unica esposizione. “Si tratta di opere – sottolinea Giovanna Galante Garrone – realizzate nella prima metà del secolo scorso e che restituiscono una preziosa sintesi delle predilezioni tematiche e delle scelte estetiche di Riccardo Peretti Griva. Le sue fotografie in bianco-nero testimoniano una forte attenzione al chiaroscuro che nel procedimento di stampa, assume caratteri pittorici di particolare liricità”. Ovvero, quella capacità di cogliere il soggetto, quello giusto – che ti appartiene per cultura, per modo di dare valore alla vita come tu la intendi e come tu vuoi raccontarla – in un fuggevole attimo di secondo. Che se ti sfugge, il gioco è perso. Irrimediabilmente. E allora ecco la gente che è la tua gente.

Ecco la Natura che è la tua Natura. Proprio come avviene per la “madre” di Gubbio. E ancora nei “figli del contadino” di Saint-Nicolas o nei due vecchietti intenti a leggere e a commentare il giornale (uno in due, ma sì che basta!) sulla panchina posta davanti alla Chiesa del paese o nel silente tappeto di neve custode di minimi segnali naturali che un giorno sbocceranno. Certo che sbocceranno. Era ancora una certezza, allora! E’ nel 1905, sull’onda dell’“Esposizione Internazionale di Fotografia Artistica” tenutasi a Torino, che inizia l’avventura artistica di Peretti Griva. Nel 1923 viene premiato alla “Prima esposizione internazionale di fotografia, ottica e cinematografia” e da allora partecipa costantemente ai “Salons d’arte fotografica internazionale di Torino”, nonché a numerose altre manifestazioni in Italia e all’estero. Molte anche le mostre dedicategli in seguito. Le più recenti al “Museo Nazionale del Cinema” e al Museo “Arnaldo Tazzetti” di Usseglio (2018), a cura di Daniela Berta e di Giovanna Galante Garrone.

Da segnalare: il giorno successivo all’inaugurazione, domenica 17 luglio (ore 20,45), sarà anche proiettato a Lanzo il documentario “Il mondo di Riccardo” – una produzione “Kublai film”, “Museo Nazionale del Cinema” e “Fondazione Maria Adriana Prolo” – a lui dedicato dal regista veneto Daniele Frison che contribuirà a completare il ritratto e la personalità ricca e poliedrica del magistrato – fotografo, raccontato dalla nipote Giovanna Galante Garrone, insieme a magistrati, storici del diritto e della fotografia che ebbero modo di conoscerlo e di studiarlo.
Gianni Milani
“Il mondo fotografico di Peretti Griva”
LanzoIncontra, piazza Generale Ottavio Rolle, Lanzo Tor.se (Torino); tel. 0123/300400 o www.comune.lanzotorinese.to.it
Fino a mercoledì 20 luglio
Orari: sab. 11/12,30 – 15,30/19 – 20,30/22; dom. 10/12,30 – 15,30/18; da lun. a merc. 16,30/18,30
Nelle foto (proprietà del “Museo Nazionale del Cinema” di Torino):
– “La madre”, Gubbio, bromolio trasferto, 1939 ca.
– “I figli del contadino”, Saint-Nicolas,bromolio trasferto, 1930-‘40
– “Il giornale”, bromolio trasferto, 1925-‘30
– “La lunga attesa”, gelatina ai Sali d’argento, 1930-‘40
Il famigerato e crudele conte vampiro della Transilvania conobbe il primo, grande successo di pubblico nel maggio del 1897 quando, a Londra, venne pubblicato il più famoso dei libri dell’irlandese Bram Stoker. Si trattava di “Dracula”, un romanzo dalle atmosfere gotiche. In verità l’idea venne concepita da Stoker qualche anno prima, esattamente 131 anni fa, tra il luglio e l’agosto del 1890. “La bocca, per quel che si scorgeva sotto i folti baffi, era rigida e con un profilo quasi crudele. I denti bianchi e stranamente aguzzi, sporgevano dalle labbra, il colore acceso rivelava una vitalità stupefacente per un uomo dei suoi anni. Le orecchie erano pallide, appuntite; il mento ampio e forte, le guance sode anche se scavate. Tutto il suo volto era soffuso d’un incredibile pallore”. Una descrizione che non lascia dubbi sull’identità del personaggio e sulla sua natura sinistra, offrendo l’occasione al tema del vampirismo di acquisire, forse per la prima volta, una certa dignità letteraria.
rivede la moglie morta, fino al professore olandese Abraham Van Helsing, scienziato e filosofo che crede nell’esistenza del soprannaturale. Fatto circolare prima tra gli amici e successivamente modificato, il libro venne stampato e posto in vendita nella tarda primavera del 1897.
A sostenere quest’ardita tesi non sono dei fantasiosi “cacciatori di vampiri” ma alcuni studiosi dell’Università estone di Tallinn che, in collaborazione con studiosi italiani, hanno compiuto ricerche sulla principessa slava Maria Balsa, fuggita a Napoli nel 1479 a causa delle persecuzioni turche e accolta nella città all’ombra del Vesuvio da Ferdinando d’Aragona. La donna, che diventò in seguito moglie del Conte Giacomo Alfonso Ferrillo, sarebbe la figlia del Conte Vlad III di Valacchia, meglio conosciuto ai più come il Conte Dracula. E parrebbe proprio che fosse stato il padre ad accompagnarla nella città sul Golfo, cercando e ottenendo l’anonimato. La prova fornita dagli studiosi a sostegno delle loro tesi è il fatto che il blasone formatosi in seguito alla fusione degli stemmi delle famiglie Balsa e Ferrillo presenta un drago, in tutto e per tutto simile a quello della casata dei principi di Valacchia. Sarà davvero così? Il conte Dracula riposa (?!) a Napoli? La storia è affascinante, ricca di sfumature e di colpi di scena, anche se sembra più la trama di un romanzo d’avventure che una realtà storica. Infatti, almeno per il momento, manca il particolare che la renderebbe clamorosa, il colpo di scena finale: il corpo di Vlad Tepes. Ed è ciò che gli studiosi scesi in campo sperano di ottenere. Nel dubbio, come il professor Van Helsing, attendiamo notizie tenendo ben stretto in una mano un appuntito paletto di frassino e nell’altra una boccetta di acqua benedetta.
Srebrenica, dall’antico nome latino Argentaria si può tradurre in “città dell’argento”. Prima del 1992 era conosciuta per le terme, l’estrazione di salgemma e le miniere. Poi, dissoltasi la Jugoslavia, la storia si è incaricata di consumare tra quelle montagne l’ultimo genocidio in terra europea dalla fine della seconda guerra mondiale. In quella località tra le terre alte della Bosnia nord-orientale circa diecimila musulmani bosgnacchi vennero trucidati dalle forze ultranazionaliste serbo-bosniache e dai paramilitari serbi. L’atroce crimine di massa venne consumato tra l’11 e il 21 luglio 1995, dopo che la città, assediata per tre anni e mezzo, il 10 luglio era caduta nelle mani del generale Ratko Mladić. Nel marzo del 1993 Srebrenica era stata proclamata enclave dell’Onu, in virtù della risoluzione 819. In pratica l’intera area doveva essere protetta, difesa. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, infatti, inviò un piccolo contingente di qualche centinaio caschi blu.
È il vecchio ponte sul torrente Nervia che insieme alle rovine del castello dei Doria attira ogni anno migliaia di turisti mentre dall’altro lato del Ponente nel piccolo borgo di Noli, nel savonese, spicca la chiesa di San Paragorio, un gioiello di architettura romanica. In mezzo al Ponente ligure c’è naturalmente tanto altro, svettano cattedrali e battisteri a Ventimiglia, Sanremo e ad Albenga, monumenti medievali a Taggia, Triora, nell’entroterra di Imperia e di Finale, a Savona e a Varazze. E ancora Pigna sui colli con le sue terme, Sant’Ampelio a Bordighera, Andora e Apricale, uno dei borghi più incantevoli della Liguria, dove, come a Dolceacqua, è possibile passeggiare nei suggestivi vicoli del paese fino ai resti del castello della Lucertola. “Liguria medievale”, il libro del novarese Simone Caldano, Edizioni del Capricorno, ci accompagna a scoprire e visitare 55 tra paesi, borghi e città, da ponente a levante, oltre a Genova. Un libro in più da portare in vacanza in Liguria che d’estate viene presa d’assalto da migliaia di piemontesi. E per ricordarci che questa regione non è solo una terra di belle spiagge e raffinati ristoranti ma c’è anche altro che merita di essere conosciuto e ammirato. A Levante, seguendo il percorso ideato da Caldano, docente e storico dell’architettura e dell’urbanistica, scopriremo, tra l’altro, Camogli con il castello della Dragonara, l’Abbazia di San Fruttuoso tra Portofino e Camogli, Rapallo, San Nicolò dell’Isola a Sestri Levante, Levanto, le chiese medievali di Vernazza e Riomaggiore nelle Cinque Terre, Porto Venere e il castello di Lerici, una fortezza sul mare così grandiosa da sembrare, scrive l’autore, “un imponente vascello pronto a salpare e a solcare i mari”. La Commenda di San Giovanni di Prè, di fronte al Museo del Mare Galata e al Porto antico, apre la sezione del libro dedicata a Genova e al suo entroterra, perché, spiega Caldano, “è il monumento medievale che “dà il benvenuto” al visitatore che si avventura in città, sia per la posizione fuori dalle mura sia per la vicinanza alla stazione Principe. In una città importante come la Superba non poteva certo mancare un prestigioso insediamento dei Cavalieri di San Giovanni, i futuri Cavalieri di Malta”. Per secoli la Commenda fu un essenziale punto di riferimento e di ritrovo per pellegrini e viandanti che si imbarcavano a Genova diretti alle Crociate in Terra Santa. E poi il duomo di San Lorenzo, “da sola questa splendida cattedrale basterebbe a sfatare i preconcetti di coloro che vedono in Genova una città povera in termini di patrimonio artistico. Attorno al complesso vescovile lo storico Caldano ci invita a seguire due itinerari che toccano le chiese di San Donato, Santa Maria di Castello, Santi Cosma e Damiano, il Museo di Sant’Agostino, Porta Soprana, San Matteo e Santo Stefano. Nell’entroterra genovese raggiungiamo Montoggio con il castello dei Fieschi, di cui oggi restano soltanto alcuni ruderi. Posto a guardia dell’alta Valle Scrivia divenne nel Quattrocento proprietà dei Fieschi, una delle più potenti famiglie genovesi dell’epoca. A Vobbia invece scopriremo le rovine del castello della Pietra nel parco regionale dell’Antola. Ora buona lettura e godetevi il fascino della Liguria.. Filippo Re
